CAMBIAMENTI CLIMATICI
Da una nota di Bjorn Lomborg in polemica con Al Gore emergono alcuni fatti “inconvenienti” ed una proposta
L’edizione del 31 luglio scorso del Wall Street Journal Europe riporta un articolo intitolato “Al Gore misses a few inconvenient facts” a firma di Bjorn Lomborg.
L’articolo contiene una critica molto severa, al limite dell’irridente, del nuovo film “An inconvenient sequel: truth to power” di Al Gore, senatore e già vicepresidente e candidato alla Presidenza degli USA, che si ricollega e fa seguito ad uno precedente dal titolo “An inconvenient truth” prodotto undici anni or sono.
L’articolo di Lomborg meriterebbe una maggiore diffusione mediatica rispetto a quella derivante da un articolo comparso su un giornale economico in piena stagione estiva. Soprattutto perché riporta alcune cifre sorprendenti, delle quali l’autorevolezza dell’Autore non ci consente dubitare, che rivestono un interesse che va ben oltre quello di questo (ennesimo?) duello a distanza tra i due personaggi.
Osserva Lomborg, che secondo stime dello IPCC, gli NDCs - National Determined Commitments - gli impegni di riduzione dei gas a effetto serra assunti dagli Stati partecipanti in sede di COP21 a Parigi - se verranno effettivamente rispettati - si tradurranno entro il 2030 in una riduzione complessiva di 60 miliardi di tonnellate di C02 equivalente. D’altra parte, sempre secondo lo IPCC, per contenere l’aumento delle temperature entro 2° Celsius, come auspicato dalla COP21, nel corso del resto del secolo sarebbe necessaria una riduzione di ben 6.000 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente. Pertanto, osserva Lomborg, “a successful Paris agreement wouldn’t even come close to solving the problem”.
Ma la critica non si limita a questa, pur pesantissima, considerazione.
Lomborg aggiunge che, secondo i migliori modelli economici “peer reviewed”, la piena attuazione degli impegni derivanti dall’Accordo di Parigi dal 2016 al 2030 costerebbe $ 2.000 miliardi l’anno principalmente sotto forma minor crescita economica.
Si tratterebbe dell’Accordo più oneroso della storia. Alla luce di tali considerazioni demolitrici Lomborg propone che, piuttosto di insistere nel sussidiare le tecnologie inefficienti e inaffidabili sulle quali pone l’accento il Sen. Gore, vengano aumentati considerevolmente i fondi dedicati alla ricerca sulle energie alternative e cita alcuni primi esempi incoraggianti come le iniziative in tal senso di Bill Gates.
Un suggerimento che ben si applica anche all’Italia di cui vengono costantemente lamentati gli inadeguati investimenti in ricerca. Orbene si stima che tali investimenti, tutti i settori dello scibile compresi, ammontino a circa € 12 miliardi l’anno. Per contro i soli sussidi alle rinnovabili superano di poco tale cifra alla quale vanno poi sommati gli oneri addizionali derivanti al sistema elettrico nazionale per un totale di circa € 16 miliardi annui.
E’ dunque legittimo domandarsi cosa potrebbero produrre i nostri ricercatori e, perché no, anche con quali conseguenze economiche positive, se venisse destinata loro una parte di tali ingenti risorse ora impiegate per sussidiare la diffusione di tecnologie ormai note oltre che poco efficienti.
1) International Panel for Climatic Changes organo della Framework Conference on Climatic Changes delle Nazioni Unite
2) Allo stato attuale (post COP22 di Marrakesh) gli NDCs restano impegni volontari e non obbligatori e non sono soggetti a controllo di terze parti indipendenti. Inoltre esistono fondati dubbi che i PVS - responsabili di una quota delle emissioni globali pari al 60% e crscente - disporranno delle ingenti risorse finanziarie necessarie per far fronte agli impegni assunti. I 100 miliardi di dollari annui promessi dai Paesi avanzati, se effettivamente erogati, saranno inadeguati. Per maggiori informazioni si rinvia all’articolo “Le frontiere finanziarie del clima globale” L’Astrolabio 15.11. 2016