ALIMENTAZIONE E DEFORESTAZIONE
L’attenzione verso un’alimentazione più sana e sostenibile porta alla ricerca di modelli dietetici che garantiscano un equilibrio tra sicurezza alimentare e sostenibilità ambientale. Sulle diverse ipotesi si sviluppano approfondimenti e confronti dagli esiti affatto scontati che costringono a rivedere convinzioni diffuse ma errate perché basate su luoghi comuni.
In Copertina: foto Pixabay
Negli ultimi anni, la ricerca di un'alimentazione più sostenibile è diventata una priorità sia per garantire alla popolazione globale una dieta sana e completa, che per la tutela dell’ambiente.
La EAT-Lancet Commission on Food, Planet, Health, un gruppo internazionale di ricercatori in nutrizione, salute pubblica, agricoltura e cambiamenti climatici, ha sviluppato e pubblicato nel 2019 la dieta EAT-Lancet, con un duplice obiettivo: da un lato, migliorare la salute pubblica, dall'altro, limitare l'impatto ecologico della produzione alimentare globale. Tuttavia, uno studio recente guidato dal CMCC (Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici) mette in luce alcune implicazioni ambientali di questa strategia.
Si fa presto a dire “sostenibile”
La dieta EAT-Lancet suggerisce di aumentare il consumo di alimenti di origine vegetale, come frutta, verdura, legumi e oli vegetali insaturi. Contestualmente, raccomanda una riduzione dell'assunzione di carne rossa, prodotti caseari, ortaggi amidacei e uova.
L’adozione di questa dieta a livello globale potrebbe comportare una riduzione delle emissioni globali di gas serra grazie alla riduzione di alimenti ad alto impatto, come carne e uova e la conseguente riduzione di colture destinate all’alimentazione del bestiame (che renderebbe disponibile per altri usi la superficie agricola attualmente destinata alla produzione di mangimi). Tuttavia, l’aumento raccomandato dell’assunzione di oli insaturi (+67% rispetto all’attuale consumo, mantenendo invariato il consumo di olio di palma) potrebbe invece comportare un aumento specifico dell’uso del suolo e delle possibili emissioni di gas serra derivanti dalla deforestazione, come ipotizza lo studio “Pressure on Global Forests: “Implications of Rising Vegetable Oils Consumption under the EAT-Lancet Diet”, pubblicato sulla rivista Global Change Biology.
Inoltre, l’aumento suggerito del consumo pro capite di oli insaturi, combinato con l’aumento della popolazione globale (9,2 miliardi di persone nel 2050, secondo uno scenario di crescita demografica moderata del Shared Socioeconomic Pathway, IPCC 2021), comporterà una maggiore produzione di oli vegetali e l’espansione delle aree destinate alla loro coltivazione, potenzialmente aggravando la pressione sulle foreste e su altri ecosistemi.
Attualmente, la produzione di colture oleaginose supera le 200 milioni di tonnellate all’anno (40% per il consumo umano diretto, FAOSTAT 2023) occupando circa 330 milioni di ettari ed è responsabile di quasi il 20% della deforestazione legata alle materie prime agricole. L’olio vegetale più prodotto è l’olio di palma, con oltre 73,5 Mt all’anno, a cui si aggiungono circa 8 Mt di olio di palmisto, seguito dall’olio di soia con quasi 58 Mt, dall’olio di colza con circa 25 Mt e dall’olio di girasole con circa 20 Mt all’anno (in base ai dati FAOSTAT 2023 del periodo 2018-2020).
Secondo lo studio, entro il 2050 la produzione di oli vegetali destinati all’alimentazione potrebbe crescere del 74%, richiedendo 317 milioni di ettari di terra, con un aumento del 68% rispetto al mantenimento degli attuali livelli di consumo. Questo potrebbe causare la perdita di circa 120 milioni di ettari di foreste e un incremento dell’87% delle emissioni di CO₂ legate al cambiamento d’uso del suolo fino a 1210 megatonnellate all’anno.
Oltre ai rischi per le foreste, la crescita delle coltivazioni di piante oleaginose potrebbe avere ripercussioni sulla sicurezza alimentare globale. L’espansione delle piantagioni di colza, girasole e soia potrebbe avvenire a scapito di colture come grano, riso e mais, compromettendo la disponibilità di cibo per molte popolazioni.
Il paradosso della sostituzione dell’olio di palma
Lo studio analizza la futura distribuzione globale delle quattro principali colture oleaginose (palma da olio, soia, girasole, colza) e valuta i cambiamenti nell’uso del suolo, inclusa la deforestazione, e le emissioni di gas serra derivanti. Inoltre, esplora le possibili conseguenze della sostituzione dell’olio di palma con altri oli vegetali, ipotizzando diversi scenari di rimpiazzo.
L’olio di palma è spesso demonizzato per il suo legame con la deforestazione tropicale, ma lo studio mostra che la sua sostituzione con altri oli vegetali potrebbe peggiorare la situazione. Rispetto alla palma da olio, le colture di soia, girasole e colza hanno rese per ettaro significativamente inferiori, il che significa che sostituire l’olio di palma con questi oli richiederebbe un’espansione ancora maggiore delle aree coltivate. Secondo lo studio, proiettando il tasso di consumo della dieta EAT-Lancet al 2050, la sostituzione del 100% di olio di palma per uso alimentare con altri oli vegetali insaturi potrebbe portare alla necessità di fino a 385 milioni di ettari di nuovo suolo coltivabile, con un rischio di deforestazione fino a 148 milioni di ettari di foreste e un aumento delle emissioni di gas serra fino a 1525 Mt di CO₂ all'anno.
Per attuare una strategia efficace a ridurre l’impatto ambientale delle colture oleaginose, tra cui l’olio di palma, è necessario garantire una produzione sostenibile, che aumenti l’efficienza del suolo e contrasti la deforestazione.
Negli ultimi anni, sono stati sviluppati e adottati schemi di certificazione e protocolli, in particolare per l’olio di palma, che stabiliscono principi e criteri ambientali e socio-economici per una produzione sostenibile, preservando le foreste esistenti e le torbiere. Secondo i dati della Roundtable on Sustainable Palm Oil (RSPO 2021), attualmente 4,8 milioni di ettari su 28 milioni di ettari di piantagioni di palma da olio a livello globale (circa il 19%) sono certificati come sostenibili, garantendo che non provengano da deforestazione agricola. Espandere questi schemi di certificazione all’intero settore dell’olio di palma e applicarli anche ad altre colture oleaginose potrebbe contribuire a ridurre la conversione delle foreste in piantagioni e a prevenire la perdita di biodiversità.
Verso un approccio più consapevole
La ricerca suggerisce che per rendere sostenibile il sistema alimentare globale, è necessario un approccio che vada oltre la semplice eliminazione di alcuni ingredienti a favore di altri. Le strategie chiave includono:
Mentre la dieta EAT-Lancet offre un modello teorico per una transizione verso sistemi alimentari più sostenibili, la sua applicazione pratica deve essere valutata con attenzione per evitare effetti collaterali indesiderati. In un mondo in cui le risorse terrestri sono sempre più sotto pressione, garantire la sostenibilità dell’intero settore degli oli vegetali potrebbe rivelarsi una delle sfide più urgenti per il futuro dell’alimentazione globale.