DIFESA NATURALE
Questi ecosistemi, molto diffusi nei Paesi confinanti con la Russia, possono fungere da fossati anticarro difficili da varcare. La loro riumidificazione non è “solo” un tema climatico e ambientale, ma riguarda anche la sicurezza del nostro continente. Dalla newsletter settimanale di Greenkiesta.
In Copertina: Foto Flickr
Occupano solo il tre per cento della superficie terrestre ma immagazzinano il doppio del carbonio rispetto alle foreste. E possono aiutarci a risolvere due problemi in un colpo solo: la crisi ecoclimatica e le minacce della Russia di Vladimir Putin. Stiamo parlando delle torbiere, ossia delle zone umide dove i resti delle piante si accumulano senza marcire del tutto, formando uno strato chiamato torba.
L’ultimo a parlare delle capacità difensive di questi ecosistemi è stato il biologo olandese Hans Joosten, spesso chiamato «il Papa delle torbiere» dai colleghi più o meno intimi. Classe 1955, ha lavorato per il ministero dell’Agricoltura dei Paesi Bassi e dirige il dipartimento dell’università tedesca di Greifswald dedicato agli studi sulle torbiere e la paleoecologia; ha collaborato a diversi report dell’Ipcc, è stato coinvolto dalle Nazioni unite nelle negoziazioni delle Cop e ha vinto il “Research award sustainability” assegnato dal governo federale tedesco. Insomma, non è esattamente il primo dottorando che passa per strada.
I vantaggi, spiega Joosten in un’intervista al Financial Times, sono «troppi per essere trascurati». Ripristinando le zone umide del pianeta possiamo «rafforzare la nostra capacità difensiva», con benefici per «il clima, la biodiversità, l’approvvigionamento idrico e il controllo delle colture». Le torbiere possono essere profonde un metro o dieci metri: sono l’incubo di qualsiasi carro armato o mezzo pesante usato all’interno di una guerra.
Secondo le stime, questi ambienti paludosi possono sopportare un carico inferiore del settantacinque per cento rispetto ai terreni prosciugati. Ecco perché Joosten ritiene che possano rivelarsi delle linee difensive fondamentali per impedire all’esercito del Cremlino di avanzare ulteriormente, in Ucraina ma non solo.
La proposta del biologo non si basa sulle favole, ma su scenari di guerra realmente accaduti e documentati. Poco dopo l’invasione russa del 24 febbraio 2022, l’esercito ucraino ha creato delle voragini sul muro di una diga lungo il fiume Irpin (nord-ovest di Kyjiv), allagando la valle che stava per essere raggiunta dai russi.
L’area, si legge in un approfondimento pubblicato dall’università di Yale, si è trasformata nel giro di pochi giorni in una pianura alluvionale fangosa, fermando l’avanzata degli uomini di Vladimir Putin. Le immagini dei carri armati russi impantanati e abbandonati hanno fatto il giro del mondo.
Che ci piaccia o no, la natura è anche un’arma difensiva. L’esito di tantissime battaglie storiche è stato condizionato dalla presenza di paludi, torbiere, montagne, fiumi, laghi. È un insegnamento utile in un periodo in cui i Paesi dell’Unione europea si preparano a stanziare miliardi di euro per il riarmo: gli investimenti nella tutela e nel ripristino degli ambienti naturali possono generare innumerevoli benefici indiretti.
Nella valle del fiume Irpin, «molti carri armati e altri veicoli blindati dei russi sono semplicemente sprofondati nel terreno perché il paesaggio è ricco di torbiere», spiega Oleksii Vasyliuk, zoologo dell’Ukrainian nature conservation group. La battuta d’arresto è stata talmente pesante da costringere la Russia a stravolgere i propri piani, rinunciando all’invasione della capitale e concentrando gli attacchi via terra all’interno delle regioni più aride nell’Ucraina sudorientale.
L’esercito ucraino recupera un carro armato russo abbandonato in una torbiera (Kanal13/YouTube)
Le zone umide, spiega Viktor Kevliuk del Centro per le Strategie di Difesa di Kyjiv, hanno svolto il ruolo di «fossati anticarro»; mentre la «natura ha fatto il suo lavoro, l’Ucraina ha avuto il tempo di rafforzare l’esercito lungo la riva destra dell’Irpin». L’esercito ucraino, dopo questa vittoria per certi versi casuale, ha spesso fatto affidamento su fiumi, pianure alluvionali e torbiere.
L’Estonia vuole prendere ispirazione: «Stiamo usando tutto ciò che possiamo» per rafforzare il confine con la Russia, puntando anche su «ostacoli naturali come paludi, torbiere o laghi», racconta al Financial Times il primo ministro Kristen Michal. Stando a un’indiscrezione di Politico.eu, i governi di Finlandia e Polonia stanno «attivamente» valutando la riumidificazione delle torbiere come misura «polivalente» per difendere i confini e contrastare il cambiamento climatico. Più prudente, invece, il governo tedesco, che ritiene il tema «non prioritario» in questo momento.
Lo sfruttamento militare delle torbiere è un argomento caldo tra gli scienziati polacchi e ucraini, che guardano ai primi successi militari di Kyjiv per studiare una sorta di strategia europea di difesa naturale su larga scala. L’obiettivo è ripristinare migliaia di chilometri di zone umide lungo i confini orientali del continente, concentrandosi sulle vaste torbiere presenti in Scandinavia, nei Paesi Bassi e nella regione della Polesia, che si estende tra Ucraina, Bielorussia e Polonia.
La prima proposta è stata messa nero su bianco dal già citato Hans Joosten insieme alla collega Franziska Tanneberger e all’imprenditore Malte Schneider, direttore generale della società berlinese Aeco, specializzata nel ripristino delle zone naturali. «La guerra di aggressione russa contro l’Ucraina – si legge in un loro appello pubblicato ad aprile – ha chiarito che l’Europa deve ripensare le proprie strategie difensive», ma gli investimenti in armi convenzionali devono essere integrati da «soluzioni innovative, economiche e sinergiche» come la riumidificazione delle torbiere. Si tratterebbe, scrivono, «di una misura capace di promuovere sia la sicurezza europea, sia la protezione della natura e del clima».
Il sistema di “barriere umide” immaginato dagli esperti comprende tre ampie fasce di torbiere (già esistenti e recuperate) in Ucraina, Polonia orientale, Paesi Baltici, Finlandia e Romania, così da creare una solida linea difensiva lungo il fronte. Meglio ancora, secondo loro, coinvolgere anche alcune aree della Germania orientale. Costo totale: tra i duecentocinquanta e i cinquecento milioni di euro, da chiedere all’Unione europea.
A causa dello sfruttamento agricolo e della necessità di combustibile (la torba), molte torbiere europee si sono gradualmente prosciugate, trasformandosi in una preoccupante fonte di anidride carbonica e ossido di azoto. A differenza delle classiche paludi, le torbiere non entrano in contatto con le acque freatiche (quelle sotterranee) e hanno uno strato superficiale che riceve esclusivamente pioggia.
La siccità e lo sfruttamento agricolo stanno privando le torbiere del loro elemento chiave: l’acqua. Il risultato, spiega il Wwf, è che «l’ossigeno entra nel terreno e la torba inizia a decomporsi, rilasciando nell’atmosfera il carbonio legato nel suolo come CO2». Secondo le principali stime, la decomposizione delle zone umide è responsabile del cinque per cento delle emissioni di CO2 – il principale gas climalterante – su scala globale.
Per riportare in vita una torbiera è necessaria tanta acqua piovana. Per non disperderla, l’uomo deve effettuare interventi strutturali capaci di chiudere i fossi di drenaggio, ripristinando le condizioni originarie della zona umida. Queste operazioni, però, ridurrebbero il terreno coltivabile a disposizione, incontrando l’opposizione dei già arrabbiatissimi agricoltori europei.
Secondo Joosten, senza il loro recupero sarà impossibile centrare il target europeo delle emissioni nette zero entro il 2050. Non a caso, la Nature restoration law dell’Ue ha imposto l’obiettivo di riumidificare il trenta per cento delle torbiere drenate entro il 2030 e il cinquanta per cento entro il 2050. Una delicatissima questione climatica, ma anche bellica.
*Fabrizio Fasanella, giornalista, scrive per GreenInkiesta, newsletter settimanale de Linkiesta