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2025-11-19 19:31

Risposte a Milena Gabanelli che Lamenta (Sic!) un Attacco a Eolico e Solare.

RINNOVABILI

di: 
Redazione

Più che giornalismo d’inchiesta quello di Dataroom del Corriere della Sera del 12 novembre ’25, sembra un saggio di scuola di cucina per girare le frittate. La tesi è quella di un complotto che, frenando l’avanzata di eolico e solare, nel nostro paese, determinerebbe l’alto costo dell’energia elettrica. Come colpevoli sono indicati “120 comitati degli Stati Generali contro l’eolico e il fotovoltaico”. Nientemeno.

In molti hanno reagito -su altre testate- al modo fuorviante di rappresentare la realtà. Citiamo, fra i più significativi, il Prof. Marco Ricotti su Il Sussidiario  e proponiamo tre osservazioni all’articolo, da tre diversi punti di vista, inviate a DataRoom  ma non pubblicate.

In Copertina: immagine da coscienzeinrete.net 


Monica Tommasi, presidente degli Amici della Terra:

(…) “Già il titolo rivela un capovolgimento della realtà dei fatti: il vero attacco non è quello di chi, come noi, si oppone al proliferare indiscriminato sul territorio, a marce forzate, di una mole  imponente di impianti industriali, eolici e fotovoltaici,  in assenza di ogni forma di pianificazione, caso questo mai verificatosi nella storia dell’industria italiana; l’autentico attacco è piuttosto quello portato all’ambiente, al paesaggio, all’agricoltura ed alle attività economiche che su tali irripetibili risorse  trovano il loro fondamento (a cominciare dal turismo) dalla realizzazione ubiquitaria di distese di centinaia di ettari di pannelli solari e di sequenze chilometriche di pale eoliche alte 200 e passa metri.

Gli obiettivi e gli obblighi imposti dalle politiche climatiche europee si stanno rivelando socialmente, ambientalmente ed economicamente insostenibili. E privilegiare alcune tecnologie come il fotovoltaico e l’eolico per conseguire gli obiettivi di decarbonizzazione è un grave errore.  Non possiamo accettare che la regia di un’operazione così complessa e delicata venga consegnata integralmente nelle mani degli operatori delle rinnovabili, il cui scopo è quello squisitamente aziendalistico di massimizzare i profitti lucrando sulle allettanti tariffe incentivanti pagate in bolletta dalle famiglie e dalle imprese italiana e potendo scegliere in piena libertà le aree ove realizzare gli impianti presenti il minor costo possibile.

Quest’ultimo è uno degli aspetti da lei inspiegabilmente sottaciuti nel servizio: il disordinato balletto sulle “aree idonee”, che vede il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica emanare con oltre due anni e mezzo di ritardo (nel giugno 2024) il decreto ministeriale che avrebbe dovuto indicare i criteri per la individuazione – a cura delle Regioni - di tali aree insieme a quelle “non idonee” (per poi vederselo bocciare dal TAR Lazio che ne ha rilevato l’inadeguatezza ed ordinato la riscrittura di alcuni articoli, ad oggi mai compiuta), non si conclude - come da lei riportato nel servizio - con l’attribuzione alle  Regioni del compito di individuare “aree idonee” e “zone di accelerazione”.

In assenza di tale individuazione regionale trovano infatti applicazione transitoria le categorie di “aree idonee” definite dallo Stato con l’art. 20 del Decreto legislativo 199 del 2021 ma, ciononostante, sia il MASE che le Regioni dichiarano ricevibili ed ammettono ad istruttoria anche i progetti di impianti di rinnovabili che non sono localizzati in “aree idonee”. Sulla scorta di una interpretazione del tutto incoerente di tale articolo 20, travisando il significato lessicale stesso dell’aggettivo  “idoneo”, queste amministrazioni ritengono che tali aree non siano le uniche in cui la realizzazione degli impianti di rinnovabili è ammessa ma siano semplicemente aree in cui i progetti godono di  procedure autorizzative  semplificate, al punto da prevedere nel decreto del giugno 2024 che anche nelle “aree ordinarie”, vale a dire quelle aree esterne sia alle aree “idonee” che a quelle “non idonee”,  gli impianti possono essere egualmente realizzati applicando le procedure autorizzative ordinarie.

È questa la negazione di ogni forma di pianificazione delle rinnovabili sul territorio: riguardo ai 210 Kmq di aree industriali e discariche dismesse, citati dal Politecnico di Milano, che lei suggerisce nel suo servizio come luoghi che non disturbano nessuno insieme ai 490 Kmq di zone agricole inutilizzate (sui quali è tuttavia consigliabile un’ulteriore riflessione riguardo agli aspetti di natura ambientale e paesaggistica) è un vero peccato che lei abbia dimenticato di ricordare come siano  ben poche le imprese disposte a presentare progetti  localizzati al loro interno.

Nessun accenno riscontriamo purtroppo nel servizio agli oltre 1137 Kmq di superfici edificate ancora inutilizzate, rilevati da ISPRA nel suo Rapporto sul consumo di suolo 2025 come aree di elezione per la localizzazione di una potenza variabile dagli 84 ai 110 GW di pannelli fotovoltaici che sarebbe possibile installare su fabbricati esistenti; eppure, è sempre lo stesso art. 20 del Decreto legislativo del 2021 a prescrivere che va privilegiato l’utilizzo di superfici di strutture edificate. Questo significherebbe anche abbattimento dei costi per le infrastrutture che oggi pesano sulle bollette per oltre il 20%.

Unica amministrazione a resistere in difesa del paesaggio sono le Soprintendenze archeologia e paesaggio del MIC, i cui pareri nel corso delle procedure di VIA spesso negativi vengono emanati non certo per capriccio ma piuttosto in applicazione delle norme del Codice dei BB.CC. su cui tale amministrazione esercita la sua competenza. Utile sarebbe stato informare i lettori di come tali pareri negativi vengano quasi sempre superati in sede di Consiglio dei ministri esautorando il MIC delle proprie competenze, con delibere a firma del Presidente del Consiglio che, a seguito di una norma emanata dal governo Draghi nel 2022, assumono anche il valore di autorizzazione unica in aggiunta a quello di parere favorevole di VIA.

Prendiamo atto del suo breve accenno nel servizio alla impossibilità di riciclo delle pale degli impianti eolici: sarebbe stato importante, per spirito di obiettività, informare i lettori del servizio mandato in onda il 2 settembre scorso dalla TV pubblica tedesca ZDF ove è stato mostrato come la soluzione più comune di smaltimento per tali componenti una volta giunti al termine di scadenza dell’erogazione dei sussidi sia la tranciatura in pezzi con l’immissione nell’ambiente di polveri tossiche contenenti Bisfenolo A e PFAS ed il successivo invio a discarica.

Neanche un cenno, infine, alla pianificazione prescritta dalla Direttiva RED III 2023/2413 che ha finalmente introdotto l’obbligo per gli Stati membri di realizzare la mappatura delle aree idonee necessarie alla realizzazione degli impianti rinnovabili richiesti per il raggiungimento degli obiettivi PNIEC al 2030 (art. 15 – ter)  e, al loro interno, una pianificazione regionale delle “zone di accelerazione” (art. 15-quater) in cui, per la loro modesta sensibilità ambientale, i progetti degli impianti godono di procedure semplificate a condizione che i relativi piani di individuazione abbiano superato la procedura di valutazione ambientale strategica – VAS.

Dopo una procedura di infrazione aperta dalla Commissione UE per mancata attuazione di tale Direttiva, poi archiviata, tali disposizioni sono state recepite alla fine del 2024 con l’art. 12 del Testo Unico dei regimi amministrativi per la produzione di energia rinnovabile, che ha conferito al GSE il compito di redigere entro il 21 maggio scorso la suddetta mappatura, come avvenuto, mappatura alla quale dovranno essere conformi tutti i progetti presentati a partire dall’entrata in vigore della norma.

Non ci sembra, in conclusione, che il taglio da lei impartito alla trasmissione abbia reso un servizio obiettivo alla pubblica informazione e ci auguriamo che vorrà prendere nota delle precisazioni di cui sopra per una auspicabile successiva edizione di DataRoom. 

Siamo disponibili a fornirle dati e fonti ufficiali.“

 

Francesco Pratesi, Presidente di Italia Nostra sezione Maremma:

(…) “Ho letto con attenzione il suo articolo e apprezzo l’impegno con cui Dataroom affronta temi complessi come quello dell’energia. Tuttavia, il quadro che ne emerge appare parziale e rischia di ignorare le reali proporzioni tra costi, benefici e impatti della cosiddetta transizione “verde”.

Il contesto globale - L’Italia contribuisce per appena lo 0,7% alle emissioni mondiali di CO₂. Di queste, solo il 20% proviene dalla produzione di energia elettrica: in totale, lo 0,15% delle emissioni globali.

Gli investimenti “verdi” - Dal 2010 al 2030 il nostro Paese avrà destinato oltre 400 miliardi di euro a eolico e fotovoltaico, una cifra enorme, equivalente a circa il 13% del debito pubblico nazionale, scaricata sulle bollette dei cittadini e sulla finanza pubblica.

I risultati reali - Eolico e fotovoltaico insieme coprono circa il 20% della produzione elettrica italiana. Ma l’elettricità rappresenta solo il 20% dei consumi energetici complessivi (inclusi trasporti, riscaldamento, industria). In sintesi: pale e pannelli soddisfano non più del 5% del fabbisogno energetico nazionale totale.

L’impatto sulle emissioni globali - Se la produzione elettrica italiana pesa per lo 0,15% sulle emissioni mondiali e, se solo un quinto di questa proviene da fonti rinnovabili non programmabili, la riduzione globale effettiva di gas serra è pari a 1/5 dello 0,15%, cioè appena lo 0,03%.

Il conto finale - Abbiamo speso (e continueremo a spendere) oltre 400 miliardi di euro, devastando paesaggi e campagne, caricando i cittadini di costi permanenti per rete e accumulatori, arricchendo poche multinazionali, per ottenere una riduzione globale di CO₂ dello 0,03%. Le sembra una scelta saggia? Pensa davvero che questo possa incidere sul clima del pianeta? Campi agricoli trasformati in distese di pannelli — oltre il 30% in Puglia —, dorsali montane colonizzate da aerogeneratori alti oltre 200 metri, migliaia di ettari sottratti a pascoli, biodiversità e turismo rurale: questo è il prezzo reale della “corsa al green”.

E mentre noi distruggiamo i nostri paesaggi, altrove si devastano territori per estrarre terre rare e litio, spesso sfruttando manodopera minorile.

L’assurdo non è solo italiano ma europeo. L’Europa, che contribuisce per appena il 6% alle emissioni globali, ha delocalizzato gran parte della sua industria, e per ciò che resta è ormai dipendente dalla Cina, che controlla l’intera filiera delle tecnologie “verdi”. Un paradosso che vanifica ogni pretesa di “sovranità energetica”.

In molti — tecnici, studiosi, agricoltori, amministratori locali, e persino Bill Gates — stanno ormai riconoscendo che il gioco non vale la candela: l’enorme dispendio economico e territoriale non ha prodotto benefici ambientali misurabili, ma nuove disuguaglianze e una pesante ferita al paesaggio.

Dopo migliaia di miliardi spesi nel mondo, eolico e fotovoltaico contribuiscono solo al 6% del consumo energetico globale. Un risultato irrisorio, incapace di modificare la traiettoria del riscaldamento globale. La vera sfida non è costruire sempre nuovi impianti, ma ripensare il modello: investire in efficienza, manutenzione del territorio, ricerca, risparmio energetico e innovazione diffusa, sviluppando il fotovoltaico solo nelle aree industriali e commerciali, non nei campi agricoli.

Sarebbe auspicabile che anche l’informazione contribuisse a far emergere questo lato nascosto della transizione, invece di alimentare — magari inconsapevolmente — la narrazione di una lobby potente e ben finanziata, quella dei “rinnovabilisti”, che specula sulle risorse pubbliche senza mai rispondere dei propri fallimenti.

E mi permetta di aggiungere: è grave che chi difende il paesaggio venga tacciato, come fa Armaroli, di essere “filo-fossile”. Le vere lobby del fossile sono oggi dentro il business delle rinnovabili, e spesso condizionano anche l’informazione più autorevole.

Mi auguro che Dataroom voglia, almeno una volta, dare voce a chi denuncia — inascoltato — che “il Re è nudo”.

 

Giuseppe Zollino, ChiccoTesta, Rosa Filippini:

“Al data room del 12 novembre sono completamente assenti dati fondamentali, relativi all'altra metà della bolletta, una metà oscura che va invece ben illuminata per evitare che diventi l'80-90%; dati che cambiano radicalmente il quadro:

1) È vero nel 2024 in Italia il prezzo dell'energia elettrica in borsa è stato il più alto d'Europa, ma il prezzo di borsa rappresenta circa il 40% del prezzo pagato in bolletta dai consumatori italiani (dati Arera per consumi domestici); il 50% è dovuto ai costi di trasporto e distribuzione, agli incentivi per solare ed eolico, ai costi per sistemi di accumulo, a quelli per remunerare l'energia elettrica prodotta ma non immessa in rete ("ad aprile e maggio di quest'anno abbiamo tagliato sino a 7 GW sui 38 GWp fotovoltaici installati" dichiara Terna), a quelli per i bilanciamenti. Tutti questi costi crescono esponenzialmente al crescere della potenza solare ed eolica installata;

2) I consumi elettrici italiani sono per metà in Zona Nord, e, oltre a una grande quantità di energia elettrica importata (nel 2014, ben 51 TWh, prevalentemente nucleare), essi sono oggi alimentati con energia idroelettrica, rinnovabile e modulabile, cioè erogabile quando serve, energia fotovoltaica ed energia prodotta a gas; ma "più rinnovabili" al Nord non significa purtroppo "più idroelettrico" (ché il potenziale per grandi impianti è tutto già sfruttato) ma "più fotovoltaico", perché di vento utile proprio non ce n'è, né mai ce ne sarà. E gli impianti fotovoltaici producono in modo intermittente, fortemente stagionale (a Milano in una giornata di dicembre anche 10 volte meno di una giornata di giugno) e soprattutto producono tutti insieme;

3) Con "più fotovoltaico", quanto potrebbe costare l'elettricità a Milano? Le recenti aste del decreto FerX si sono chiuse per il fotovoltaico a circa 62 €/MWh; cui vanno aggiunti 10 €/MWh se realizzati in zona Nord e ulteriori 20 €/MWh, se con componentistica europea. In tutto 92 €/MWh. Impianti remunerati con tariffa fissa, a prescindere dal prezzo in borsa elettrica. Ma il conto non finisce qui. Infatti "più fotovoltaico" significa installare ulteriori impianti la cui energia carichi batterie da utilizzare dopo il tramonto, per lo meno per i 6 mesi di maggior produzione solare. Le prime aste del meccanismo Macse di Terna si sono recentemente chiuse remunerando le batterie a 13 k€/MWh anno. Utilizzandole ogni giorno in quei 6 mesi, cioè 180 volte all'anno, tenendo conto del rendimento e della profondità di scarica, il costo del loro "servizio" sarebbe di 100 €/MWh. Così dopo il tramonto l'elettricità consterebbe 192 €/MWh. E pur considerando il profilo di generazione ideale di quei 6 mesi (nessuna giornata di cielo coperto), l'energia costerebbe complessivamente 160 €/MWh;

4) Se poi volessimo produrre a Milano energia elettrica a potenza costante tutto l'anno, p.e. un GW per alimentare acciaierie e data centre, impiegando pannelli cinesi invece che europei, remunereremmo tutta l'energia a 72 €/MWh, molto meno dei 109 €/MWh del prezzo di borsa 2024. Ma poiché in autunno e inverno per molti giorni, anche consecutivi, la produzione è molto bassa, per poter soddisfare la domanda anche in quei giorni, considerando il reale profilo di generazione fotovoltaica a Milano, avremmo bisogno di 70 GWh di batterie, che andrebbero tutte caricate, perciò servirebbero anche 31 GW di grandi impianti fotovoltaici a terra (su 300 km2, il doppio della superficie del comune di Milano), che in primavera-estate produrrebbero una grande quantità di energia inutilizzabile e tuttavia tutta da remunerare. Col risultato che gli 8,76 TWh richiesti da quelle utenze industriali (1 GW per 8760 ore), pur prodotti da una fonte remunerata 72 €/MWh, saranno in realtà costati in bolletta la bellezza di 430 €/MWh, a causa delle caratteristiche di quella fonte.

Tanto dovevamo per completezza d'informazione ai vostri lettori.”