DOPO LA COP 21 DI PARIGI
Poco più di un mese fa è stato presentato il rapporto dell'Agenzia Internazionale dell'Energia relativo al 2015. Rileggerne i contenuti può rappresentare un buon esercizio di realismo, dopo la valanga di suggestioni, più o meno infondate, provocate sui mezzi di informazione dalla Conferenza di Parigi. Il monito della Società italiana di Fisica. Uno schema delle cause e degli effetti dei cambiamenti climatici può dare un’idea della complessità del problema e suggerire maggior realismo nella ricerca delle soluzioni.
A Parigi i grandi della Terra hanno proclamato il loro impegno per un obiettivo ambizioso: contenere entro 2° C, (anzi, più ambiziosamente -direi eroicamente- entro 1,5 °C) la crescita della ostile divinità dei nostri giorni, la fantomatica “temperatura media del pianeta" grandezza convenzionale sul cui significato gravano dubbi sostanziali. Poco o niente ci hanno detto sulle azioni da mettere in atto allo scopo, se non invitare i singoli paesi a procedere nella loro autonomia con i programmi nazionali non vincolati da ciascuno comunicati. Proviamo a vedere cosa, secondo un recentissimo Rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia di Parigi (Battiato ha trovato finalmente il Centro di gravità permanente) può succedere a livello di uso delle fonti alla data del 2040, cioè tra un quarto di secolo, relativamente a un segmento del settore energia, quello della produzione dell'energia elettrica. La torta rappresentata ci dà una serie di informazioni: i combustibili fossili saranno ancora la fonte prevalente (anche se di poco) con il 54,5 % seguiti da rinnovabili con 32 % e dal nucleare con 12 %.Uno scenario poco rassicurante (ancora peggiore se teniamo conto del petrolio da consumare per i trasporti) se fossero fondate le fosche previsioni, alla base dei lavori della COP21, che attribuiscono all'accumulo di CO2 nell'atmosfera disastrosi aumenti della temperatura del pianeta.
Il quadro si fa più chiaro se isoliamo i diversi contributi
Nel 2040 il carbone peserà ancora per il 30 % (allora dov'è la "grande svolta", che i media ci raccontano, di Obama, del Presidente cinese, della Cancelliera Merkel, visto che il carbone ha il primato nella produzione di CO2?). Il petrolio sarà circoscritto ai trasporti in quanto il gas lo rimpiazzerà nella produzione elettrica. Quanto alle rinnovabili, spicca il 15 % dell'idroelettrico che però non potrà crescere più che tanto e colpisce negativamente il fatto che il fotovoltaico contribuirebbe con un modesto 4%. E, per aver questo bel risultato, ci sono voluti 25 anni e tante risorse finanziarie allocate.
Allora che fare? Per chi crede alle fosche previsioni IPCC, dovrebbe essere prioritaria la messa in sicurezza del territorio rispetto ad eventi meteorologici eccezionali: linea d'azione comunque condivisibile anche da parte di chi non ci crede perché corrisponde a un'esigenza che si pone comunque. Sul fronte dell'energia, invece, occorre promuovere:
finali) concentrando gli investimenti nei Paesi come Cina e India, dove la crescita sarà maggiore e l'efficienza attuale è più bassa.
avanzate, per esempio tramite gassificazione auspicabilmente con sequestro della CO2; questo mix corrisponde, oltre che ad esigenze di
diversificazione, a un’ipotesi di condivisione di segmenti significativi della logistica e soprattutto, in prospettiva, alla garanzia che, anche se dovesse salire il prezzo del gas, invertendo le attuali tendenze, non potrebbe significativamente eccedere quello del gas da carbone (secondo la ben nota teoria economica dei prodotti fungibili o succedanei)
Quindi, più che fermarsi a prevedere lo scenario tendenziale e a dipingere a tinte fosche le drammatiche conseguenze, occorre agire perché la reale situazione futura sia diversa da quella che oggi i modellisti ufficiali ci raccontano. Ma non saranno i risultati del vertice mondale del clima che si è tenuto a Parigi a indicare come muoverci; abbiamo avuto ancora una volta solo previsioni di catastrofe universale, impegni generici sull’obiettivo di evitarla, ma nessuna concreta azione o almeno programma concreto di interventi condivisi, solo whisful thinking , come purtroppo è stato per i trascorsi 25 anni. Le novità sono state: una migliore cosmesi espositiva (coinvolgimento verbale anche dei paesi finora scettici come Cina e USA recentemente “rinsaviti” a parole – ma, forse, parole pronunciate “incrociando le dita” a significare non l’auspicio scaramantico di avveramento, ma al contrario la “riserva mentale” di origine gesuitica-); la promessa di un futuribile fondo per i paesi svantaggiati; l’escamotage di una revisione periodica ogni 5 anni (forse nuove previsioni oracolistiche sull’avvicinamento o meno al tetto di 2° C che ci protegga dalla catastrofe); coinvolgimento della World Trade Organization WTO ( su questo, merita ritornare).
Niente ci è stato detto sull’esigenza di mettere in sicurezza il territorio realizzando la strategia “di adattamento”( nel linguaggio esoterico dell’IPCC, basata sull’ovvia osservazione che varie tipologie di eventi estremi si possono anche evitare con opere idrauliche lungimiranti e adeguate). Questo vale, ad esempio, per le temute conseguenze di fantomatici innalzamenti del livello del mare e per le inondazioni (come quella di Saint Luis per non parlare di casa nostra dove, in molti casi, basterebbe tornare a una saggia manutenzione straordinaria e poi ordinaria di opere realizzate nel secolo scorso e in parte già in quello precedente)
Molti pensano, a mio avviso con fondamento, che le previsioni dell'IPCC siano da"prendere con le molle". La debolezza di fondo del modello è rappresentare lo stato del pianeta non solo, come già detto, con un’unica variabile finale che rappresenterebbe la già citata "temperatura media della Terra" ma addirittura attribuire l’evoluzione di questo indicatore universale a un unico parametro, quello delle emissioni nell’atmosfera di CO2 di origine antropica che, si badi bene, incidono tra il 3% e il 5% a seconda delle valutazioni sul totale delle emissioni di CO2 nell’atmosfera essendo il rimanente (97% o 95%) di origine naturale. Non mancano documentati studi che, approfondendo l'argomento, arrivano a conclusioni diverse da quelle che vanno per la maggiore. Sono da salutare con favore le ricerche di chi non si allinea in forma preconcetta e segue i risultati dei propri studi e delle proprie valutazioni.
Ad esempio, trovo assolutamente condivisibili le argomentazioni con le quali la Presidente della SIF Luisa Cifarelli ha motivato la mancata adesione della Società Italiana di Fisica (SIF) al documento predisposto da numerose società scientifiche italiane a sostegno delle valutazioni dell' IPCC in occasione della Conferenza mondiale sul clima : “La SIF è un’associazione di fisici abituati a considerare leggi fisiche regolate da equazioni più o meno complesse, e risultati espressi con il dovuto livello di confidenza o di probabilità o di verosimiglianza. Questo, del resto, è il metodo scientifico. (…) Il documento in questione contiene nelle sue premesse delle affermazioni date come certezze incontrovertibili a proposito dell’origine antropica dell’attuale cambiamento climatico. Ma le verità scientifiche non possono basarsi sul consenso generalizzato, mescolando scienza e politica, come sta avvenendo in questo caso. (…) Poiché la richiesta della SIF, di introdurre qualche parola di tipo probabilistico (come “likely”, che ha un significato ben preciso e tutt’altro che disdicevole), è stata categoricamente rifiutata, la SIF non ha ritenuto di sottoscrivere il documento, pur condividendo fortemente l’importanza della ricerca basata sulla fisica per lo studio del clima e il fatto che è fondamentale inquinare il meno possibile il nostro amato pianeta per salvaguardarne la salute e bellezza."
Per parte mia (confesso, sono un fisico), ho pubblicato uno schema indicativo di cause ed effetti (tra loro intrecciati da decisivi meccanismi di feedback) dei Cambiamenti Climatici, pur consapevole dei suoi limiti, per dare almeno un'idea della innegabile complessità dei fenomeni di cui tener conto e delle mutue interazioni, per non parlare dell'incertezza su alcuni aspetti decisivi.
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