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2025-10-11 10:52

Abbandonare la Cogenerazione per le Rinnovabili? Forse no.

TRANSIZIONE ENERGETICA

di: 
Giuseppe Tomassetti

L’aumento delle fonti rinnovabili nei consumi di energia elettrica metterà in crisi gli impianti di cogenerazione che caratterizzano, in Italia, gli interventi più diffusi e performanti di efficienza energetica sia nelle imprese manifatturiere che nel terziario consentendo il recupero e l’utilizzo del calore altrimenti disperso? L’autore, advisor scientifico di FIRE, la Federazione italiana per l'uso razionale dell'energia, spiega perché no, con un’analisi accurata.

In Copertina: copertina di “Dante. La Divina Commedia a fumetti” di Marcello Toninelli. Editrice Shockdom

 

La cogenerazione di elettricità e calore è l’intervento di efficienza energetica più diffuso in Italia sia nelle imprese manifatturiere che nel terziario, come conseguenza del fatto che, per la nostra storia, in Italia calore ed elettricità sono generati con le stesse fonti, petrolio e metano, utilizzando anche il calore scaricato altrimenti disperso. Il processo di decarbonizzazione dell’energia ha visto passi rilevanti nella generazione elettrica mentre la generazione rinnovabile di calore è rilevante solo nelle applicazioni residenziali; si pone così il problema di quale sarà a breve il ruolo della cogenerazione.

 

Vantaggi e limiti della cogenerazione.

La cogenerazione di elettricità e calore permette due differenti tipi di vantaggi per l’impresa che la realizza; il primo è l’effetto della maggiore efficienza nell’utilizzo del combustibile rispetto alla produzione separata, per cui elettricità e calore, se non autoconsumati, potenzialmente possono essere immessi nel mercato con convenienza economica; il secondo effetto è quello della possibilità di ottenere incentivi (TEE, Titoli di Efficienza Energetica) per la produzione in Cogenerazione ad Alto Rendimento, CAR, e di autoconsumare l’elettricità senza essere gravato dagli oneri della rete, escluso quello per il soccorso.

Questo approccio schematico va poi calato nel contesto; si deve tener conto che un impianto di cogenerazione è in genere di taglia inferiore ai grandi impianti della rete, con costi unitari più elevati; poi, ogni utenza ha un suo specifico rapporto fra i consumi di elettricità e quelli di calore e può non essere facile trovare un generatore di elettricità e calore con lo stesso rapporto; infine va considerata la fiscalità diversa, per lo stesso combustibile secondo se usato per cogenerazione o produzione di calore. Tutti questi parametri possono cambiare nel tempo, ad esempio con l’introduzione delle pompe di calore ad alta temperatura, con l’evoluzione dei generatori e con la normativa.

L’elettricità è nata con la sua rete, mentre le reti per il calore non esistono salvo le applicazioni a bassa temperatura per il teleriscaldamento. Questo vincolo è stato superato dalla scelta di imprese elettriche di realizzare loro impianti di cogenerazione presso loro clienti ai quali vendono sia il calore che l’elettricità secondo i loro bisogni, oltre che generare elettricità che può andare, con la rete, ad altri consumatori.

Anche lo sviluppo delle fonti rinnovabili ha avuto le sue scelte. L’idroelettrico, vincolato ai corsi d’acqua, si è associato alle reti, così è avvenuto anche per l’eolico, mentre per il fotovoltaico si hanno sia applicazioni vicino all’utenza sia applicazioni per la rete. L’espansione in atto delle fonti rinnovabili è attualmente concentrata nella generazione di elettricità, con fotovoltaico ed eolico; le fonti rinnovabili termiche hanno rilanciato le applicazioni nel riscaldamento residenziale mentre le applicazioni per le reti e per i combustibili rinnovabili sono ancora in fase preliminare.

Quindi gli impianti di cogenerazione si troveranno ad avere una crescente concorrenza sulla rete elettrica mentre sulla domanda di calore si avrà solo la lenta ma continua riduzione legata all’aumento di efficienza. L’evoluzione è lenta ma continua, leggibile solo considerando l’intero quadro. Ad esempio, la caduta nel 2023 di 16 TWh nella generazione termica di sola elettricità è dovuta ad un recupero di 12 TWh dell’idroelettrico esistente, più che all’aumento di 6 TWh da parte di fonti rinnovabili di nuova installazione.

Il tema va analizzato sia per l’impresa di cogenerazione sia per l’impresa utente, ricordando sempre che la transizione ha richiesto un paio di decenni per avviarsi e durerà più di un altro decennio per l’affermazione delle fonti rinnovabili come riferimento principale. Ci sono pochi riferimenti per valutare come avverrà la transizione, per ora annunziata dalla sovrapproduzione in alcune zone nei week end estivi: con alcune ore attorno al mezzogiorno col prezzo di borsa PUN vicino allo zero, quindi con sconquassi, cannibalismo dei prezzi e instabilità; oppure grazie alla continua e crescente diffusione di nuovi accumuli si dovrebbe poter rendere meglio gestibile il passaggio, nel corso di una decina di anni, con riflessi positivi  attesi sulle tariffe per i consumatori oltre che nell’ambiente.

Fra l’altro servirà poco vedere cosa succede in Germania e Spagna dove prevale l’eolico con fasi di calma o di tempesta che durano giorni o settimane, perché in Italia prevale il FV che porterà sovrapproduzioni per poche ore al giorno per 6 mesi all’anno quindi con maggiori difficolta di raccordo fra domanda ed offerta.

La gestione del parco delle centrali deve tener conto delle necessità di tutte le varie categorie consumatori; con l’attuale ritmo di installazione di impianti di elettricità, fra 5-6 anni il fotovoltaico potrebbe d’estate coprire tutta la domanda sulla rete attorno a mezzogiorno, questa ipotesi non è proponibile, sia pur escludendo i rischi sulla costanza del servizio,  per almeno due motivi: primo gli utenti di calore  derivato dalla cogenerazione richiedono che questi impianti rimangano attivi, continuando a generare termoelettricità; secondo, gli impianti termoelettrici che debbono riprendere il carico, appena il FV comincia a calare, hanno dei limiti nelle rampe di potenza che possono sopportare quindi debbono essere accesi con una certa graduazione.

In Italia abbiamo una storica capacità di pompaggio idraulico per 8000 MW, purtroppo localizzata prevalentemente al nord lontano dalle aree di produzione rinnovabile. L’impiego di questa capacità di regolazione, con rendimenti attorno al 72%, è attualmente gestito in una logica economica della proprietà, si tratta di impianti pubblici ormai ammortati, la concessione andrebbe affidata a struttura finalizzata a favorire la transizione ed abbassare le tariffe ai consumatori, almeno per i periodi sempre più lunghi nei quali la copertura del mercato sarà assicurata da fonti rinnovabili a costi marginali prossimi allo zero. La limitata capacità di trasporto delle reti non permette di trasferire molta dell’energia generata a sud attorno a mezzogiorno, le nuove linee in programma, installate in mare per superare le difficoltà nei territori, saranno saturate dall’incremento impiantistico di un solo anno. La realizzazione di accumuli a batterie, finora prevalentemente accoppiata al FV residenziale, vede da quest’anno la prevalenza di impianti al servizio delle reti ed installati al sud.  

 

Il punto di vista dei produttori in cogenerazione.

A valle del CIP6, i cogeneratori oltre alla fornitura di elettricità e calore ai loro clienti connessi, hanno attivato anche una fornitura alla rete; queste forniture sarebbero le prime ad essere sostituite dalle fonti rinnovabili a cominciare dai mesi estivi, così come sono già state aggredite le tradizionali produzioni termoelettriche di sola elettricità da combustibili fossili, passate nel quindicennio 2007-2023, da 150 a 62 TWh. Il primo punto è capire quanta è la produzione di elettricità non legata alla produzione di calore e quindi potrebbe essere ridotta senza problemi per gli utenti del calore.

Ipotizzando un rapporto elettricità/calore di 1:1 per i motori a ciclo Otto, di 1:2 per i turbogas, di 1:0,5 per i cicli combinati e di 1:2 per le turbine a vapore, l’intero parco di cogenerazione 2023 accanto alla fornitura di 92 TWhe avrebbe un potenziale max di fornitura di 72 TWh di calore. Per avere una valutazione della situazione attuale, in mancanza di dati dalle imprese, bisogna far fede alle statistiche Terna sul consumo del calore derivato dalla cogenerazione; con tutte le riserve già ricordate, Terna indica 42 TWht forniti ai consumatori, di cui 25,5 TWht autoconsumati e 17,4 TWht venduti, sia con la generazione sul posto che con le reti di teleriscaldamento; gli impianti avrebbero ancora un forte surplus di generazione termica ma non un sovradimensionamento enorme.

Non va mai dimenticato che non ci sono contatori fiscali sul calore, data la complessità delle tubazioni negli stabilimenti e poi per la coesistenza di calore derivato con svariati recuperi interni, è naturale he vi siano quote rilevanti di calore prodotto che vengano dissipate, specie nelle fasi di crisi produttive e nei transitori. Oltre un certo limite ridurre la produzione elettrica finirà per causare anche una diminuzione della produzione di calore di recupero, diminuzione contrastabile in qualche nodo tale da permettere di mantener globalmente gli impegni coi clienti. Certo dopo decenni di globalizzazione e “just on time” saranno più rilevanti gli accumuli e la stagionalità con maggiori vincoli e rigidezze. Sostanzialmente i fornitori italiani in cogenerazione, con impianti non troppo vecchi ma abbastanza ammortati, dovrebbero essere in grado di mantenere prezzi competitivi per l’elettricità, specie al nord e fuori dalle ore attorno al mezzogiorno, mentre non si vedono problemi di competitività per la fornitura del calore, considerando anche che il kWh termico finirà per costare, come materia prima, di più di quello elettrico.

L’incentivo CAR è dato, per 12 anni, agli impianti che garantiscono una riduzione del 10% della fonte primaria, nella produzione associata di elettricità e calore. I dati sulla CAR vengono pubblicati biennalmente, con un certo ritardo; questi documenti del ministero Sviluppo Economico indicavano l’energia incentivata nell’anno, 30 TWh nel 2017 ma non indicavano quanti impianti ancora funzionanti avevano superato il periodo di incentivazione di 12 anni: non è così definito quanti impianti avranno ancora accesso al meccanismo in futuro.

Grazie a questo incentivo è continuata la realizzazione di nuovi impianti con motori e turbine, piccole taglie; dal 2017 al 2022 la cogenerazione in autoproduzione è salita da 18,6 a 20,6 TWh, quella con motori è passata da 15,5 a 17,7 TWh, quella con turbine è passata da 4,8 a 6,8 TWh, mentre quella dei grandi cicli combinati è diminuita da 79,7 a 71,7 TWh. L’anno dopo, il 2023 caratterizzato dalla risalita dell’idraulico, motori e turbine hanno mantenuto la produzione mentre i cicli combinati sono scesi a 63 TW. I dati del 2024 daranno indicazioni sulla evoluzione in corso.

Sostanzialmente l’offerta, di elettricità e di calore, della cogenerazione appare mantenere la sua validità, almeno per il prossimo decennio, anche quando il PUN, per molte ore al giorno, almeno nei mesi estivi, dipenderà dal prezzo delle rinnovabili e non da quello del metano, tenendo conto che a quel momento il kWhe rinnovabile non sarà più, prevedibilmente, offerto a zero come avviene oggi.

 

Il punto di vista dei consumatori di elettricità e di calore derivato.

Molto più difficile prevedere la situazione dal lato della domanda degli attuali consumatori dei prodotti della cogenerazione, elettricità e calore, sia in autoconsumo sia con produzione in loco.

Le tariffe elettriche dovrebbero diminuire nella quota materia prima, potrebbero invece aumentare nella quota per oneri di sistema e garanzia del servizio, per le reti da realizzare per trasportare le nuove rinnovabili da sud a nord. Nei sistemi di incentivazione l’elettricità rinnovabile italiana risulta più cara che in altri paesi della UE, sia per la complessità de processo autorizzativo che del prezzo dei suoli, voci di costo ormai preponderanti rispetto ai pannelli.

Ci si aspetta una diminuzione delle tariffe per effetto dell’aumento della quota di rinnovabili, il primo effetto visibile è la sovraproduzione nei fine settimana di maggio 2025, con molte ore col prezzo a zero; non si vorrebbe certo una cannibalizzazione diffusa per eccesso dell’offerta; i venditori di elettricità rinnovabile dovranno trovare il modo per non suicidarsi, imparando a chiedere un prezzo per la loro produzione. Hanno un certo tempo per imparare, se continuassero ad offrire a zero in tutti i fine settimana estivi e d’agosto, finirebbero per regalare quasi metà della loro produzione annua.

La sostituzione del calore acquistato non vede risposte facili. Il calore decarbonizzato non ha visto innovazioni tecnologiche rivoluzionarie in questi decenni. Occorre ricordare che, in Italia, il calore per applicazioni industriali ha, per effetto della diversa fiscalità, costi molto più bassi del calore per usi civili; i consumatori civili rimarranno interessati a comprare calore derivato dalle reti a prezzi molto più alti, ricordando però che la loro domanda è concentrata nei mesi invernali e in poche ore al giorno, sarà un calore con costi fissi molto alti anche se per motivi commerciali la tariffa sarà sul consumo marginale.

La gerarchia degli interventi possibili per la riduzione degli acquisti di calore derivato da cogenerazione prevede: 1) riduzione della domanda tramite più attenta conduzione degli impianti e delle loro regolazioni, 2) elettrificazione della produzione di calore mediante pompe di calore elettriche, 3) produzione di calore rinnovabile.

La riduzione della domanda è l’intervento iniziale fondamentale, anche se non potrà sostituire tutta la domanda, la può ridurre notevolmente; occorre integrare il calore acquistato con il calore recuperabile dal processo, mettere in cascata di temperatura gli utilizzi, ridurre gli sfasamenti fra cicli con gli accumuli, integrando uso del calore con il ciclo delle condense, quello delle acque ed il trattamento degli scarichi. Le modifiche impiantistiche sono costose, impattano sugli spazi e possono chiedere la riorganizzazione dei processi, difficili da fare per limite di spazio nei vecchi stabilimenti. Oltre agli strumenti ed ai sensori è fondamentale la formazione del personale a tutti i livelli.

Una volta ridotta la domanda ed individuati flussi di calore a basso costo, disponibili all’interno o nell’ambiente circostante, si possono valutare le potenzialità offerte dalle pompe di calore per temperature di impiego ormai sperimentate fra 150-200 °C. L’ipotesi pompe di calore oggi è proposta per il riscaldamento civile con l’ambiente esterno come sorgente fredda; per le applicazioni industriali si dovranno ricercare scarichi industriali a temperature interessanti, separandoli prima dalla miscelazione di tutti gli effluenti. La diffusione delle pompe di calore per le industrie si evidenzierà, se e quando, a valle della raggiunta abbondanza di elettricità rinnovabile a tariffe in diminuzione, nei prossimi anni.

L’impiego di calore rinnovabile, al di là delle iniziative esplorative, vede oggi attivi solo impianti a biomassa; ci sono in Italia centrali elettriche da 20-40 MWe, decine di centrali da 10 MW termici ad olio diatermico a 350°C con ciclo Rankine, adattissime ad uso industriale, centinaia di caldaie ad acqua calda. Queste caldaie operano nel teleriscaldamento, dove le tariffe del calore residenziale sono elevate ma ci sono i costi delle reti, tenute calde tutto l’anno, con le vendite limitate a 1500 -2000 ore all’anno, con solo qualche decina di giorni di pieno carico. La barriera alle caldaie a biomassa non è di tipo tecnico-normativo, coi filtri a maniche le emissioni rientrano nelle norme; non è economica, ci sono dei forni da calce alimentati a biomassa, ma è logistica ed organizzativa, serve molto spazio per il deposito del legname di servizio, possibilmente vicino all’utenza di calore, la fornitura di cippato, legname sminuzzato, non è ancora ben strutturata e va curata personalmente, così la gestione delle ceneri. L’Italia ha tanti boschi abbandonati in espansione, si taglia solo una frazione ridotta dell’accrescimento mentre si importa materiale; l’industria forestale, sparita 80 anni fa, insieme al carbone di legna, stenta a strutturarsi. Come tutte le filiere rinnovabili anche le biomasse termiche richiedono un grande sforzo economico ed organizzativo per cominciare.

Complessivamente rinunciare ad una fornitura di elettricità e calore da un impianto di cogenerazione sarà possibile ma richiederà tempo, investimenti e specifiche attenzioni.

 

Rapporti fra gli impianti di cogenerazione e la rete

Dai dati di TERNA per il 2023, dalla sezione produzione e dalla sezione consumi, con tutte le incertezze sulle misure del calore, si rileva che gli impianti di cogenerazione italiani hanno generato, netto, 92 TWh elettrici e 42,6 TWh di calore derivato.

Queste energie sono state in parte autoconsumate dai produttori e in parte cedute a terzi, in particolare 27 TWh elettrici (scorporando l’autoconsumo PV) e 25,2 TWh di calore sono stati autoconsumati, mentre 65 TWhe e 17 TWht sono stati ceduti, sia direttamente che tramite le reti. Si conferma il forte sovradimensionamento degli impianti di generazione.

Gli operatori elettrici in forte autoconsumo hanno un rapporto meno vincolante con la rete elettrica, in particolare gli auto-produttori, col vincolo del 70% di autoconsumo, essi hanno generato in cogenerazione 21,5 TWhe, autoconsumandone più di 15 TWhe, non hanno vincoli dal mercato.

Ugualmente, gli operatori con impianti realizzati presso i loro clienti - tipo A2A negli aeroporti milanesi - non utilizzano la rete per il trasporto dell’elettricità ceduta all’aeroporto, essi dovrebbero poter operare in totale autonomia per la produzione indirizzata al cliente fisicamente connesso. Gli operatori che cedono alla rete elettricità generata in connessione con la produzione di calore derivato a basso carbonio dovrebbero poter avere una valorizzazione di questa energia termica rinnovabile in occasione delle priorità al dispacciamento e all’utilizzo delle reti elettriche. Questa valorizzazione richiederà sia una certificazione dell’energia termica rinnovabile generata, ad esempio sullo schema del riconoscimento CAR, sia una più elaborata valutazione dell’accesso al dispacciamento che premi, oltre all’efficienza, anche la programmabilità.

Attualmente, la regola base del dispacciamento elettrico è la priorità, a parità di prezzo, data alle fonti rinnovabili rispetto alle fonti fossili. Le fonti rinnovabili, finché erano minoritarie, potevano offrire a zero, sicure di vedersi riconosciuto il prezzo di borsa; ormai il ruolo delle rinnovabili è cresciuto e la loro offerta esuberante porta il prezzo unificato PUN a zero, per molte ore nei week-end dei mesi estivi. L’offerta a zero porterebbe rapidamente ad autocannibalizzare metà degli incassi attesi del PV (week-end estivi e tutto agosto), essa andrà rapidamente superata trovando nuovi equilibri. Per ora, non sono previsti prezzi negativi per sovraproduzione ma è la rete che si protegge, operando direttamente distacchi di produttori.

Si è in attesa del già programmato passaggio dal prezzo nazionale dell’elettricità al prezzo zonale, che dovrebbe evidenziare gli investimenti e le perdite connessi col trasporto per1000 km del PV dal sud. Gli impianti di cogenerazione sono generalmente al nord, sono programmabili e sono ammortati, non dovrebbero avere difficoltà a trovare il mercato per la loro elettricità.  Rimane, rafforzato dopo il blackout spagnolo, il privilegio della rete per i produttori con masse rotanti con la loro inerzia, rispetto a produzioni controllate esclusivamente dall’elettronica. 

Poi si dovrà trovare il modo di rendere compatibili sia i PPA, i contratti pluriennali di fornitura, sia le previste realizzazioni compensative della legge sui Rilasci di Energia, con le regole del dispacciamento e con l’intasamento delle linee di trasporto dal sud; questi due provvedimenti sono, per ora, le possibili vie predisposte per separare il prezzo al consumo dell’elettricità rinnovabile dal prezzo di borsa legato al metano di importazione. 

 

Valutazione delle prospettive della cogenerazione.

Lo scenario SNAM-TERNA del 2022 valuta che per il 2030 resteranno operanti solo gli impianti di cogenerazione ad alto rendimento (CAR), fondamentalmente sulla base dell’esistenza del calore dissipato da molti impianti, fenomeno negativo da eliminare. Il mio parere è meno negativo.

L’analisi svolta nelle pagine precedenti porta a ritenere che l’incentivo della CAR possa esaurirsi, che la dissipazione del calore sia anche una condizione strutturale per la mancanza di reti per il calore e di accumuli, ma che i fornitori con impianti ammortati possano abbassare un poco le tariffe elettriche, mentre i clienti abbiano difficoltà ben maggiori per sostituire le forniture di calore dagli impianti di cogenerazione.

Da questo complesso di interazioni deriva la valutazione che continuerà la diminuzione di produzione delle grandi macchine ma sarà un processo molto lento e distribuito su molti anni. Fondamentale sarà il ruolo degli accumuli, prima giornalieri poi stagionali.

La CAR contribuisce invece alla continua realizzazione di nuovi impianti di piccola taglia, con motori e turbine, inseriti nei processi produttivi, ad esempio per l’essiccazione dei granulati; questi impianti portano l’autoconsumo e rientrano nell’autoproduzione. La produzione di combustibili a basso carbonio, se sarà realizzata, chiaramente rilancerà la cogenerazione anche se, forse, con macchine diverse dalle attuali.

La cogenerazione rimane il modo di utilizzo più efficiente, 75-80%, delle potenzialità dei combustibili, per cui appare la destinazione ottimale dei nuovi combustibili a basso carbonio, come il biometano, derivato dalla fermentazione di biomasse. Il biometano è invece attualmente destinato agli autoveicoli tradizionali, con motori con rendimenti 25-30.