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2024-03-19 04:15

Sarà Meglio Adattarsi

CAMBIAMENTI CLIMATICI

di: 
Fabio Pistella

Comincia a emergere la consapevolezza che sui cambiamenti climatici è meglio costruire risposte di adattamento piuttosto che inseguire esclusivamente prospettive irrealizzabili e costose di controllo delle emissioni di carbonio. Lettura critica delle conclusioni raggiunte nella Conferenza sui cambiamenti climatici, COP 21, a distanza di due anni.

In un articolo sull’Astrolabio di due anni fa (16 dicembre 2015) commentavo con preoccupazione i risultati della Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici, COP 21.

“Non saranno i risultati del vertice mondale del clima che si è tenuto a Parigi a indicare come muoverci; abbiamo avuto ancora una volta solo previsioni di catastrofe universale, impegni generici sull’obiettivo di evitarla, ma nessuna concreta azione o almeno programma concreto di interventi condivisi, solo whisful thinking, come purtroppo è stato per i trascorsi 25 anni. Le novità sono state: una migliore cosmesi espositiva (coinvolgimento verbale anche dei paesi finora scettici come Cina e USA recentemente “rinsaviti” a parole - ma, forse, parole pronunciate “incrociando le dita” a significare non l’auspicio scaramantico di avveramento, ma al contrario la “riserva mentale” di origine gesuitica); la promessa di un futuribile fondo per i paesi svantaggiati; l’escamotage di una revisione periodica ogni 5 anni (forse nuove previsioni oracolistiche sull’avvicinamento o meno al tetto di 2° C che ci protegga dalla catastrofe); coinvolgimento della World Trade Organization WTO.”

L’articolo aveva una parte propositiva che indicava due percorsi in linea con l’originaria impostazione della prima fase dei lavori dell'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) quando la componente scientifica era veramente prevalente e si sosteneva la scelta di accompagnare l'azione di mitigation (evitare i cambiamenti climatici) con quella di adaptation (contenere i danni attesi dai cambiamenti climatici).

Sul fronte dell’adaptation l’articolo sull’Astrolabio proseguiva osservando:

“Per chi crede alle fosche previsioni IPCC, dovrebbe essere prioritaria la messa in sicurezza del territorio rispetto a eventi meteorologici eccezionali: linea d'azione comunque condivisibile anche da parte di chi non ci crede perché corrisponde a un'esigenza che si pone comunque”.

“Più che fermarsi a prevedere lo scenario tendenziale e a dipingere a tinte fosche le drammatiche conseguenze, occorre agire perché la reale situazione futura sia diversa da quella che oggi i modellisti ufficiali ci raccontano.”

“Niente ci è stato detto sull’esigenza di mettere in sicurezza il territorio realizzando la strategia “di adattamento” (nel linguaggio esoterico[1] dell’IPCC) basata sull’ovvia osservazione che varie tipologie di eventi estremi si possono anche evitare con opportuni interventi.”

Sul fronte delle strategie energetiche percorribili e in grado di contenere le emissioni di CO2 partendo dalle valutazioni di un rapporto dell' IEA (International Energy Agency) di Parigi osservavo la necessità di:

“promuovere:

  • efficienza energetica in tutte le forme in tutte le forme in fase sia di produzione (meno fonti primarie per Kwh prodotto) sia di consumo concentrando gli investimenti nei Paesi come Cina e India, dove la crescita sarà maggiore e l'efficienza attuale è più bassa
  • utilizzo delle due fonti preminenti previste dallo studio: gas naturale accompagnato dall’uso del carbone con l’uso di tecnologie avanzate, per esempio tramite gassificazione auspicabilmente con sequestro della CO2; questo mix corrisponde, oltre che ad esigenze di diversificazione, a un’ipotesi di condivisione di segmenti significativi della logistica e soprattutto, in prospettiva, alla garanzia che, anche se dovesse salire il prezzo del gas, invertendo le attuali tendenze, non potrebbe significativamente eccedere quello del gas da carbone (secondo la ben nota teoria economica dei prodotti fungibili o succedanei)
  • sviluppo di fotovoltaico di nuova generazione più efficiente e più economico e, più in generale, delle rinnovabili in grado di sostenersi economicamente senza sussidi che stravolgano il mercato e appesantiscano la bolletta elettrica.”

 

Un anno dopo, una più ampia contestualizzazione dei cambiamenti climatici nella sfida post globalizzazione

Trascorso un anno, ho ripreso l’argomento alla Ottava Conferenza sull’efficienza energetica degli Amici della Terra del 21 e 22 novembre 2016, mettendo l’accento sulla necessità di una strategia realistica che consenta di affrontare, contestualmente ai problemi ambientali, le cause e gli effetti drammatici delle crisi politiche, degli eventi bellici, della povertà, delle migrazioni.

“Più in generale, un disegno di intervento di largo respiro darebbe occasione per una migliore finalizzazione e sinergia tra le numerose e spesso sovrapposte Agenzie delle Nazioni Unite, dalla FAO all’UNEP. La recente nomina di un nuovo valente Segretario Generale delle Nazioni Unite potrebbe portare a un processo di riforma ed efficientamento anche avvalendosi dell’entusiasmo e della mobilitazione per un obiettivo così ambizioso e motivante.

“Si sta diffondendo la consapevolezza che le crisi politiche con risvolti bellici, le difficoltà economiche e sociali (a cominciare da quelle africane), le migrazioni e perfino il terrorismo sono fenomeni inestricabilmente connessi che non ha senso affrontare singolarmente. Bisogna riconoscere che con il Migration Compact il governo italiano ha disegnato un percorso che merita di essere approfondito. La sua udienza in ambito europeo è una parabola, partita con le critiche, passata per una effimera condivisione e relegata in un colpevole oblio. Eppure, è l’unica proposta degna di nota in un contesto di improvvidenza desolante di fronte a tragedie che proseguono e non accennano ad attenuarsi. Tante parole sulle potenziali future drammatiche conseguenze dei cambiamenti climatici (e pochi fatti). Sulle migrazioni, con il loro carico di conseguenze immediate e in prospettiva, sono finite pure le parole e i fatti restano pochi, anzi pochissimi. Lo sviluppo del binomio disponibilità di energia e protezione dell’ambiente potrebbe dare invece luogo a risultati concreti sul fronte della risposta ai cambiamenti climatici e non solo. A quando una COP sul Piano Marshall degli anni 2000 che affronti il dramma dello sviluppo sostenibile nei suoi risvolti ambientali economici e sociali con lo stesso risalto mediatico e lo stesso parterre de rois che ha avuto a Parigi la COP21? (Speriamo, però, con esiti meno vaghi e inconcludenti).”

Queste considerazioni sono riprese in unarticolo sul Sole 24 ore dove,partendo dall'ipotesi emersa da COP 21 di coinvolgere la Wto nella gestione del fantomatico fondo da 100 miliardi di dollari destinati ai Paesi iin via di sviluppo, si suggerisce che per raggiungere il livello di investimento necessario, siano coinvolti organismi quali l'Fmi e la Banca Mondiale e la Banca europea degli investimenti. 

 

Una verifica della strategia lanciata in sede COP 21, dopo due anni (e altre due omologhe Conferenze).
Non c’è stato rispetto degli impegni

E' ormai largamente condivisa la convinzione che è molto lontana dall'essere realizzata la strategia di prevenzione sbandierata dal Gotha della politica mondiale nella Conferenza di Parigi COP 21, nonostante questa strategia fosse da molti giudicata insufficiente per prevenire il temuto riscaldamento del pianeta di oltre 1,5 °C, oltre che costosa. Con ogni probabilità i conteggi relativi alle emissioni di CO2 nel 2017 mostreranno che le emissioni globali di CO2 sono aumentate del 2 %, altro che diminuite. L'ultima conferma viene dal rapporto The Climate Change Performance Index 2018 pubblicato qualche settimana fa da Germanwatch. Una sintesi del rapporto pubblicata nel numero di gennaio 2018 della rivista Le Scienze si conclude così: "... fanno sì che si sia ancora molto lontani dal rispetto degli impegni di Parigi".

I paesi i cui vertici hanno dichiarato “Confermiamo gli impegni, andiamo avanti lo stesso”, non è che figurino particolarmente bene nella classifica di adempimento degli impegni della COP21 riportata nel

Rapporto Germanwatch[2]: la Francia al 15° posto e la Germania al 22° posto. Lo scarso rispetto degli impegni di COP 21 non è l’unica defaillance[3] tedesca in campo energetico-ambientale (anche se i Tedeschi non cessano mai di assegnare compiti agli altri, spesso ingiustificatamente). In termini relativi non è criticabile la posizione italiana (16° posto, in zona verde a differenza della Germania che è posizionata in zona gialla). In codatroviamo la Cina (41° posto zona arancione) e ancora peggio gli Usa (zona rossa al 56° posto) - che come è noto si sono sfilati dai vincoli di COP 21 - essendo, entrambi i Paesi, tra i massimi produttori di CO2 da combustione dei fossili: la Cina emette il 28%; gli USA pesano per il 15 % circa, mentre l'intera UE è intorno al 10%.

Tra i paesi più performanti (67%) nel rispetto degli impegni COP 21 è la Gran Bretagna che nella produzione di elettricità ha adottato una strategia coerente con le indicazioni di mitigation.

E’stata macroscopica l’azione di sostituzione del carbone con il gas e significativa la crescita dell’eolico. Ma ai fini della produzione di CO2 ovviamente pesano anche, e non marginalmente, riscaldamento e trasporti.

 

Gli impegni presi alla COP 21 sarebbero comunque insufficienti

Da recenti approfondimenti emerge con chiarezza, anche se la notizia è passata sotto silenzio alla COP 23, che contenere le emissioni, anche se fosse possibile non sarebbe più sufficiente, secondo i modelli, a prevenire l’aumento di temperatura. Su questo punto, rimando a un eccellente articolo intitolato  Ridurre non basta più. Occorre riassorbire di Giovannangelo Montecchi Palazzi sull’Astrolabio in data 11 dicembre 2017.

 

I costi da sostenere per attuare la strategia sarebbero enormi e la loro copertura molto difficili da reperire

Quanto ai costi, una recente approfondita valutazione condotta congiuntamente da IEA (The International Energy Agency) e IRENA (The International Renewable Energy Agency un’organizzazione intergovernativa che sostiene i paesi partecipanti nella loro transizione verso un futuro energetico sostenibile)- quindi da fonte certo non ostile alla transizione verso una “carbon free society” - quantifica in 29 mila miliardi di dollari i costi aggiuntivi nell’arco di tempo 2015 – 2050 ) cioè, mediamente, quasi mille miliardi di dollari all’anno).

 

Occorre cambiare strategia

E’ paradossale che si decida di andare avanti confermando l’impegno su una strategia caratterizzata dal mix: non fattibile, insufficiente, costosa. Eppure questo è stato l’esito delle successive conferenze di Marrakech (COP 22 nel novembre 2016) e di Bonn (COP 23 nel novembre 2017). Quest’ultima ha tra l’altro dovuto registrare la “defezione” - così la decisione di Trump è stata prevalentemente letta - di un paese tra i principali apportatori di CO2 in atmosfera (circa 15 per cento del totale). Defezione che ha peggiorato i tre parametri (fattibilità, sufficienza, reperibilità risorse finanziarie). Eppure, in occasione del One Planet Summit tenutosi a Parigi il 12 dicembre 2017, il Presidente francese Macron ha messo insieme tre affermazioni difficilmente compatibili con la scelta di andare avanti lo stesso: "non dobbiamo sbagliarci, ma stiamo perdendo la battaglia";  con l'uscita degli Usa, l'accordo siglato nel 2015 alla Cop21 di Parigi "è più fragile"; "non andiamo abbastanza veloci". La scelta di continuità è stata ribadita dal segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, che ha dichiarato: la "guerra" contro i cambiamenti climatici "non è ancora vinta" e ha invitato i Paesi ricchi a onorare l'impegno di fornire 100 miliardi di dollari all'anno fino al 2020, in particolare, per i Paesi in via di sviluppo e ha concluso sostenendo che Il "treno del clima non aspetta, imbarco immediato, perché non c'è un piano B".

 

Più adaptation integrata con gli aiuti allo sviluppo

A mio avviso non resta che tornare all'originale impostazione della prima fase dei lavori dell'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) quando la componente scientifica era veramente prevalente e si sosteneva di accompagnare l'azione di mitigation (evitare i cambiamenti climatici) che con la Cop 21 è divenuta di fatto esclusiva, con quella di adaptation (contenere i danni potenziali attesi dai cambiamenti climatici). La convenienza di questa strategia è rafforzata dall’ovvia constatazione già richiamata all’inizio, che gli interventi utili per contenere le conseguenze negative del cambiamento climatico sono gli stessi decisivi per altre drammatiche sfide dell'umanità quali la desertificazione, la fame nel mondo, le migrazioni.

Richiamiamo brevemente i termini finanziari della questione. La transizione energetica necessaria per tentare di conseguire i peraltro insufficienti obiettivi di COP 21 costerebbe mille miliardi di dollari all’anno per 30 anni (rispetto ai quali i 100 miliardi all’anno promessi a Parigi, ma non reperiti, sono un modesto addendo). I flussi netti di assistenza pubblica allo sviluppo sia multilaterale che bilaterale hanno superato come ci documenta l’Ocse, il livello di 140 miliardi di dollari l’anno. Un quadro aggiornato e documentato della situazione aiuti allo sviluppo è esposto in un ampio articolo del Sole 24 ore. Non mancano motivate critiche alla loro efficacia che si estendono dalla numerosità dei soggetti operanti all’eccesso dei costi di gestione alla complicazione delle procedure, alla logica di selezione dei progetti, alla mancanza di trasparenza e, diciamolo chiaramente, alla presenza di fenomeni di corruzione e più in generale all’inadeguatezza di parti rilevanti delle strutture politico-amministrative dei Paesi destinatari.

Se invece di destinare mille miliardi di dollari l’anno a una transizione energetica così incerta in fattibilità e risultati, sarebbe più efficace ed efficientelimitare la spesa ad anche solo un venti percento di quel budget destinandolo però a progetti di sostegno allo sviluppo sostenibile di Paesi in difficoltà,privilegiando le iniziative in grado di affrontare simultaneamente le gravi questioni che sono di fronte, in gran parte accentuate dagli esiti di una globalizzazione troppo celere e mal gestita (o non gestita affatto). Questo incremento molto rilevante delle risorse andrebbe accompagnato da un’azione, comunque indispensabile, di coordinamento e direi risanamento delle Agenzie operanti nel settore. Vanno sottolineati elementi positivi di contesto quali una responsabilità condivisa tra Paesi in crescita e Paesi industrializzati. Per questi ultimi, una rinnovata stagione di commesse per imprese manifatturiere e impiantistiche che stanno subendo una crisi di domanda. Per i primi l’opportunità di risolvere carenze drammatiche che sono tra le cause del sottosviluppo e della pressione migratoria. Si consideri a titolo di esempio l’entità della “fame” di energia elettrica nel continente africano, secondo recenti dati dell’Economist.

Un ruolo positivo nella programmazione e nella valorizzazione della loro rete di rapporti potrebbero giocarlo anche le grandi imprese del mondo idrocarburi, che hanno già dato segnali di disponibilità e le grandi utility come l'Enel, già significativamente internazionalizzate. Spunti interessanti potrebbero essere colti dal ricorso ad accordi del tipo usato dai cinesi in Africa, anche in vista di u-revna difesa in prospettiva del ruolo della UE in quel continente.

E’ difficile confutare l’affermazione che una seria applicazione del principio di precauzione debba portare a perseguire non tanto una difficile, insufficiente e costosa mitigation quanto piuttosto una adaptation utile per contenere i temuti effetti dei cambiamenti climatici e comunque proficua ad altri scopi.

 

Esempi di iniziative positive e passi avanti nella consapevolezza della necessità di un cambio di strategia

L’attenzione sulla linea d’azione adaptation cresce e quel che è più importante crescono anche i progetti che la realizzano.

In particolare cresce l’attenzione verso l’Adaptation Fund che ha allocato Fondi per oltre 450 milioni di dollari destinati in 73 paesi a progetti mirati a capacità locali di adattamento ai cambiamenti climatici in settori quali disponibilità di acqua e cibo, gestione delle coste, sviluppo rurale, gestione delle foreste, riduzione del rischio disastri. La celebrazione del primo decennio di operatività ha dato l’occasione per ulteriori sostegni alle sue attività. Ora è il momento di trasformare questa linea di intervento da complementare a paritetica, se non addirittura prevalente rispetto a quella della mitigation.

Cominciano ad apparire anche segnali positivi di consapevolezza della necessità di un cambio di strategia. Tra i segnali positivi va annoverato il documento conclusivo intitolato Integrating Adaptation, Sustainable Development and Disaster Risk Reduction approvato nella seduta tecnica (maggio 2017) preparatoria della COOP 23, anche se quest'ultima non ne ha colto la valenza e ha sancito un continuismo poco realistico.

Anche l’UE sta facendo passi nella giusta direzione. Qualche spiraglio si apre nella allocazione di fondi per aiuti allo sviluppo anche in connessione con i risultati della Conferenza di alto livello sull’Africa, tenutasi a Bruxelles il 22 novembre 2017 nel corso della quale è stato esplicitamente riconosciuto dal Presidente del Parlamento Europeo, che“Per molti anni l’Unione non ha guardato all’Africa con l’attenzione dovuta. Spesso ci siamo voltati dall’altra parte, incuranti delle emergenze umanitarie, climatiche, di sicurezza, stabilità, che affliggono il continente. Senza maturare una reale consapevolezza del nostro primario interesse strategico per l’Africa. L’Europa si è mossa in ordine sparso, con una pluralità di voci dissonanti, perseguendo interessi e agende diverse. La conseguenza è stata un percorso lastricato di buone intenzioni, ma con molte opportunità mancate e scarsi risultati”. Tajani ha proseguito riconoscendo che “È tempo di un nuovo inizio, prima che sia troppo tardi. I nostri legami vanno oltre la prossimità geografica. Condividiamo interessi e sfide comuni.“ Nella stessa direzione è andato il recente vertice svolto il 29 e 30 novembre 2017 ad Abidjan (Costa d'Avorio)dedicato al rilancio della cooperazione Europa Africa che ha visto convergenze sulla valutazione che la risposta ai cambiamenti climatici debba essere vista come elemento da integrare in una nuova visione degli aiuti allo sviluppo. Quasi in contemporanea si è tenuta, dal 30 novembre al 2 dicembre, la terza edizione del Forum Rome Med 2017 – Mediterranean Dialogues, promosso dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale e dall’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) con la partecipazione di 800 leader provenienti da tutti i Paesi dell’Area e la presenza all’apertura del Presidente della Repubblica Mattarella. Significative le dichiarazioni del Ministro della difesa Roberta Pinotti:  “La comunità internazionale, nel momento del pericolo, ha saputo operare in modo coeso. Ora dobbiamo continuare a lavorare uniti anche allo sviluppo, per assicurare un futuro migliore ai Paesi del sud del Mediterraneo”. Il Ministro ha sottolineato la necessità di un progetto condiviso per creare lavoro, formazione e cultura.

Speriamo si prosegua nella direzione giusta. Una buona occasione potrebbero essere le iniziative in atto per arrivare alla cosiddetta Energy Union, che il Vice Presidente all’energia Maroš Šefčovič, ha definito come “la più profonda trasformazione del sistema energetico dopo la Rivoluzione Industriale” preannunciando decisioni in merito prima delle prossime elezioni del Parlamento Europeo del 2019. Questo però richiede a mio avviso una migliore integrazione in ambito Commissione UE tra la gestione della tematica ambientale e quella energetica e, tanto per andare sul concreto, un serio ripensamento del meccanismo degli Emission Trades.

Le speranze sono però fondate solo se si dà concreta risposta alle motivate preoccupazioni sulla tempestività e l'ampiezza di questa tipologia di interventi che, come già detto, hanno bisogno di un salto di qualità nell’entità dei finanziamenti, nella strategia di programmazione e selezione delle proposte, nella gestione dei progetti in fase esecutiva e nel follow-up per assicurare un reale impatto sul campo.

 


[1] In lingua italiana il termine mitigazione viene prevalentemente utilizzato con riferimento al contenimento delle conseguenze,  tipologia di azione che l’IPCC chiama adaptation, riservando il termine mitigation per indicare la riduzione delle emissioni).

[2] La classifica è peculiare nel senso che i primi tre posti non sono assegnati perché nessun paese ha mantenuto gli impegni e il 4° posto è attribuito al paese più virtuoso, la Svezia, che ha mantenuto gli impegni quasi al 75 %.

[3] Dalle tabelle pubblicate in BP Statistical Review of World Energy con dati 2016  risulta che la Germania prosegue - nell'uso del carbone e della lignite (ne consuma annualmente 75,3 Mtep - milioni di tonnellate di petrolio equivalenti- contro i 10,9 Mtep dell'Italia) con tecnologie rudimentali quanto ad abbattimento degli inquinanti, in particolare per la produzione dell'energia elettrica. Altri dati non commendevoli (desunti dal Rapporto BP) relativi a Paesi “green a parole” si trovano qui. Interessante notare che l’Italia dal confronto esce più che bene.

Infatti, facciamo molto

Infatti, facciamo molto meglio: non "ospitiamo" Fabio Pistella. Contiamo che sia un nostro affezionato collaboratore.

Mi spiace per Toni Federico che, scegliendo di insultare, si colloca anch'esso fra i "climalterati".

Rosa Filippini

Sarà meglio (non) adattarsi

Ci vuole del coraggio ad ospitare Fabio Pistella, autentico rottame della DC e del berlusconismo, organizzatore al CNR di uno sciagurato meeting degli
scettici americani del clima, nonché arcinoto ed inesausto promotore del fallimento nucleare italiano. Un articolo miserevole. Si può fare di molto meglio.