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2024-03-29 16:40

Niente Panico: Natura e Prosperità per Tutti

RECENSIONE

di: 
Carlo Minopoli

In un momento storico segnato dall’allarmismo climatico, vi sono alcune domande piuttosto semplici, ma che restano spesso prive di risposta: è davvero così vicina la fine del mondo che conosciamo? Il riscaldamento climatico è davvero in grado di portare l’essere umano all’estinzione? O, più probabilmente, agitarsi tanto attorno a questi temi è in parte la manifestazione di un bisogno di trovare un ruolo e una causa semplice a cui aggrapparsi, in una società priva di ideologie?

Michael Shellenberger, con il suo libro “l’Apocalisse può attendere, errori e falsi allarmi dell’ecologismo radicale” (Marsilio Nodi editore), ha provato a darci le sue risposte.

 

Chi è Michael Shellenberger

Ambientalista statunitense studioso di politiche ambientali, arricchite anche con viaggi nei paesi in via di sviluppo, Michael Shellenberger è autore di molti articoli sul tema “green”. Cofondatore di Breakthrough Institute, un qualificato centro di ricerca e fondatore di Environmental Progress, Shellenberger è uno degli ambientalisti più quotati al mondo, avendo vinto nel 2008 il Green Book Award ed insignito del titolo di “Eroe dell’Ambiente” dalla rivista Time. Come esperto di energia è stato consultato dal Congresso USA per fornire una testimonianza esperta ed obiettiva e invitato dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) per fare da esperto revisore del suo prossimo rapporto di valutazione.

 

Ambientalista atipico

Shellenberger sconfessa falsità e danni dell’ideologia politica più diffusa dei nostri tempi: l’ecologismo ideologico. La principale colpa della disinformazione diffusa nel campo dell’energia e dell’ambiente è quella di aver reso difficile - se non impossibile - un dibattito serio e articolato: aver ricoperto di fatalismo ogni discussione su uno sfruttamento più intelligente delle risorse naturali fa sì che qualsiasi proposta che non implichi «decrescite felici» e «sviluppi sostenibili» venga rigettata a priori.

Come uscire da questa impasse? La risposta che l’autore ci fornisce è chiara: c’è bisogno di far capire alle persone che il mondo non sta finendo, e non finirà nel 2050. Analizzando (e smentendo) gli stereotipi maggiormente radicati e diffusi sull’ambiente, l'autore analizza errori e orrori di quella che lui stesso definisce la “nuova religione ecologista”, tanto pericolosa perché in grado di offrire facili promesse di redenzione, e mette in guardia il lettore da chi, di fronte a sfide epocali, offre soluzioni semplicistiche a problemi complessi:

- Non siamo nel mezzo della “sesta estinzione di massa”, perché solo lo 0,001 per cento delle specie del pianeta si estingue ogni anno.

- Le balene non sono state salvate da Greenpeace, ma dai capitalisti che hanno scoperto sostituti più economici dell’olio di balena che hanno decimato l’industria della caccia alle balene.

- I cambiamenti climatici non hanno causato un aumento della frequenza o dell’intensità di alluvioni, siccità, uragani e tornado.

- Le pale eoliche e l’energia solare sono troppo costose e inaffidabili, inoltre causano troppi danni ambientali perché richiedono vaste aree e danneggiano la flora e la fauna.

- Lo “sviluppo sostenibile”, così come interpretato da molti decisori politici e opinionisti, non sembra essere la strada giusta: “Le nazioni ricche dovrebbero fare tutto il possibile per aiutare le nazioni povere a industrializzarsi. Invece molte di loro stanno facendo il contrario: cercare di rendere la povertà sostenibile, piuttosto che trasformarla in storia”.

Ma allora, per quale motivo il catastrofismo climatico ha fatto tanta breccia nell’opinione pubblica? “L’apocalisse climatica è un pensiero subconscio di gente che getta discredito sulla civilizzazione” scrive Shellenberger, “il che spiega come mai i più allarmisti siano anche quelli che più si oppongono alle tecnologie che potrebbero contrastarla: dai fertilizzanti al controllo delle inondazioni, dal gas naturale all’energia nucleare… Questi ambientalisti sognano di distruggere le nostre società liberali e industriali”.

 

La parola agli esperti

L’autore, consapevole della portata delle sue posizioni, avvalora le sue idee con citazioni, quasi continue, dei maggiori esperti del settore su cui il suo focus si muove e dei dialoghi che ha avuto con molti di loro. Dallo schieramento a favore dell’energia nucleare fino al falso allarmismo legato all’acidificazione degli oceani, Shellenberger utilizza le parole degli esperti per mostrare le falle dell’ecologismo ideologico.

Una particolare attenzione viene dedicata ai Rapporti del Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) che, secondo Shellenberger, sarebbero oggetto di diverse incomprensioni. 

In particolare, esamina due rapporti pubblicati nel 2019, uno dei quali ha attratto la maggior attenzione mediatica a causa di un contenuto piuttosto allarmistico riguardo alle conseguenze catastrofiche legate a un aumento della temperatura di 1,5 C°. Ma il contenuto di quei rapporti era davvero così funesto? Oltre ad osservare che il Summary for Policymakers, la sintesi del rapporto IPCC che è spesso l’unica versione letta da giornalisti e decisori politici, è stato redatto con un tono di catastrofismo che non riflette assolutamente il contenuto reale dello studio, Shellenberger fornisce le dichiarazioni degli esperti:

“I Media si sono attaccati all’idea delle scadenze (2030 e 2050), forse perché hanno pensato che servisse a trasmettere il messaggio della velocità con cui ci stiamo avvicinando a una data limite, e di conseguenza, l’urgenza di agire. Purtroppo, si è travisato totalmente quanto il Rapporto IPCC conteneva.” (Andrea Dutton, docente di paleoclimatologia all’Università del Wisconsin-Madison).

“L’IPCC è un’organizzazione in parte scientifica, in parte politica. E nella sua veste di organizzazione politica, il suo compito è stato trovare il modo di giustificare la riduzione delle emissioni di gas serra. Ma la maggior parte degli effetti più preoccupanti del cambiamento climatico sono soltanto sintomi di malgoverno e sottosviluppo.” (Richard Tol, Professore University of Sussex, ex membro di Greenpeace e Friends Of The Earth).

Il messaggio che l’autore vuole veicolare è quello che Andrew Neil, giornalista BBC, ha pronunciato durante un’intervista con Zion Lights, portavoce di Extinction Rebellion: sulle conseguenze catastrofiche del cambiamento climatico, la maggior parte degli esperti non è affatto d’accordo. In ogni caso, ogni impatto che il cambiamento climatico può aver avuto, o potrà mai avere, è ridimensionato da un unico dato certo: il drastico crollo nel numero decennale di vittime di disastri naturali rispetto al suo picco, avvenuto negli anni Venti del Novecento. Vale la pena sottolineare che tale calo è avvenuto in un periodo in cui la popolazione mondiale è quadruplicata.  

 

Un approccio pragmatico

L’approccio di Shellenberger fornisce una nuova visione di ambientalismo, in grado di collimare la difesa dell’ambiente e il progresso umano: un vero e proprio umanesimo ambientale. Bisogna comprendere, infatti, che gli abitanti dei paesi poveri hanno bisogno di energia idroelettrica, gas per cucinare, fertilizzanti e macchinari per aumentare la produttività agricola, ma non possono permetterselo. I progetti che potrebbero sbloccare la situazione sono spesso bloccati dagli ambientalisti internazionali e non più sostenuti da donatori come la Banca Mondiale. Persino l’ONU, nella linea dello sviluppo sostenibile, accetta l’idea che gli stati poveri debbano crescere senza grande uso di energia evitando “l’errore” fatto dai paesi industrializzati. L’autore, consapevole che questo modo di agire rappresenterebbe soltanto la perpetuazione della povertà e l’incremento delle difficoltà per lo sviluppo, non crede nella prospettiva degli ambientalisti di arrivare a una simbiosi tra uomo e natura basata sull’agricoltura biologica, materiali naturali (non sintetici o plastiche), auto e case più piccole, utilizzo solo delle fonti rinnovabili seppur con maggiore efficienza.

Paragonando l’ambientalismo radicale ad una deriva politico-ideologica, Shellenberger ci spiega che l’unica soluzione possibile per accoppiare il progresso umano al rispetto dell’ambiente è il progresso tecnologico, che ci renderà sempre più indipendenti dalla natura e, di conseguenza, sempre meno bisognosi di comprometterla. L’autore fa presente che più i Paesi sono sviluppati, meno sono suscettibili ai fenomeni naturali e meno spazi sono occupati. L’esempio del Brasile e della deforestazione dell’Amazzonia aiuta a comprendere perfettamente questo concetto: “l’aumento della deforestazione in Amazzonia dovrebbe indurre le organizzazioni per la tutela ambientale a ripristinare il rapporto con gli agricoltori e cercare soluzioni improntate a un maggiore pragmatismo. Ai coltivatori dovrebbe essere consentito intensificare la produzione in alcune aree, in particolare nel Cerrado, allo scopo di ridurre la pressione e la frammentazione in altre regioni, specie nella foresta pluviale”.

Solo il progresso tecnologico realizzerà un vero decoupling, inteso come disaccoppiamento delle emissioni e della crescita economica. Ma per arrivare a questo risultato, l’autore conclude, c’è bisogno di dare vita a un dibattito reale e privo di ideologia sul tema dell’energia e dell’ambiente, che ammetta, ad esempio, l’energia nucleare e il gas naturale come fonti di energia imprescindibili per la diversificazione del portafogli energetico. Il tema centrale è la densità energetica, intesa come la quantità di energia per unità di volume o massa. La ricerca di una densità energetica sempre maggiore è alla base di tutte le transizioni energetiche avvenute nella storia, e quella a cui stiamo assistendo oggi non rappresenta un’eccezione. Lo Shale Gas infatti, spiega l’autore, ha permesso agli Stati Uniti non solo di assicurarsi una forma di energia con un’alta densità energetica, ma anche di abbassare vistosamente le proprie emissioni. C’è bisogno di velocità, conclude l’autore, ma c’è anche bisogno di pragmatismo. Perché l’apocalisse potrà anche attendere, ma il progresso no.

“Le sfide che ci attendono non richiedono il panico. Con attenzione, tenacia e, oserei dire, amore, potremo attenuare gli estremismi e approfondire la comprensione e il rispetto reciproci. Nel corso di questi tentativi, ci avvicineremo all’obiettivo morale condiviso dalla maggioranza: natura e prosperità, per tutti”.

Niente Panico: Natura e Prosperità per Tutti

Questo pensiero è perlomeno estremo e imprudente visti i risultati e i rilevamenti che quotidianamente ci dicono che la biodiversità si sta riducendo in modo impressionante. Chi ha una formazione da biologo o da naturalista sa bene quello che sto dicendo: i vari marker naturali si stanno modificando con una velocità mai registrata nei secoli scorsi. C'è una correlazione scientificamente provata tra marcata ed innaturale riduzione della biodiversità ed effetto serra.