QUEL CHE C’È DA SAPERE
È impietosa la fotografia che la Corte dei conti fa sullo stato di attuazione del Piano irriguo per il Mezzogiorno (2005- 2016), nella relazione pubblicata a conclusione della sua indagine. “Delle 27 opere programmate, solo 14 (quindi, poco più della metà) presentano una percentuale di avanzamento dei lavori pari al 100 per cento. Per tre di questi, peraltro, sono stati completati i lavori principali e si è in attesa della realizzazione di lavori complementari. Dei restanti 13, cinque interventi risultano non finanziati. Va segnalata, in particolare, l’eliminazione del progetto relativo alla diga di Piano dei Limiti, che costituiva l’unica nuova opera prevista dal piano irriguo caratterizzato essenzialmente da finalità manutentive degli impianti esistenti. Solo uno degli interventi non ha fatto registrare ritardi nella fase di attuazione. Per due opere gli scostamenti registrati sono superiori ai quattro anni. Sebbene diciassette opere su ventisette (pari al 63 per cento) presentino varianti, la copertura mediante accantonamenti e pregresse economie non ha determinato maggiori costi rispetto a quelli originariamente previsti”.
Inoltre, evidenzia la Corte, si tratta di interventi che “hanno ad oggetto spese di ristrutturazione, adeguamento ed ammodernamento degli impianti esistenti, senza prevedere nuove infrastrutture”.
Il Piano irriguo per il Mezzogiorno fa parte del Piano irriguo nazionale, che la Corte sottolinea come sia stato “caratterizzato – nel suo insieme – dalla continua rimodulazione delle risorse finanziarie per la realizzazione delle opere originariamente previste. Le risorse si sono rivelate, infatti, da subito inadeguate, tanto da richiedere nuovi stanziamenti per intraprendere sia gli interventi previsti a completamento del piano per il Nord (delibera Cipe n. 117/2006), sia gli interventi relativi al Mezzogiorno (delibera Cipe n. 92/2010)”.
A questi problemi generali, sottolinea la Corte, per il Mezzogiorno se ne sono aggiunti altri, perché “la frammentazione delle competenze e la protrazione della gestione commissariale fino all’emanazione del d.l. n. 51/2015 non hanno favorito una visione unitaria degli obiettivi al punto che il programma degli interventi è stato realizzato con tempi e modalità distinte tra il Centro-Nord ed il Sud del Paese. Il Commissario straordinario ex Agensud, organo deputato all’attuazione del Piano per il Mezzogiorno, ha utilizzato una procedura specifica, diversa da quella utilizzata dal Ministero delle politiche agricole per il Nord Italia, ricorrendo in particolare alla previsione della figura dell’Alto sorvegliante in luogo dei provveditorati alle opere pubbliche, utilizzati per gli interventi nel resto d’Italia, e utilizzando una diversa modalità di calcolo delle spese generali, penalizzante per l’amministrazione”.