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2025-01-22 13:18

L’Europa e la Sua Guerra d’Indipendenza

ENERGIA E DEMOCRAZIA

di: 
Diego Gavagnin

Pubblichiamo un intervento tenuto dall’autore in occasione dell’assemblea annuale di Libertà Eguale, a Orvieto, qualche settimana fa. Il tema dell’energia è trattato solo in via indiretta, come spunto per parlare di globalizzazione e per riflettere sulle prospettive della democrazia, nel nuovo ordine mondiale che sembra delinearsi.

Foto di Copertina: Pixabay, denzel (https://pixabay.com/users/denzel-608477/)

Inizio con una buona notizia. La prima battaglia della guerra economica scatenata da Putin nel settembre 2021 è vinta. L’Europa sta riuscendo, anche se con molta sofferenza, a superare questo inverno nonostante i tagli del gas russo. [1]

Sulla distanza la sofferenza condivisa fortifica e consolida il senso di appartenenza. Così come è stato con la reazione alla pandemia.

È questa la prima vittoria, e sarà così anche se arrivasse il freddo freddo nel prossimo mese e mezzo. E adesso assistiamo ad un maggiore impegno nell’aiuto militare dei paesi europei in appoggio all’Ucraina. Penso ci sarebbe anche senza le pressioni degli USA. La Russia fa meno paura.

In dissolvenza l’incubo del ricatto energetico, ne ho scritto qui. L’aggressione russa sta sempre più assumendo la sua qualità di prima guerra di indipendenza europea. Ciò che secondo me è. [2] Quella terra è stata a lungo greca, romana, bizantina. In Crimea c’erano i genovesi, Odessa è stata fondata da un italiano. Il popolo ucraino si sente europeo e in Europa vuole stare. Soprattutto, vuole libertà e democrazia.

Non solo, sono stati gli stessi russi a motivare l’aggressione con la necessità di un “cambio di regime” in Europa e nell’Occidente, dichiarando l’intento di sostituire non solo quella ucraina, ma tutte le nostre democrazie “malate” con “regimi sani”, come dicono essere il loro.

Con l’Ucraina è stata aggredita l’essenza stessa dell’indipendenza del popolo europeo, la sua libera scelta per sistemi politici basati sulla libertà e il perseguimento dell’eguaglianza di diritti e doveri. E non possiamo scordare che la guerra economica contro l’Europa è iniziata addirittura sei mesi prima dell’aggressione militare. [3]


Chiamare le cose con il proprio nome

C’è da chiedersi perché lo scorso anno non abbiamo chiamato le cose con il loro nome. Siamo stati e siamo in guerra, tutti noi. Gli effetti sul PIL europeo lo dimostrano. La carenza di energia con la conseguente esplosione dei prezzi e l’aumento delle povertà colpisce come le bombe.

Abbiamo avuto paura di usare questa parola. Forse anche per non spaventare gli operatori economici o semplicemente per il desiderio di mantenere la nostra tranquillità.

Se una critica posso fare al governo Draghi è di non aver lanciato subito una seria campagna di efficienza energetica, che avrebbe potuto essere avviata fin dal marzo scorso, invece di lasciare le imprese a fare da sé sotto la pressione dei prezzi.

Il che, vista la riduzione della produzione industriale di gran lunga inferiore a quella del calo dei consumi settoriali di gas ed elettricità, ci dice anche che maggiori efficienze avrebbero potuto essere in vigore anche molto prima della stessa guerra.

Questo però ci dice anche che il prezzo del gas era “drogato”, più basso di quanto avrebbe determinato il mercato, perché offerto dall’operatore dominante russo in funzione delle sue strategie geopolitiche di lungo corso. Le mancate consegne di gas da settembre 2021 in poi hanno disvelato la strategia energetica di Putin e il rifiuto del mercato, meglio, della sua strumentalizzazione.

L’altra buona notizia è che finalmente il nostro mondo, l’intero occidente, ha aperto gli occhi sulle tante dipendenze dai paesi non democratici, nella sanità, in alcune importanti materie prime, nell’alimentare, nell’informatica, in numerose componenti tecnologiche essenziali, non meno pericolose di quella energetica.

È un problema non più eludibile, che mette in gioco le prospettive della globalizzazione, che ha dimostrato pur tra le sue contraddizioni di essere la migliore soluzione per la riduzione delle diseguaglianze mondiali e la riduzione della povertà.

A cosa si riferiva Biden quando poco dopo l’inizio dell’aggressione ha parlato di Alleanza delle democrazie? E che obiettivi ha il secondo vertice per la democrazia promosso per fine marzo?  Gli USA stanno provvedendo alla propria indipendenza economica, con ingenti investimenti sia in materia energetica sia nella componentistica elettronica.

In Europa ci siamo offesi, perché c’è il timore che gli aiuti decisi portino al trasferimento negli USA delle nostre aziende più tecnologiche, attirate dai loro incentivi. Ma investimenti collettivi adeguati possiamo permetterceli anche noi, come Europa, e invece di lamentarci dovremmo avviare una seria analisi delle nostre specifiche dipendenze e iniziare a provvedere, in collaborazione con le altre democrazie.

 

Militarizzazione dell’economia

In Italia se ne è parlato poco eppure il Concetto strategico della Nato approvato a giugno 2022 affronta esplicitamente la questione, sia pur senza usare la parola “guerra”, però dichiara che “L’area euro-atlantica non è in pace” perché ha preso forma “la sfida revisionista contro l’ordine internazionale post guerra fredda”.

Le potenze autoritarie, – e qui mi affido alla sintesi [4] fatta in un recente intervento dal Prof. Gabriele Natalizia dell’Università di Roma – la Russia, e per la prima volta viene citata anche la Cina, minacciano la democrazia sfruttando la natura aperta delle società occidentali. Cercano di minare la tenuta della democrazia con azioni che distorcono le elezioni, utilizzano come leve di ricatto le migrazioni, l’energia e in generale l’economia, cercano di sovvertire le regole dello spazio e del cyberspazio. Inquinano il mondo dell’informazione, la cui pervasività, con la diffusione dei social è incontenibile.

Nel Concetto strategico si parla poi della vulnerabilità delle infrastrutture e delle catene di fornitura del sistema sanitario e del cambiamento climatico, le cui conseguenze potranno aumentare i rischi della competizione tra chi ha e chi non ha le risorse tra Paesi autoritari e democratici.

Il tempo attuale è critico in termini di sicurezza, pace interna e stabilità. È necessario abituarsi alle minacce e prepararsi per decisioni rapide. Minacce anche sotto la soglia della violenza ma non per questo meno pericolose. Attività informatiche ostili, operazioni aggressive verso, da e all’interno dello spazio e operazioni ibride contro gli alleati della Nato potrebbero raggiungere il livello di attacco armato. Secondo il nuovo Concetto strategico, tutte queste situazioni potrebbero portare a invocare l’Articolo 5, che prevede l’attivazione della difesa militare.

Abbiamo sposato in maniera acritica l’idea che la globalizzazione e l’interdipendenza economica, anche tra Paesi con regimi differenti e appartenenti ad altri sistemi di alleanza, avrebbero smussato le tensioni, favorito la cooperazione rinunciando alla competizione. L’interdipendenza non ha prodotto i risultati che ci aspettavamo in termini cooperativi.

Analisi simili sono ribadite nella più recente, ottobre, National Security Strategy degli Stati Uniti, che sull’energia ricorda che “Abbiamo sperimentato una crisi globale provocata dalla Russia usando le forniture di petrolio e gas che controlla, esacerbata dalla gestione delle proprie forniture da parte dell'OPEC. Questa circostanza sottolinea la necessità di una transizione energetica globale accelerata, giusta e responsabile”.

 

Due globalizzazioni?

Qui sottolineo il riferimento al cartello petrolifero OPEC, integrato dalla Russia e gestito dalle non democrazie arabe. Non ci sono infatti solo i grandi competitori come Russia e Cina, ma anche una serie di Paesi intermedi i cui regimi si trovano ovviamente a proprio agio nella vicinanza alla Russia e alla Cina.

Ma io credo che non ci sarà più posto per i “non allineati”, nei prossimi anni. O si starà di qua o si starà di là. [5]

In ogni caso, aggiunge il documento, “la governance democratica supera costantemente l'autoritarismo nella protezione della dignità umana, porta a società più prospere e resilienti, crea partner economici e di sicurezza più forti e più affidabili e incoraggia un ordine mondiale pacifico”.

Il documento firmato da Biden aggiunge: “Alcune parti del mondo sono a disagio con la competizione tra gli Stati Uniti e le più grandi autocrazie. Comprendiamo queste preoccupazioni. Vogliamo anche evitare un mondo in cui la concorrenza si intensifichi in un mondo di blocchi rigidi”.

Qui il riferimento esplicito è al futuro della globalizzazione. Il problema è che per evitare blocchi rigidi, cioè due globalizzazioni distinte, una delle democrazie e l’altra delle non democrazie, è necessario che l’occidente democratico sia in grado in ogni momento di trovare forniture alternative al suo interno, in grado di supplire a ricatti di qualsiasi tipo.

 

Democrazia e pace non hanno prezzo

Questo certamente avrà dei costi aggiuntivi. D’altro canto, anche le spese per la difesa militare sono dei costi aggiuntivi, per chi anela ad un mondo di pace. Mi limito ad un solo esempio, che conosco meglio. Portare gas all’Europa dall’Australia e dagli USA, come pure si fa, costa più che portarlo dal Qatar o dall’Algeria, ma dobbiamo in ogni momento essere pronti a riceverlo.

Dopodiché l’attrazione per le libertà civili e la democrazia è troppo forte indipendentemente dal grado di rigidità che potrà avere il nuovo ordine mondiale che si delinea. L’attrazione della democrazia riguarda i popoli, non i regimi, [6] anche se ciascuna nazione deve seguire il proprio percorso, così come è stato per l’Italia dal 1848 al 1948, dallo Statuto Albertino alle prime elezioni davvero democratiche.  

Adesso per le democrazie consolidate, e soprattutto per le nostra, sempre incerta sulla propria identità e collocazione nell’ordine mondiale, è il momento delle scelte. È sempre meno accettabile rifugiarsi nel “realismo” nei rapporti, non solo economici, con Paesi autoritari.

Penso si riferisse anche a questo il presidente Mattarella quando nel discorso di fine anno ha detto: “Facciamo sì che il futuro delle giovani generazioni non sia soltanto quel che resta del presente ma sia il frutto di un esercizio di coscienza da parte nostra”.

 

Note aggiunte

[1] L’Occidente ha reagito, ma solo dopo l’aggressione militare, con sanzioni economiche e aiuti militari all’Ucraina. Al momento gli aiuti militari sembrano incidere più di quelli economici, ma non in prospettiva. Gli alti prezzi di gas e petrolio permettono ancora a Putin di avere risorse per finanziare la guerra ma la Russia non può credere che dal 2024 compreremo ancora il suo gas e il suo petrolio. Questo determinerà il crollo economico e probabilmente la guerra civile, in ogni caso la fine di Putin.

[2] In realtà, come mi ha fatto riflettere Rosa Filippini, si tratta della seconda guerra di indipendenza europea, la prima, vinta come vinceremo questa, è quella che ha fatto crollare il muro di Berlino. Investimenti in tecnologie e difesa, grazie alla superiorità della libertà economica, dispiegamento di missili cui la Russia non è stata in grado di reagire, fino al tracollo economico. Poi la libertà per i Paesi europei dell’ex Unione Sovietica. 

[3] Alle valutazioni di Putin sulle debolezze europee, per pura fortuna errate, hanno molto contribuito le avveniristiche scelte ambientali “tutto rinnovabile subito”, immaginabili solo perché l’Europa era tranquillamente seduta sul gas russo. L’infatuazione green si è persa per strada la sicurezza energetica.

[4] Qui l’intervento del Prof. Natalizia all’evento on line di Canale Energia “Infrastrutture strategiche e sicurezza energetica” https://youtu.be/JUldKlWLfNE?t=401

[5] È finita l’era in cui i regimi di molti Paesi, non democratici, si sono barcamenati e hanno lucrato tra aiuti finanziari, investimenti e forniture militari forniti dalla Russia (oggi anche dalla Cina) e dai Paesi occidentali. La militarizzazione dell’economia che si prospetta obbligherà a scelte di campo irrevocabili.

[6] Come non pensare all’IRAN, in questo momento, e all’impotenza dell’Occidente? Quando Gheddafi massacrava il suo popolo siamo intervenuti, poi abbiamo capito che non si esporta la democrazia con le armi. Ma che fare?