IL FALLIMENTO DEL GREENDEAL
Dopo il successo di MonitorCH4 a Bologna e in preparazione della XXVII Conferenza per l’Efficienza Energetica del 26 e 27 novembre a Roma, gli Amici della Terra osservano il fallimento delle politiche dirigiste europee in tema di cambiamenti climatici e ne chiedono una revisione decisa e veloce, anche al livello delle normative di attuazione nazionale, per evitare il tracollo dell’economia e lo sfregio dei territori naturali e agricoli.
In Copertina: Giorgia Meloni in Parlamento (Foto Reuters)
È sempre un po' stucchevole trovarsi a scrivere “avevamo ragione noi”. Però è così, e come si dice a Roma, “quando ce vo’ ce vo’”. Ci riferiamo ovviamente al green deal, adesso che il re è nudo e che i nodi sono venuti al pettine in termini di fallimento nella riduzione delle emissioni globali, prezzi dell’energia in aumento (anche al netto di covid e aggressione russa), crollo delle produzioni industriali, debacle della prospettata leadership europea nelle tecnologie “rinnovabili”.
Come nel nostro stile, da associazione ambientalista che prima studia e poi parla cercando di evitare condizionamenti ideologici, puntualmente ogni anno, nella nostra Conferenza per l’efficienza energetica (a proposito, la prossima, la diciassettesima, si svolgerà il 26 e 27 novembre a Palazzo Baldassini) abbiamo documentato con approfonditi rapporti l’impossibilità di raggiungere gli obiettivi prefissati dal Green Deal e la loro insostenibilità sociale, economica e ambientale. Leggere per credere qui rapporto degli Amici della Terra 2024 e qui la Relazione_Tommasi_XV_Conferenza 2023.
E non abbiamo mancato mai di dare il nostro contributo in positivo, sia illustrando con costanza i risultati e le opportunità di mettere #Primal’efficienza! nei piani e nei programmi di una transizione energetica utile e realistica sia, sfidando i tabù ambientalisti e la nostra stessa storia, con la dichiarazione pubblica del nostro cambiamento di posizione rispetto all’uso dell’energia nucleare.
Nel 2019, l’iniziale versione del green deal presentava ancora margini di ragionevolezza e di possibile compromesso. L’obiettivo della neutralità climatica al 2050 aveva trenta anni per dispiegarsi, e i Paesi erano lasciati sostanzialmente liberi nelle scelte tecnologiche per raggiungerlo. L’esempio più calzante è il ruolo del gas naturale definito “fonte di transizione” nella tassonomia europea, utile per sostituire carbone e petrolio. O anche la libera scelta sul nucleare.
I guai veri sono venuti dopo, quando commissari europei con l’avallo della tecnostruttura brussellese ritennero che si potesse fare di tutto e subito, puntando sulle sole tecnologie rinnovabili intermittenti, sull’elettrificazione a tappe forzate e su conseguenti imposizioni draconiane alla società e all’economia. Una euforia collettiva che ha coinvolto i maggiori protagonisti della politica, dell’economia e dell’informazione che non hanno esitato ad avallare il peggior catastrofismo pur di occultare le poche voci critiche che pure erano in grado di descrivere perfettamente quanto sarebbe accaduto, in particolare, all’industria automobilistica europea e non solo.
In realtà, a livello europeo e nazionale, è stata una sbornia da incentivi e sussidi, su cui contavano – con diversi esiti - i costruttori di automobili e i produttori di “energia verde”. Ma la Cina ha fatto di più (anche questo, previsto e documentato con largo anticipo dall’ Astrolabio) determinando ulteriori dipendenze energetiche e azzerando anche l’illusione di una leadership tecnologica europea.
Come Amici della Terra, non abbiamo mai smesso di denunciare i rischi sociali ed economici del Green Deal pur concentrandoci sugli esiti fallimentari degli aspetti ambientali: le emissioni dannose per il clima sono in crescita nel mondo e superano di 10/20 volte quelle ridotte a livello europeo; le riduzioni di emissioni in Europa sono dovute in gran parte alla delocalizzazione delle produzioni energivore in altri paesi che non hanno adottato politiche climatiche; in Italia, l’obbligo di installazione di fonti rinnovabili non ha potuto sostituire le fonti fossili ma ha stravolto ogni pianificazione territoriale esistente, violando in particolare le aree naturali e agricole e senza risparmiare i paesaggi iconici dell’identità culturale nazionale.
Non siamo stati ipocriti: consapevoli della domanda energetica, abbiamo difeso la produzione nazionale di gas naturale dal referendum del 2016. Nel 2019, numeri alla mano, abbiamo preso atto che del gas naturale non si può fare a meno nella transizione, anche se climalterante se rilasciato direttamente in atmosfera. Razionalità vuol dire che, quello stesso anno, abbiamo avviato una campagna per la riduzione delle sue emissioni dirette.
Campagna ancora in corso che ha visto un significativo momento di successo nella prima edizione di MONITORCH4 EXPO, lo scorso 23 ottobre a Bologna, dedicata alle tecnologie necessarie per raggiungere l’obiettivo.
Foto Giorgio Maiozzi, Amici della Terra
Per una curiosa coincidenza - forse non casuale, i tempi maturano… - l’evento ha coinciso con la netta presa di distanza (che però andrebbe meglio sostanziata) di Giorgia Meloni dall’attuale green deal e il promesso impegno di spendere la propria autorevolezza a Bruxelles. Difficile pensare che ci possano essere correzioni parziali senza una revisione profonda della strategia, anche in relazione agli effetti globali che l’Europa è davvero in grado di determinare. Ma, questa volta, per indurre le istituzioni europee a scelte efficaci e decisioni responsabili, occorre obbligare la potente tecnostruttura di Bruxelles a fornire basi conoscitive che tengano conto del principio di realtà.
Foto Giorgio Maiozzi, Amici della Terra
Abbiamo apprezzato pubblicamente la Presidente del Consiglio ma anche Michele De Pascale, il presidente della Regione Emilia-Romagna che lo stesso giorno, unico esponente di sinistra, in una intervista, ha anch’egli condiviso la necessità di una decisa svolta rispetto alle scelte del green deal .
Guarda caso, quella stessa mattina era sul nostro palco di Bologna ad inaugurare la expo con un significativo intervento in sintonia col nostro approccio alle politiche energetico-ambientali. Affinità di valutazioni a cui non siamo abituati e che rappresentano un sollievo. Che altro dire?
No, c’è dell’altro, perché mentre noi scriviamo non si fermano le installazioni di eolico e di fotovoltaico e si continuano ad autorizzare progetti che vanno molto oltre gli obiettivi 2030 che, se realizzati, porterebbero più guai alla collettività che benefici, a cominciare dal rischio stabilità per la rete elettrica. Si aggiungono, anzi, nuovi costi sulle bollette per gli ampliamenti della rete elettrica necessari a raggiungere i nuovi impianti e le grandi batterie chimiche per avere elettricità quando mancano sole e vento. E nessuno che - almeno per onestà intellettuale - smetta di promettere ogni giorno la riduzione dei prezzi dell’elettricità (o di lamentarsene).
Quanto tempo occorrerà per un piano energetico e ambientale conseguente alla realtà riconosciuta?