REWIND. DOSSIER SULL'EMERGENZA RIFIUTI IN CAMPANIA (I)
Ripubblichiamo questo dossier del Luglio 2007, vecchio ma non superato, sorprendente per la lungimiranza delle previsioni e delle soluzioni prospettate.
Mezzogiorno senza Stato
Dietro quei rifiuti nelle strade della Campania, dietro quelle proteste, quei roghi, riemerge la questione meridionale nei suoi tratti più antichi e desolanti denunciati 60 anni fa da Guido Dorso: l’assenza di una classe dirigente illuminata, l’incapacità della classe politica, l’arretratezza culturale della società civile. Mai i cittadini meridionali sono apparsi tanto lontani dagli standard di vita dell’Europa.
Quasi tutto il Mezzogiorno è commissariato per i rifiuti. Lo sono la Campania e la Puglia dal 1994, la Calabria dal 1997, la Sicilia dal 1999; nel '99 è iniziato anche il commissariamento del Lazio (Vedi Tabella 1). Il che vuol dire: metà del paese è incapace di autogoverno in un settore elementare del vivere civile. Vuol dire: nel Mezzogiorno non c’è neanche quel poco di Stato che serve per gestire correttamente i rifiuti. Lo si deve importare, come il petrolio. Per questo si dichiara l’emergenza e si fanno i commissariamenti.
Non è forse, questo, un problema politico nazionale?
Suicidio di una regione
In questo quadro già critico, una regione e una capitale tra le più importanti soccombono sotto i propri rifiuti, come avviene nelle tragiche periferie delle megalopoli del Terzo mondo. Non è una questione politica nazionale, oltre che una devastante questione sociale?
Del “Rinascimento napoletano” non rimane che cenere:
Quelle proteste, quei roghi, quei rifiuti nelle strade rappresentano una spettacolare regressione e un atto di autodistruzione. Una grande regione e una grande capitale si suicidano in diretta Tv, mostrando al mondo la propria arretratezza. È un grave, gravissimo fallimento italiano. Non dovrebbe essere la priorità della politica nazionale?
Una crisi senza cause oggettive
La crisi non è nata da alcuna causa oggettiva. La gestione dei rifiuti non è un'attività poco conosciuta, ma è regolata da decenni da una normativa europea e nazionale estremamente articolata e stringente; anche troppo, per taluni aspetti. La prima direttiva europea risale al 1975, 20 anni prima dell’inizio dell’emergenza campana; la prima norma-quadro nazionale è del 1982.
Non ci sono difficoltà tecnologiche proibitive: gestire i rifiuti è facile, ci riescono tutti nel mondo sviluppato, senza tante storie.
Forse in Campania si producono più rifiuti che altrove? No: per quanto riguarda la produzione di rifiuti e il suo trend di crescita, i numeri della regione sono costantemente al di sotto della media nazionale (Cfr. Tabella 2).
È mancata la competenza tecnica? Nient’affatto, anzi, fin dalla primissima fase dell'emergenza, commissari e responsabili regionali si sono avvalsi delle competenze tecnico-scientifiche dell’ENEA, il meglio disponibile nel settore pubblico.
Infine, doverosamente, la Corte dei conti toglie di mezzo l’ipotesi razziale: non c’è alcun ostacolo di ordine antropologico - scrive nella sua recente relazione sulla gestione dei commissari straordinari nelle diverse regioni - alla realizzazione in Campania di un efficiente sistema di gestione dei rifiuti. Si è al punto di doverlo scrivere...
Blocco di sistema
L'origine dell'emergenza è interna alle istituzioni: è la gravissima inefficienza della pubblica amministrazione campana, che non ha garantito in alcun modo il corretto smaltimento dei rifiuti. La camorra, che il New York Times ha posto in primo piano, prende piede in mancanza di un sistema di smaltimento legale, ma impiantare questo sistema e farlo funzionare spetta alle istituzioni locali. Il fronte vero su cui agire è quello del malgoverno.
Riesce comunque difficile capire perché in 13 anni la situazione si sia ulteriormente incancrenita, perché le istituzioni regionale e locali non siano riuscite in tutti questi anni ad attrezzarsi degnamente, perché i commissari che si sono succeduti non abbiano avuto sufficiente forza. Ancor oggi, quello campano è un sistema bloccato, che in tutte le sue componenti – politica, amministrativa e civile – rifiuta di farsi carico della gestione dei propri rifiuti e pretende di addossare agli altri – alle altre regioni, a paesi esteri, al contribuente italiano – i costi della propria inefficienza; rigetta qualsiasi progetto di impianto legale e controllato, ma nulla fa contro le innumerevoli cave e discariche abusive. E intanto fa profitti con l’emergenza, che nel Sud è considerata da sempre una risorsa.
Come si è arrivati a questa situazione? Sono individuabili tre fattori:
NIMBY e dintorni
La Campania è diventata la terra promessa, la vetrina dell'ambientalismo protestatario e senza responsabilità, quello che dice no a tutti gli impianti di smaltimento e ha della raccolta differenziata una visione miracolistica. Attorno alla protesta verde è poi cresciuto il teatrino dell'antagonismo, da Beppe Grillo a padre Zanotelli, che scaccia i “demoni” (gli inceneritori, le discariche legali) con l'acqua benedetta. Una combinazione pittoresca e nefasta, che pare aver sedotto tutta la regione.
I rifiuti ammucchiati nelle strade - quella vergogna - testimoniano la vittoria dei verdi e degli antagonisti, la prova provata che costoro, invece di risolvere i problemi, li esasperano. Il rigetto degli impianti è talmente radicale da far pensare a un rigurgito nichilista, che va oltre le tradizionali manifestazioni “Nimby”: come se in Campania si fosse superata una qualche soglia, o una nuova patologia avesse infettato il corpo sociale e le istituzioni.
Quali forze si muovono dietro la facciata della protesta verde? In realtà, più che le minoranze estremiste, i veri protagonisti del dissenso sono le istituzioni di tutti i tipi e di tutti i livelli, i pubblici amministratori, i sindaci, gli eletti locali e nazionali, fino ai parroci e ai vescovi. La fioritura di acronimi derivati dal NIMBY testimonia dell'importanza crescente di questi soggetti: da NIMO (Not In My Office) a NIMEY (Not In My Election Year), fino agli acronimi finali, a scelta, CAVE (Citizens Against Virtually Everithing) e BANANA (Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anybody).
Tra i fattori di blocco occorre infine includere la diffusa illegalità, gli intrallazzi, la camorra: quanti affari si fanno oggi in Campania con quell'emergenza? Quanti ingrassano contribuendo alla rovina della loro terra? Quanto hanno pesato, nel rendere cronica la crisi, la paura o le complicità delle amministrazioni locali?
La causa tecnica dell'emergenza
La causa tecnica dell'emergenza in Campania va ricercata in direzione opposta alla vulgata verde, ed è la mancanza di discariche a norma. Fra l'altro, è l'unica differenza sostanziale tra la Campania e le altre regioni del Sud.
Questa carenza rappresentava la principale motivazione del DPCM che nel 1994 ha dato inizio al commissariamento, poi è praticamente sparita dall'ufficialità ed è diventata cronica, generando crisi su crisi. Non se ne parla molto neanche oggi; e l'opinione prevalente è che causa della crisi sia l'insufficiente raccolta differenziata. È questa la convinzione che si ritrova negli articoli dei giornali, nei documenti ufficiali, in molte audizioni della Commissione parlamentare d'inchiesta, nella carte della magistratura contabile.
Pochi considerano i dati di fatto: che cioè in Campania gli sforzi maggiori sono stati indirizzati alla promozione della raccolta differenziata (quasi il 50% dell'intero bilancio commissariale al marzo 2004, secondo la Commissione parlamentare d'inchiesta) e alla produzione di combustibile dai rifiuti (CDR), senza però sviluppare contestualmente l'indispensabile capacità di smaltimento mediante incenerimento e discarica.
Sono gli effetti della strategia adottata nel 1997 per allineare la politica regionale al decreto legislativo n. 22/97, il “Decreto Ronchi”. Si puntò tutto sul recupero, oscurando la vera emergenza, la realizzazione delle discariche. Quanto all'incenerimento, praticato in tutta Europa, si abolì la parola stessa e lo si mascherò, vincolando il processo industriale con l'obbligo di produzione di CDR. Alla Campania che affondava nei rifiuti, si additò l'obiettivo velleitario e mistificatorio di diventare la prima realtà europea nella prevenzione e nel recupero.
Nessuno disse la verità ai cittadini: che cioè, se anche fossero stati costruiti tutti gli impianti previsti, si sarebbe dovuto coprire con le discariche un transitorio di almeno 5 anni, equivalente a più di 10 milioni di tonnellate di rifiuti; e che comunque, anche con un sistema di gestione a regime, ci sarebbe stato bisogno di una capacità di smaltimento in discarica pari ad almeno 1 milione di tonnellate di rifiuti l'anno.
È un vero mistero come i protagonisti locali e nazionali dell'emergenza abbiano creduto di poter andare avanti per tanti anni senza il punto di chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti rappresentato da inceneritori e discariche.
Si vede come sono poi finite le cose: quella politica ha portato al disastro. Ancor oggi, tutto finisce in discarica (ma senza garanzie adeguate) o riempie le strade di Napoli e della regione. Eppure quella politica disastrosa viene costantemente rilanciata: ministri e parlamentari vanno in giro a dire che si può fare a meno dello smaltimento e parlano di “opzione zero”. Come dire, non ci sono costi da pagare, continuiamo a dire no a inceneritori e discariche, i rifiuti si portino in Germania, in Romania, nelle altre regioni...Da non credere.
Opzione zero in condotta
Il punto è: i rifiuti non spariscono da soli, la raccolta differenziata non elimina lo smaltimento, le azioni di prevenzione possono ridurre la quantità e la pericolosità dei rifiuti, ma non possono farli sparire. Non si devono confondere gli obiettivi di medio/lungo periodo con le necessità della gestione corrente. Una politica dei rifiuti seria deve perciò prevedere un sistema di gestione integrato che persegua gli obiettivi di riduzione e recupero, ma assicuri nel contempo il corretto smaltimento mediante incenerimento e discarica.
In Campania si producono ogni anno circa 3 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, che devono finire da qualche parte: recuperati, bruciati o messi in discarica. L'alternativa non è smaltimento sì o no, ma smaltimento corretto, secondo le leggi, o abbandono selvaggio dei rifiuti sul territorio. Per chi sta affogando nei propri rifiuti, l'opzione zero è una fantasia, una parola d'ordine irresponsabile che rafforza il rigetto di impianti e discariche legali, ostacolando il superamento dell'emergenza.
La Figura 1 descrive come funziona un sistema di gestione di rifiuti urbani: con una raccolta differenziata al 40 per cento (che è l'obiettivo velleitariamente deciso dal Ministero dell'ambiente per il dicembre 2007) e una resa in CDR al 35 per cento, una metà dei rifiuti dovrebbe comunque essere smaltita in discarica. Si tratterebbe, per la Campania, di circa 1,5 milioni di tonnellate di rifiuti l'anno.
Sarebbe possibile ridurre ulteriormente lo smaltimento in discarica, ma a determinate condizioni. Ad esempio, con una raccolta differenziata al 40 per cento, si potrebbe ridurre al 30 per cento l'invio in discarica con un utilizzo più spinto dell'incenerimento, con una qualità del materiale da bruciare inferiore all'attuale CDR, e con un livello qualitativo del compost che ne consenta l'utilizzo sottraendolo alla discarica.
Può interessare verificare i numeri della Lombardia, dell'Emilia-Romagna e della Toscana, che presentano le più alte percentuali di incenerimento, oltre ad ottime performance di raccolta differenziata. L'Emilia-Romagna, con il 31% di RD e il 26% di incenerimento, manda in discarica il 43% dei rifiuti urbani prodotti. La Toscana, con il 30,7% di RD e circa il 10% di incenerimento, smaltisce il discarica il 46% dei RU. La Lombardia sembra aver ridotto al minimo la discarica: spingendo molto, sia sulla RD (42,5%), sia sull'incenerimento (33,8%), infatti, la regione smaltisce in discarica il 15% del totale dei rifiuti prodotti (ma la cifra si attesterebbe probabilmente sul 30% se fosse conteggiata la quota di organico inviata fuori regione per la produzione di compost).
(Continua alla prossima puntata)