GAS FLUORURATI
La revisione del Regolamento europeo sui gas refrigeranti, in apparenza condivisibile e coerente con la lotta ai cambiamenti climatici, rischia di trasformarsi in un boomerang a causa di un’accelerazione dei tempi di attuazione previsti che – ancora una volta – non tengono conto delle alternative tecnologiche disponibili e degli ostacoli che emergono nella fase di realizzazione concreta delle misure. L’autore, esperto di climatizzazione, entra nel merito di una misura destinata ad incidere sulla qualità della nostra vita quotidiana.
Foto di Copertina: Wikimedia commons
Il contesto
In questi giorni si sta ultimando la revisione del regolamento sui gas fluorurati (Regolamento UE 517/2014), comunemente detti F-gas. Dopo aver avviato i lavori ad aprile 2022, la Commissione, il Consiglio ed il Parlamento Europeo stanno completando la così detta fase di Trilogo, dalla quale uscirà il testo definitivo del Regolamento la cui pubblicazione è attesa entro la fine del 2023.
La revisione in corso è di fatto un aggiornamento delle misure già previste dal Regolamento attuale; una ‘rinfrescata’ necessaria per adeguare il testo di legge alle politiche dell’Unione Europea sulla lotta ai cambiamenti climatici; l’obiettivo principale del Regolamento F-Gas è infatti quello di ridurre progressivamente, fino alla sostanziale eliminazione, l’uso degli F-gas, sostanze chimiche artificiali di cui fanno parte anche i ben noti idro-fluorocarburi (HFC) che, se disperse in atmosfera, concorrono a generare il fenomeno dell’effetto serra, ovvero la causa principale del riscaldamento globale del nostro pianeta. È bene precisare che non tutti gli F-gas hanno lo stesso impatto sull’ambiente; questo lo si può vedere dai rispettivi Global Warming Potential (GWP), il parametro che rappresenta in che entità il gas è in grado di riscaldare l’atmosfera (più è alto il valore di GWP, maggiore è l’impatto del gas al riscaldamento del clima); i GWP dei vari F-gas vanno da valori di poche unità ad oltre 10.000.
Tra le varie modifiche all’esame del Trilogo, si evidenziano le seguenti:
- Adozione di una nuova curva di riduzione delle quote di emissione associate agli F-gas disponibili sul mercato, con cui si prevede di passare da circa 40 Milioni di tonnellate di C02 equivalenti (l’unità di misura utilizzata per questo obiettivo) messe a disposizione nel 2024, ad un sostanziale azzeramento nel 2050;
- Introduzione di nuovi divieti all’immissione sul mercato di apparecchiature funzionanti con gas fluorurati;
- Nuove regole sui controlli delle perdite di gas negli impianti;
- Divieto all’esportazione di prodotti funzionanti con F-gas più inquinanti nei mercati extra-UE;
- Nuove sanzioni per chi non ottempera a quanto previsto;
Poco interesse, tanti impatti
È alquanto singolare il fatto che la revisione del regolamento F-Gas stia passando con una certa indifferenza da parte dell’opinione pubblica e dei media; il motivo va probabilmente ricercato nel fatto che si parla di argomenti troppo tecnici e che come tali si prestino meno di altri ad essere portati nelle prima pagine dei giornali. Eppure, i potenziali impatti sulla vita quotidiana dei cittadini non sono da meno di quelli attribuibili ai ben più noti dossier relativi alle auto a benzina/diesel e all’efficientamento energetico degli edifici esistenti (cd Direttiva ‘Case Green’); basti pensare che i gas fluorurati vengono utilizzati in tantissime applicazioni, come ad esempio nei refrigeranti per la climatizzazione (condizionatori e pompe di calore utilizzate nelle abitazioni, uffici, ospedali etc.) ed in quelli per la refrigerazione industriale e commerciale, così come nelle apparecchiature di protezione antincendio, negli isolanti ed anche in vari dispositivi medici (es. gli inalatori). Anche per l’Industria manifatturiera nazionale, con una forte connotazione all’export, gli impatti generati dal nuovo Regolamento non sarebbero indifferenti.
I nuovi limiti F-Gas sui condizionatori e pompe di calore: il rischio di un effetto boomerang
Tanti settori quindi, tra loro eterogenei e distinti, che incidono fortemente sulla vita di tutti i giorni e per i quali l’offerta di soluzioni alternative agli F-gas sta procedendo con differenti velocità. L’introduzione di vincoli ambiziosi in tempi eccessivamente ristretti è proprio una delle principali preoccupazioni espresse da alcuni di questi settori, in particolar modo da quelli che potrebbero subire un serio rallentamento nel processo di decarbonizzazione promosso dalla stessa Unione Europea, generando così un effetto contrario a quello atteso. È questo il rischio che corrono le pompe di calore ed i condizionatori applicate nel settore del Comfort Termico (termine che raccoglie i servizi di riscaldamento, raffrescamento e produzione di acqua calda sanitaria degli edifici).
È cosa nota che l’Unione Europea abbia riconosciuto nella tecnologia delle pompe di calore, in sostituzione dei tradizionali impianti a combustibili fossili, una delle soluzioni di punta per il conseguimento degli obiettivi di decarbonizzazione in ambito edilizio. Con la recente proposta di revisione del PNIEC, anche l’Italia conferma la volontà di puntare in modo deciso verso la diffusione di tale tecnologia e non potrebbe essere diversamente, visto che il riscaldamento degli edifici nel nostro Paese risulta ancora largamente dipendente dall’utilizzo di combustibili fossili: al 2021 si contavano infatti più di 17 milioni di abitazioni riscaldate con caldaie funzionanti a metano, con un consumo di gas di oltre 32 miliardi di smc (il 50% del consumo totale - fonte: ISPRA).
Sulla carta tutto sembrerebbe a posto: l’Europa spinge per la diffusione delle pompe di calore ed al contempo introduce delle misure, come quelle del regolamento F-gas, per indirizzare lo sviluppo di tali tecnologie verso soluzioni dal minor impatto ambientale possibile. Ma analizzando i testi portati sul tavolo del Trilogo, non sembra che i nuovi divieti all’immissione sul mercato di pompe di calore e condizionatori utilizzanti gas fluorurati siano stati definiti valutando in maniera completa ed oggettiva le conseguenze negative sul processo di decarbonizzazione che tali prodotti stanno garantendo.
I nuovi divieti imporrebbero infatti l’obbligo di ricorrere a refrigeranti naturali (propano e ammoniaca in primis) entro un arco temporale molto breve (tra il 2024 ed il 2030; date ancora da confermare); ma attualmente questi refrigeranti alternativi, pur essendo già utilizzati nelle pompe di calore e nei condizionatori, presentano in molti paesi europei delle limitazioni all’uso per ragioni legate alla sicurezza da garantire in determinati contesti installativi, in particolare negli edifici destinati al pubblico.
I divieti e le distanze minime in Italia
Un esempio di quanto appena detto viene proprio dall’Italia, uno tra i paesi più all’avanguardia per quanto riguarda i criteri sulla sicurezza, dove il DM del 10 marzo 2020 (Decreto Prevenzione incendi) vieta l’uso di refrigeranti al di sopra di un certo grado di infiammabilità (grado A3, per la precisione) negli impianti di climatizzazione per ospedali, uffici, centri commerciali, scuole etc.; il gas propano, principale alternativa agli F-gas per tali applicazioni, ricade proprio tra questi refrigeranti vietati.
I problemi non sono da meno nell’edilizia residenziale: anche se in questo caso non sussiste l’obbligo di rispettare il Codice Prevenzione Incendi, la progettazione e la realizzazione degli impianti di riscaldamento e raffrescamento devono comunque evitare il rischio di esplosioni e incendi provocate da perdite e relativi accumuli di gas infiammabili all’interno dei locali. Per le apparecchiature utilizzanti refrigeranti a base di F-gas il problema non sussiste, dato il loro basso livello di infiammabilità; questo consente al giorno d’oggi di installare un condizionatore o una pompa di calore montando ad esempio l’unità esterna sul balcone di casa o a muro, a poca distanza da porte, finestre, scarichi fognari etc. Le cose risulteranno più difficili, se non impossibili, nel caso di impianti caricati con refrigeranti di maggiore infiammabilità o tossicità: in tal caso la prassi progettuale (non è un obbligo, è bene chiarirlo) prevede di garantire che le unità esterne di pompe di calore e condizionatori siano posizionate ad una distanza sufficiente da aperture come porte, finestre condotti di aerazione etc. per evitare accumuli di gas pericolosi (per prodotti con cariche di refrigerante sino ad un 1kg si è soliti indicare come distanza almeno 1 metro). La figura che segue riporta un esempio delle distanze minime di installazione raccomandate dai principali produttori di pompe di calore e condizionatori nel caso di una unità esterna caricata a propano (R290), confrontate con quelle di un prodotto caricato con uno dei refrigeranti attuali più comuni (R32); le foto a fianco sono invece alcuni tipici casi installativi nei nostri centri urbani, per i quali non sarebbe possibile rispettare le distanze minime previste nel caso di prodotti caricati con gas propano.
Fig.1 - distanze minime per impianti con refrigerante R290 (propano) ed esempi di installazioni non realizzabili con tali refrigeranti
Le maggiori difficoltà nel realizzare impianti a pompa di calore e di condizionamento rischiano pertanto non solo di rallentare il processo di transizione verso queste tecnologie, limitandone così il contributo alla decarbonizzazione, ma anche di rendere un servizio ormai indispensabile come quello del raffrescamento estivo nelle nostre città un privilegio per pochi.
È ovviamente impensabile che norme, leggi e tecnologie resteranno immobili a fronte di queste novità. Pertanto, qualora tali limiti venissero confermati, si troverà il modo di assicurare la necessaria climatizzazione per case, ospedali etc.; ma è altresì innegabile che per garantire dei risultati soddisfacenti in termini di sicurezza, di costi e di funzionalità, servano dei tempi tecnici che non possono stimarsi in soli 4-5 anni come invece ipotizzato dalle istituzioni europee.
Il contributo alla decarbonizzazione delle pompe di calore – un’opportunità da non farsi sfuggire
Una rapida transizione tecnologica verso soluzioni di maggior efficienza ed utilizzanti fonti energetiche rinnovabili non è solo auspicabile, ma necessaria per ridurre il consumo di combustibili fossili (per i quali dipendiamo dall’estero) e al contempo abbattere le emissioni inquinanti. Nella seguente tabella, riportata all’interno del nuovo PNIEC, sono sintetizzate le emissioni in atmosfera delle principali sostanze inquinanti; è evidente che, da oggi e fino al 2040, le cause principali dell’effetto serra in Italia risulteranno le emissioni di anidride carbonica (di cui una buona parte deriva dagli impianti per il riscaldamento) e le dispersioni in atmosfera di metano dalle reti di distribuzione, entrambe ben più rilevanti di quelle imputabili agli F-gas.
Tab.1 - Emissioni di gas serra dal 2005 al 2040, disaggregate per gas (Mt CO2eq), storiche fino al 2021 e scenario di riferimento [Fonte: PNIEC, dati ISPRA]
Il grafico in fig. 2 qui riportato, ripreso da un recente studio condotto da EPEE, una delle principali associazioni europee di costruttori di pompe di calore, esplicita in modo molto chiaro il potenziale contributo alla decarbonizzazione da parte delle pompe di calore; dal grafico si evidenzia come, se entro il 2050 tutti gli impianti per il riscaldamento a combustibili fossili venissero rimpiazzati con delle pompe di calore (comprese quelle utilizzanti refrigeranti a base di F-gas), si eviterebbe l’emissione in atmosfera di oltre 600 milioni di tonnellate di C02 equivalenti.
Fig.2 – Riduzione delle emissioni di gas a effetto serra con le pompe di calore (Fonte: EPEE, 2022)
C’è un altro aspetto interessante desumibile dal grafico di fig.2, che ci permette di confrontare la riduzione delle emissioni ottenibile attraverso la transizione tecnologica or ora descritta (linea verde del grafico) con quella garantita dall’eliminazione degli HFC come previsto dalla revisione del regolamento F-gas (area blu del grafico); è evidente che il premio alla maggiore riduzione di emissioni sia a netto appannaggio della prima.
Conclusioni
E’ bene chiarire che gli obiettivi del Regolamento sono condivisi e sostenuti da tutto il comparto industriale delle pompe di calore e dei condizionatori, già da tempo impegnato nello sviluppare tecnologie utilizzanti gas refrigeranti a minor effetto serra; l’auspicio del comparto non è tanto un freno all’evoluzione verso refrigeranti più ecologici, bensì che la revisione del Regolamento tenga conto dell’importante contributo alla decarbonizzazione che può arrivare dalle attuali tecnologie, prevedendo un arco temporale più ampio per passare ai refrigeranti naturali (tempo tecnico per garantire un adeguamento coordinato di norme, leggi e prodotti, oltre che per la necessaria formazione delle figure professionali) e lasciando altresì la possibilità di utilizzare alcuni refrigeranti dal ridotto impatto ambientale (es quelli con GWP minore di 150) in quei contesti per i quali non risultasse possibile utilizzare altri tipi di refrigerante.
*Gabriele Di Prenda è Senior Manager Environment Research Daikin Air Conditioning Italy S.p.A.