AGENZIE AMBIENTALI
Non sono pochi coloro ai quali la riforma dei controlli ambientali non è mai andata troppo a genio. Tra questi deve forse, da oggi, considerarsi incluso il Presidente in carica della Regione Molise.
La riforma dei controlli ambientali, nata nel gennaio del 1994, con la legge 61, ha tratto la sua ispirazione e la sua forza dall’esito del referendum popolare, promosso dagli Amici della Terra, che nell’aprile 1993, a larghissima maggioranza, abrogava le norme che affidavano quei controlli agli organi del Servizio Sanitario Nazionale, ponendo i presupposti per il riconoscimento legislativo della loro necessaria autonomia.
Gli strumenti posti in essere da quella riforma erano, da un lato, le ARPA, le Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente che ciascuna regione e ciascuna delle province autonome di Trento e di Bolzano dovevano istituire con propria legge, trasferendo ad esse le funzioni già svolte in campo ambientale dai presìdi multizonali di prevenzione, con le risorse connesse; dall’altro lato l’ANPA, l’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, punto di riferimento e di coordinamento tecnico della rete costituita dal complesso delle agenzie e organismo di supporto del Ministero dell’ambiente e delle altre amministrazioni, a cui fornire gli elementi conoscitivi per la definizione delle politiche ambientali e per la verifica della loro efficacia.
Se si considerano queste connotazioni della riforma, possono non sorprendere le difficoltà da essa incontrate nella lunga e faticosa fase di avviamento ed i “correttivi”, se non i veri e propri tentativi di controriforma, che si sono nel tempo succeduti.
Era ovvio attendersi qualche resistenza nell’ambito degli organi locali del Servizio Sanitario e dei relativi assessorati, che si vedevano privati di funzioni già loro. Di fatto, se in alcune regioni, ed in particolare in Toscana, Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna e Valle d’Aosta, e nella Provincia autonoma di Trento, le ARPA (o le APPA) sono state istituite già nel 1995, nell’arco dei diciotto mesi previsti dalla legge 61, in altre regioni - tra le quali alcune di quelle normalmente più efficienti - sono stati necessari fino a sei o sette anni per veder nascere le agenzie. Per tutte un elemento di criticità è stato il finanziamento, costituito essenzialmente da una quota del fondo sanitario regionale determinata in base a parametri fissati dalle rispettive Giunte regionali.
Difficoltà di diversa origine per l’Agenzia nazionale, derivando, queste, principalmente dall’ambito ministeriale, dove le funzioni ad essa assegnate sono state spesso viste come una potenziale limitazione del ruolo dell’amministrazione, anziché come uno strumento per incrementarne l’efficienza. È difficile non leggere anche in quest’ottica quanto dispose il decreto legislativo 300 del 1999, il quale, senza tener conto che si trattava di un’agenzia già costituita e operativa, fuse l’ANPA con alcuni dei Servizi Tecnici Nazionali e, con la nuova denominazione di APAT, la inserì fra agenzie ministeriali di nuova istituzione, prive di personalità giuridica. L’APAT divenne così di fatto una sorta di direzione del Ministero dell’ambiente, con un unico organo, costituito dal direttore generale. Personalità giuridica e organi di indirizzo sono stati restituiti all’APAT dal decreto-legge 262 del 2006, ma dopo meno di due anni una nuova legge, la 133 del 2008, trasformava l’Agenzia in Istituto, facendola confluire - con l’Istituto per la fauna selvatica e l’Istituto per la ricerca applicata al mare - nell’ISPRA, ente di incerta connotazione tra funzioni agenziali e compiti di ricerca.
Certamente di carattere agenziale, anzi, da authority, sono le funzioni di controllo, ereditate dall’ANPA e dall’Apat, che l’ISPRA svolge nel campo della sicurezza nucleare e della radioprotezione. Ma queste funzioni da ormai cinque anni sono sotto la minaccia del Ministero dello sviluppo economico, deciso a riportarle, direttamente o indirettamente, dopo venti anni, sotto la propria egida.
In questo quadro, si inserisce la notizia di questi giorni: la proposta formulata dal Presidente della Regione Molise, nella propria veste di Commissario ad acta per il Piano di rientro del debito sanitario, di sopprimere l’ARPA-Molise, facendo confluire le sue funzioni nell’Azienda Sanitaria Regionale: un vero e proprio ritorno al passato che nega alla radice e sovverte i fondamenti della riforma.
Non si intende stare qui a discutere se una legge regionale che raccogliesse tale proposta sarebbe o meno legittima, alla luce della legge nazionale che richiede l’istituzione delle agenzie regionali e di quanto prevede il Titolo V della Costituzione, che pone la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali tra le materie per le quali lo Stato ha la legislazione esclusiva: è verosimile che una decisione di quel genere porterebbe ad un conflitto di attribuzione tra Stato e Regione, dall’esito altrettanto verosimilmente scontato. Non si vuole neppure valutare l’efficacia, che sembrerebbe per vero assai scarsa, che una simile misura avrebbe ai fini del rientro del debito sanitario, non certo dovuto, peraltro, alle eventuali passività dell’ARPA.
Considerazioni di questo tipo fanno sembrare probabile, oltre che, ovviamente, auspicabile, che la proposta del Commissario ad acta rientri, o che comunque il progetto non vada in porto, fermato, se non prima, almeno da una maggioranza consapevole, contraria ad esso, che si formi nel Consiglio regionale.
Tuttavia il fatto stesso che un’idea simile abbia potuto essere avanzata non può non preoccupare: esso sta a dimostrare che i principi che hanno ispirato la riforma dei controlli ambientali, principi riconosciuti in tutto il mondo occidentale, in Italia trovano ancora ostacoli ad affermarsi pienamente, se non che stiano addirittura subendo un’erosione. È pertanto necessario che segnali come quello che viene dal Molise non siano sottovalutati e che ad essi si presti, al contrario, la massima attenzione, denunciando e combattendo ogni tentativo di far tornare la protezione dell’ambiente in una condizione di subalternità nella quale la sua specificità non verrebbe più riconosciuta, condizione che sarebbe quindi premessa di un progressivo, inevitabile arretramento di ogni tutela.