NUOVA DIRETTIVA EFFICIENZA ENERGETICA EED
Per la Direttiva EED, l’efficienza energetica vale solo se è funzionale all’uso delle rinnovabili e subordinata al fuel shifting, già dal 2024. Almeno per una gran parte dei sistemi di riscaldamento degli edifici. Questi obiettivi si ricavano dalla lettura attenta del testo e degli allegati della nuova normativa, che riconosce e promuove gli interventi per efficientare l’uso delle fonti fossili nella generazione elettrica e per il teleriscaldamento, ma non per i più semplici e diffusi interventi negli usi finali degli utilizzatori. L’autore, Policy Officer di Assotermica, spiega dove e come le norme contengano questi intenti e gli effetti che possono avere, già a partire dal prossimo anno, sul mercato, sui consumatori e su un comparto industriale resiliente ed avanzato che esporta in tutta Europa.
La nuova Direttiva EED/Energy Efficiency Directive (EU)2023/1791, tanto attesa, ha visto infine la luce con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale UE del 20 settembre 2023.
La Direttiva contiene molti elementi di compromesso e per certi versi di criticità “tecniche” (ad es. il disallineamento di alcune scadenze con la bozza ultima della direttiva “cugina” EPBD sulla prestazione energetica degli edifici, attualmente in corso di discussione finale).
La Direttiva fissa un nuovo quadro regolatorio fondamentale per le strategie del comparto del mondo impiantistico / HVAC e dei fornitori di servizi evoluti (tra tutti: le ESCO), con una serie di importanti scadenze.
Questo insieme di scadenze si susseguono ad un ritmo frenetico e assai ravvicinato nei prossimi anni, in pratica già da “dopodomani”: 2024 – 2026, ponendo l’urgenza del recepimento -e prima ancora della corretta interpretazione- agli organi legislativi nazionali.
Non più Efficiency First. L’efficienza è solo uno degli strumenti.
È anche opportuno premettere, anche a rafforzare la proiezione dell’impatto che avrà la nuova Direttiva, che per la prima volta, in base al disposto dell’Art. 8 comma 1), gli obiettivi di risparmio energetico e le traiettorie per raggiungerli al 2030 sono obbligatori. Ciascuno Stato sarà poi chiamato a descrivere come intende contribuire al raggiungimento dell’obiettivo Europeo nel proprio Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC).
Come si capisce subito dalla terminologia dell’Art 8, la Direttiva in effetti mira al risparmio energetico, mentre l’efficienza energetica (di cui al titolo della Direttiva) vi viene quasi subordinata come uno degli strumenti utili al fine ultimo, ad es. sotto forma di policies che potremmo definire di Market Transformation. Altri strumenti efficaci, indicati come validi per raggiungere lo scopo della Direttiva, sono i sistemi di incentivazione fiscale e simili, la promozione e la diffusione di sistemi a energia rinnovabile negli usi finali per ridurre i consumi di energia primaria, laddove i due obiettivi riescono ad andare a braccetto, e infine (con alcuni specifici paletti) anche la contabilizzazione delle “buone pratiche” di riduzione dei consumi finali dei singoli, se queste si protraggono nel tempo in modo costante ed efficace, ad esempio per effetto di campagne di formazione e informazione efficaci, come già avvenuto nel primo periodo di crisi del gas successivo allo scoppio del conflitto in Ucraina.
L’Efficienza fantasma: se usi energia fossile, il tuo risparmio non viene conteggiato. Dal 1°gennaio 2024.
Qui si vuole richiamare l’attenzione su un elemento di criticità sostanziale, da molte parti non ancora focalizzato, in quanto “annidato” all’interno dell’Allegato V. Già da sola questa scelta di una stesura “anomala” da parte del legislatore europeo di alcune previsioni tecniche solo apparentemente contabili, ma in realtà assolutamente impattanti e intrinsecamente politiche, potrebbe sollevare delle legittime perplessità sugli obiettivi non espliciti della Direttiva e sulla volontà di non renderli palesi, nel corso del processo di consultazione legislativa.
L’Allegato V indica le metodologie di calcolo ovvero di contabilizzazione del raggiungimento degli obiettivi di risparmio energetico degli Stati. In base a quanto disposto dall’Art. 8 comma 2) tali metodologie di calcolo sono obbligatorie e dunque sono le uniche valide per la rendicontazione degli obiettivi.
Essendo la sfida dei nuovi obiettivi molto impegnativa per ciascuno Stato Membro ci si potrebbe aspettare un certo grado di flessibilità nelle politiche e negli strumenti attuativi del singolo Stato, in funzione almeno:
a) delle specificità “del mercato”/ambientali al contorno, ad es. tipologia e vetustà del parco edifici/impianti, zonizzazione climatica, reddito/risparmio medio e capacità di spesa delle famiglie, trend socio-demografici, trend del sistema dell’edilizia, ecc.
b) delle best practices già maturate e consolidate nel singolo Stato.
Purtroppo, non è così, in quanto l’Allegato V detta condizioni stringenti in merito a due degli strumenti utilizzati sin qui più ampiamente e con successo dalla stessa Commissione europea e dagli Stati membri: i sistemi di incentivazione e le politiche di Market Transformation.
Successivamente al 1.1.2024, non ci sarà più modo di contabilizzare i risparmi ottenuti grazie alla spinta di nuove politiche che ammettano ancora sistemi a “combustione diretta di energia fossile” negli usi finali [1]
( Allegato V Art. 2 lett. i)
Sempre più difficile un rilancio dei Certificati Bianchi
Nel caso, per esempio, del ben noto meccanismo dei Titoli di Efficienza Energetica (TEE o “Certificati Bianchi”), qualora si procedesse a una revisione del meccanismo della legislazione sottostante a partire dal prossimo anno, l’Italia non potrà più contabilizzare a riduzione dei consumi tutti quei risparmi energetici ottenuti dalle ESCO con i loro interventi che tipicamente sfruttano la tecnologia della caldaia a condensazione per il rinnovamento e ammodernamento degli impianti, magari in sostituzione di vecchi generatori a gasolio con bruciatori mono o bi-stadio.
Politiche di supporto e spinta di sistemi domotici e di termoregolazione evoluti non si potranno più mettere in campo, se l’elemento “generatore di calore” rimane ancorato a sistemi di combustione fossile, ancorché molto efficienti. Lo stesso dicasi per sistemi di cogenerazione distribuita.
Naturalmente, questo mette seriamente in discussione il commitment politico a sostenere e potenziare lo strumento dei TEE, se poi allo Stato Membro non viene riconosciuto il risultato politico all’interno degli obiettivi sfidanti e vincolanti al 2030.
Niente più incentivi senza completa rinuncia all’uso di fossili, anche se efficiente. Dal 1° gennaio 26.
Peggio ancora: dal 1° gennaio 2026 le nuove politiche di incentivazione fiscale sono vietate per la parte che andrebbe a sovvenzionare sistemi a “combustione diretta di energia fossile” negli usi finali. (Allegato V Art. 2 lett. h) punto ii)
Tale divieto è limitato agli edifici residenziali, pur tuttavia ricomprendendo una vasta categoria di edifici dove tipicamente operano le ESCO (condomini).
Per tutte le altre categorie di edifici (es. ospedali, RSA, scuole, alberghi, edifici commerciali), pure oggetto notoriamente dell’attività delle ESCO per gli interventi di efficientamento energetico, si pone il problema che in linea teorica gli ammodernamenti degli impianti di tali edifici sarebbero ancora incentivabili (es. con le Leggi Finanziarie successive al 2026) ma i risparmi ottenuti, di nuovo, non sarebbero computabili dallo Stato Membro per il raggiungimento degli obiettivi obbligatori di risparmio energetico. Un assurdo!
Perché quindi lo Stato e il Governo dovrebbero stanziare soldi in Finanziaria, o in un altro strumento al 2026, per supportare una Market Transformation vietata (per i condomini) o mal tollerata (per le altre categorie di edifici) e per di più considerata come una “politica di efficienza fantasma” con contributo pari a ZERO per gli obiettivi della UE?
Sistemi ibridi? Tollerati. Anche se sono esportati in tutta Europa.
Per quanto riguarda i “sistemi combinazione di tecnologie” (ad esempio sistemi ibridi pompe di calore elettriche + caldaia a gas di backup), l’Allegato V li “tollera” come strumento di efficienza energetica anche dopo il 2024, consentendo allo Stato Membro di computare esclusivamente il risparmio di energia attribuibile alla parte di generatore in pompa di calore (elettrica).
Tuttavia, questa deroga ad hoc sparisce all’Art. 2 lett. h) dove si indicano le condizioni e i divieti che entrano in vigore dal 2026, e dunque non è dato sapere se possa sopravvivere in maniera estensiva, o andare a morire in maniera restrittiva. Peggio ancora, non vi è alcuna deroga che permetta di approvare una manovra di incentivi fiscali ai sistemi ibridi dopo il 2026.
La situazione è quindi massimamente ambigua, e in quanto tale, a prescindere dalla reale direzione finale, assai incerta e deleteria per l’industria e per il mercato, alla ricerca costante della stabilità e certezza delle regole.
Tale assetto normativo è ancora più grave per il fatto che i sistemi ibridi residenziali factory-made sono una tecnologia nata e sviluppata in Italia, esportata da aziende italiane in tutta Europa. I sistemi ibridi sono citati come la soluzione ponte intelligente per assicurare una transizione energetica “rapida ed efficiente” perfino nel position paper “Catalyzing Electrification Accord” sviluppato dall’Alleanza “GSEP/SODE” (Strategic Open Dialogue on Electrification). [2]
In Olanda, il Ministero responsabile, dopo aver promosso una legislazione innovativa con una forte spinta verso le pompe di calore elettriche, ha rapidamente fatto dietro-front visti i risultati di uno studio che mostravano difficoltà di integrazione impiantistica negli appartamenti degli edifici esistenti, un tempo di pay-back spesso superiore nei condomini al tempo limite fissato dal Ministero come “socialmente accettabile” nonché problemi nella integrazione di quote massicce di pompe di calore nelle reti di distribuzione locali, già gravate dalla crescita impetuosa di fotovoltaico e veicoli elettrici. Dal 2026, l’Olanda passerà quindi a una nuova legislazione che vede proprio i sistemi ibridi residenziali (nati in Italia) come nuova tecnologia entry-level di massa per la transizione energetica, e la pompa di calore full electric come tecnologia “premium” o come soluzione per gli edifici di nuova costruzione.
In Germania, i sistemi ibridi sono già oggi considerati come architrave della nuova legislazione energetica progressista “GEG”, rientrando a pieno titolo fra le tecnologie ritenute conformi alla norma.
In Inghilterra, si stanno valutando attentamente i pro e i contro di questi sistemi. Uno studio dell’Imperial College ha già valutato come adottando sistemi ibridi al posto delle (o insieme alle) pompe di calore elettriche su scala massiva il sistema energetico inglese guadagnerebbe un grado di resilienza e di flessibilità così elevato da poter rinunciare a costruire alcune nuove centrali nucleari per garantire il baseload, rispetto al passaggio tout court a pompe di calore elettriche.
Nella stessa Inghilterra, peraltro centrale nella geografia di mercato (e nel peso delle emissioni) con i suoi numeri record pari a 1,8 – 1,9 milioni di nuove caldaie a gas installate ogni anno, è singolare notare come, a settembre 2023, il Governo abbia dichiarato un sonoro dietrofront rispetto all’idea di bandire i generatori a combustibili fossili entro il 2026, avendo acquisito coscienza che la transizione deve essere equa e praticabile.
Le nuove deadlines del governo inglese per il ban di alcuni generatori a combustibili fossili sono ora in discussione per il 2035, ma non riguarderebbero le caldaie a metano, bensì le assai più inquinanti caldaie a gasolio e a GPL.
Persino le caldaie a carbone potranno essere installate con una speciale deroga anche dopo il 2035, a testimonianza del fatto che il governo inglese (pur puntando a numeri importanti di penetrazione delle pompe di calore) non creda più al paradigma “one technology fits all (application)” . [3]
Peraltro, anche al di là dell’Atlantico, negli USA, ora si cominciano ad installare su scala più ampia caldaie a condensazione made in Italy e made in Europe, e si sta già parlando insistentemente dei vantaggi dei sistemi ibridi a favore di un processo di decarbonizzazione pervasivo, agile e sostenibile.
Neutralità tecnologica, questa sconosciuta.
Nonostante i ripensamenti di tutti i più importanti paesi del continente europeo, la Direttiva EED parte con premesse assai fosche e appare piuttosto evidente che lo scopo, per di più maldestro, degli estensori dell’Allegato V sia stato quello di tracciare un perimetro il più possibile “blindato” ove confinare la libertà di manovra degli Stati Membri, in particolare dopo il 2026.
L’unica tecnologia liberamente ammessa alla contabilizzazione dei risparmi e alle incentivazioni nel medio termine per gli usi finali sembra essere la pompa di calore full electric.
Questa deriva prettamente ideologica potrebbe anticipare addirittura di tre anni il salto tecnologico attualmente in discussione per il 2029 con l’attuale bozza di “Regolamento Ecodesign” della UE, sul quale la postura di molti Stati Membri (fra cui proprio Germania e Olanda) si sta infine riallineando su posizioni più elastiche e pragmatiche, quali quelle già espresse dall’Italia.
Infatti questi paesi, che intanto hanno deciso di credere fortemente nei sistemi ibridi come tecnologia ponte per una più pervasiva e rapida transizione verso un sistema più decarbonizzato già al 2026, stanno comunque difendendo un approccio più equilibrato nel Regolamento Ecodesign, dove nel prossimo decennio anche i generatori alimentati a gas rinnovabili potranno affiancare i sistemi ibridi e le pompe di calore in una visione articolata e multi-tecnologica dell’industria europea, che ci permetterà di sviluppare ulteriormente ed esportare tutte le nostre tecnologie (migliorate e decarbonizzate) in altre regioni del mondo ad alta intensità di emissioni di carbonio.
Almeno, cambiamo il titolo: “Direttiva per il Fuel Shifting”.
La Direttiva EED potrebbe invece essere addirittura il “cavallo di Troia” per una transizione elettrica a tutti i costi? La Direttiva che titola: “Efficienza Energetica” e poi invece contabilizza di fatto i Risparmi Energetici (concettualmente diversi, ma più semplici da misurare e rendicontare), infatti, potrebbe quasi essere rititolata “Direttiva per il Fuel Shifting”.
Con queste premesse rischiamo non una evoluzione, ma una grave frenata e involuzione degli interventi di efficienza energetica, non solo sul fronte dei privati, ma anche sulla scala degli interventi finanziati (dalle ESCO) e dunque sul fronte della P.A.
I mezzi scelti – leggi: “percorso teleguidato” verso l’elettrificazione tutta e subito – sono coerenti e compatibili con gli obiettivi della Direttiva, che quasi sembra affievolire l’interesse e la propensione ad affrontare gli interventi di efficientamento più collaudati e diffusi nella maggior parte dei vecchi edifici esistenti?
Infine, ci sarebbe da chiedersi: può l’Italia sopportare di veder vanificata l’efficacia e la portata di alcuni dei migliori strumenti di Market Transformation varati negli ultimi anni, dei quali molti ancora all’avanguardia in Europa (es. il Conto Termico per la P.A.)?
Nelle ultime settimane ho parlato personalmente con alcune ESCO, dalle più piccole alle più grandi, e non sono affatto tranquille per il proprio business, in nessuno dei settori tradizionalmente presidiati. I business plan con la formula “servizio calore”, proprio ora che potevano essere implementati e spinti anche nell’ambito del nuovo strumento del Partenariato Pubblico Privato (PPP) incorporano il rischio prezzo del combustibile/del vettore energetico a carico della ESCO. Lo scarto tra il CAPEX (e gli OPEX) delle pompe di calore elettriche vs. la tecnologia della caldaia a condensazione rende sfavorevole (o comunque più oneroso) elaborare piani di intervento con installazione di pompe di calore in edifici vecchi e male isolati già allacciati al gas metano, a meno di non ricorrere all’installazione di potenze importanti di fotovoltaico (cosa non sempre possibile, e comunque di nuovo con aggravio dell’impegno finanziario iniziale).
Anche per il settore dell’efficientamento energetico di impianti industriali, che ha ottenuto una deroga in extremis all’Allegato V Art. 2 comma j) la nuova Direttiva rischia di cancellare molti degli interventi di efficientamento nell’industria. Infatti, l’alternativa delle pompe di calore ad alta temperatura (industriali) è in genere considerata dalle ESCO come una tecnologia poco più che prototipale, e comunque ancora largamente immatura e lontanissima dai livelli di affidabilità (del prodotto e del supporto after sales) necessari per sottoporre un business plan robusto agli organismi decisionali delle ESCO.
Riconoscere gli errori. Correggerli. O prepararsi ai contenziosi
Così com’è la direttiva alimenterà i contenziosi. Nel corso della mia carriera di advocacy, in più di 27 anni, ho seguito da vicino 4 ricorsi alla Corte di Giustizia UE contro legislazioni pasticciate, o volutamente opprimenti per alcune soluzioni di mercato. In tutti i casi i ricorsi sono sempre stati vinti davanti alla Corte, oppure la legislazione è stata cambiata di corsa “in itinere”.
È forse il caso di mettere in discussione queste norme riconoscendone i limiti e chiedendone la correzione.
Un approccio più trasparente, giusto e realistico eviterà danni irreparabili all’economia e alla società e metterà al sicuro un percorso di transizione sostenibile e coerente.
*Stefano Casandrini è Policy Officer di Assotermica (Federazione ANIMA Confindustria)
NOTE
[1] si badi peraltro che qui vi è uno dei tanti caveat della Direttiva, il cui testo non esplicita una siffatta definizione.
[2] https://www.globalelectricity.org/wp-content/uploads/2022/11/Catalyzing-Electrification-Accord-.pdf
[3] https://registeredgasengineer.co.uk/government-rows-back-on-measures-to-reach-net-zero/