TERMOVALORIZZATORE A ROMA
Dopo la nostra risposta ai tentativi di creare allarmismo sui presunti rischi per la salute fra i cittadini della periferia Sud di Roma, dove è stato localizzato il termovalorizzatore, arrivano nuove mandrie di “bufale”, in modo subdolo e sostanzialmente anonimo. Ma, dalla Newsletter del Comitato Daje! gli esperti rispondono punto per punto col Fact Checking. E noi pubblichiamo con piacere.
Foto di Copertina: Pixabay, anujohanna (xabay.com/users/anujohanna-1547681/)
La diffusione di notizie che spaventano e che indirizzano l’opinione pubblica verso quello che si vuole far credere è pratica comune di quelle persone che non hanno alcuna intenzione di ragionare, discutere e, eventualmente, accettare fatti che possono scalfire le loro posizioni pregiudiziali. La caratteristica principale di questa modalità di comunicazione è quella di non citare le fonti dalle quali vengono tratte le notizie, quasi sempre perché o sono inaffidabili o risultano essere state manipolate ad arte per indirizzare l’opinione pubblica verso un certo obiettivo.
L’articolo del blog che qui commenteremo[1] non cita alcuna fonte nel diffondere le sue notizie. In un solo caso, quello relativo al riferito aumento dei casi di tumore nelle zone circostanti il termovalorizzatore di Milano, siamo riusciti a risalire alla fonte perché è un argomento talmente trito e ritrito che ormai scatta un meccanismo associativo mentale immediato nel riconoscere a cosa si riferisce il “contrario” di turno; ed è un caso di manipolazione di uno studio sul quale ci siamo già soffermati in altra occasione.
Inoltre registriamo che queste informazioni vengono diffuse online in modalità sostanzialmente “anonime”, senza dare modo a chi legge di risalire all’autore di certe affermazioni o documenti; l’unica informazione resa pubblica è il nome della “Rete Tutela Roma Sud e Castelli Romani”, comitato neocostituito che ricomprende al suo interno associazioni del calibro di Legambiente ed Italia Nostra[2]; ci chiediamo pertanto se i vertici nazionali di associazioni così prestigiose siano consapevoli di quanto diffuso da piccole realtà locali, spendendo i loro loghi e nomi, al fine di acquisire visibilità.
L’unico aspetto confortante di questa surreale situazione è che ormai siamo pronti a rispondere a qualsiasi domanda ed a confutare qualsiasi tesi per quanto strampalata o fantasiosa che sia. Le obiezioni sono talmente ricorrenti che si è esaurita la loro capacità di essere originali e le risposte sono tutte già conosciute o facilmente reperibili.
Ma procediamo ora a fornire le risposte a quanto affermato.
-“Negli ultimi anni in Italia sono stati chiusi 11 impianti. Solo in Veneto, grazie alla raccolta differenziata ne sono stati chiusi due”
Le motivazioni che hanno portato alla chiusura di alcuni termovalorizzatori italiani negli “ultimi anni” sono di vario genere e non necessariamente collegate ad un mancato fabbisogno del territorio.
Senza alcuna fonte citata, risulta impossibile verificare il numero di impianti chiusi negli ultimi anni, ma a tale proposito è utile richiamare una dichiarazione dell’ex Ministro dell’Ambiente Sergio Costa che, nel 2018, dichiarava come in Lombardia si stesse procedendo alla chiusura progressiva degli impianti di termovalorizzazione per l’aumento della raccolta differenziata. Orbene, un fact checking operato dall’AGI ha dimostrato, per bocca dell’allora Assessore Regionale, come la dichiarazione fosse priva di fondatezza e che, laddove alcuni impianti avessero dovuto subire quella sorte in futuro, il motivo sarebbe stato quello della loro obsolescenza e limitata capacità di trattamento.
In Veneto, se corrisponde al vero il fatto che negli ultimi anni siano stati chiusi due impianti, evitando di limitare l’analisi a dichiarazioni a mezzo stampa, si potrebbe scoprire che:
- L’inceneritore di Ca’ del Bue, attivo dal 1988, è sempre stato oggetto di problematiche legate a cattivo funzionamento e mala gestione, il che ha portato la Regione, nel corso degli anni, a ridurne la potenzialità sempre di più, fintanto che non si è deciso di riconvertire lo stesso ad impianto di produzione di biometano (ovviamente osteggiato anch’esso da comitati NIMBY);
- La situazione attuale del Veneto è tale che, al 2021, risultavano smaltite in discarica 132.000 ton (con un + 57,1% rispetto al 2020) mentre oltre 10.000 ton viaggiavano verso il TMV di Brescia per evidente insufficienza di capacità all’interno dei confini regionali.
Inoltre, si sottolinea come allo stesso tempo in altre Regioni si stia pensando di procedere con la costruzione di nuovi impianti di termovalorizzazione di ultima generazione adeguati alle recenti BAT di settore, il tutto a chiusura di cicli sempre più virtuosi di gestione rifiuti, ma le cui frazioni residue devono trovare sbocco in quello che ad oggi risulta il trattamento meno impattante dal punto di vista ambientale tra quelli disponibili[3].
-“In Germania li stanno spegnendo e li accendono solo all’occorrenza. In Danimarca hanno deciso di ridurli del 30%”.
Passando al confronto con altre nazioni, è necessario in primis sottolineare come il modo corretto di affrontare la tematica dovrebbe considerare anche i diversi contesti in termini di rifiuti prodotti e percentuali degli stessi che vanno a riciclo, termovalorizzazione e/o discarica. Un confronto in termini assoluti porta ad errate percezioni che, tra le altre cose, possono essere utilizzate a sostegno di qualunque tesi.
In merito alla Germania, a parte le legittime e nobili proposte di alcuni gruppi politici, il sito del CEWEP riporta un numero di impianti pari a 96 nel 2017, che sono diventati 100 nel 2019; non risultano pertanto dati ufficiali in merito ad un abbandono in essere della tecnologia di recupero energetico dei rifiuti.
Quanto al sostenere che i termovalorizzatori siano accessi “all’occorrenza” denota, oltre che una certa ingenuità in ragione dei numeri di cui sopra, una mancata conoscenza dell’impiantistica che mal si presta a continue alternanze di cicli di accensione e spegnimento.
L’affermazione relativa al fatto che in Danimarca avrebbero deciso di ridurre gli impianti del 30%, deriva probabilmente da una non corretta narrazione di quanto ripreso da un articolo del 2020 in merito ad un impegno del governo danese preso in merito alle azioni per la neutralità carbonica al 2030[4].
La dichiarazione fatta dall’ex Ministro dell’Ambiente danese, infatti, è relativa all’obiettivo al 2030 di ridurre del 30% la quantità di rifiuti inviati a termovalorizzazione investendo su politiche di riduzione rifiuti ed aumento % di riciclaggio, non già di ridurre del 30% il numero di impianti Waste to Energy come sostenuto nel post.
Inoltre, ricordiamo che la Danimarca risulta ad oggi il terzo Stato Europeo per % di rifiuti domestici avviati a termovalorizzazione, secondo solo a Finlandia e Svezia e tallonato dalla Germania[5].
Numeri alla mano, in Danimarca nel 2019 il pro-capite termovalorizzato è stato di oltre 600 kg/abit per anno contro un dato italiano pari a 106.
-“A Milano ed in provincia, entro i 10 km dal termovalorizzatore, è stato riscontrato un tasso di malattie tumorali e respiratorie del 70% più alto rispetto al resto della Regione”.
Trattasi di dichiarazione falsa? Effettivamente no.
Ma il dato è correlato alla presenza del termovalorizzatore? Andiamo a verificare.
Questo è l’esempio di come l’utilizzo del dato ambientale è di una delicatezza estrema, soprattutto quando si tirano in ballo questioni di salute e si rischia di cadere nel procurato allarme.
L’articolo non riporta la fonte, ma questa è il rapporto sulla “Valutazione dello stato di salute della popolazione residente nell’area intorno all’inceneritore Silla 2” del marzo 2019, della Regione Lombardia.
Senza entrare nel tecnico, si riportano a seguire alcuni passaggi delle conclusioni dello studio, dando la possibilità a chi legge di farsi un’opinione circa la risposta alla domanda di cui sopra.
Si legge infatti:
“Va sottolineata la sostanziale differenza, evidenziata tra l’area ad alta esposizione rispetto a quella a bassa esposizione agli inquinanti (sia per l’NOx sia per il PTS), della distribuzione per indici che identificano una specifica vulnerabilità sociale. [omissis] L’area in studio considerata presenta delle differenze sostanziali in termini di indice di deprivazione il che suggerisce la presenza di uno svantaggio sociale importante che può potenzialmente modificare lo stato di salute.”
E conclude:
“Occorre ribadire che gli eccessi di rischio non sono associabili con un nesso di causalità con le ricadute dell’inceneritore, considerando anche il limitato apporto dell’inceneritore alla esposizione cumulativa dell’area in studio (poco più dell’1% per gli ossidi di azoto)”
-“A Parona, vicino Pavia, sui terreni in prossimità del termovalorizzatore, si è depositata DIOSSINA in quantità 70 volte superiori al consentito. Per tale motivo non si possono allevare polli, tacchini, o mangiarne le uova.”
La dichiarazione riportata è vera, ma riferita al passato.
Infatti, l’impianto di Parona è uno dei più vetusti della Lombardia, iniziato a costruire nel febbraio del 1998 ed entrato in esercizio nel 2000 con tecnologie che, già all’epoca, avevano creato problemi sull’impianto gemello di Robbins, vicino Chicago, negli USA. Le problematiche sui terreni sono emerse solo nel 2011, e sono probabilmente riconducibili ai primi anni di funzionamento, quando la Direttiva 2010/75/UE, anche conosciuta come Direttiva IED, che introduceva le Best Available Techniques, ancora non era vigente.
Gli impianti in esercizio ad oggi e tanto più i nuovi impianti in progetto, non sono in nessun modo paragonabili in quanto a tecnologia e ricadute ambientali ad impianti di 10 o 20 anni fa, più di quanto una moderna automobile Euro 6 con sistemi ADAS non sia paragonabile ad una utilitaria di fine anni ’90.
-“A Brescia sorge uno dei più grandi termovalorizzatori in Italia. Non viene detto che ha un sistema non efficiente per l’abbattimento dei fumi e rispetto alla media europea si riscontra il 60% in più di ossido di Azoto e il 300% in più di monossido di carbonio oltre ad altre sostanze inquinanti come PCB e DIOSSINE.”
In primis, la dichiarazione, evidentemente ripresa da siti internet facilmente consultabili online, commette un errore: il paragone non è tra le emissioni dell'impianto di Brescia e quelle della media europea. Infatti, la fonte originale dell'informazione riporta questi dati effettuando il paragone tra le emissioni di Brescia e quelle del più moderno termovalorizzatore Silla 2 sempre in Lombardia[6].
In secundis, indipendentemente dai paragoni con impianti più moderni, il termovalorizzatore di Brescia è ovviamente conforme alle BAT di settore, con un quadro emissivo perfettamente in linea con i limiti più rigorosi sanciti a livello UE per impianti di questo genere.
E non potrebbe che essere così, essendo gli impianti di questo genere autorizzati con Autorizzazione Integrata Ambientale, che prevede, oltre ad autocontrolli periodici con condivisione pubblica dei monitoraggi in continuo delle emissioni dei camini[7], continue ispezioni ordinarie e straordinarie degli Enti di Controllo.
Inoltre, si ricorda il fatto che le BAT sono soggette a periodici e continui aggiornamenti al fine di tenere gli impianti al passo con l’evoluzione tecnologica, con obbligo di adeguamento di tutti gli impianti sul suolo europeo entro i 3 anni successivi all’emanazione della relativa nuova Direttiva UE: in questo senso, il documento di settore più recente è costituito dalla “Decisione di esecuzione (UE) 2019/2010 della Commissione” del 12 novembre 2019[8] che stabilisce, appunto, le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili (BAT), a norma della Direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per l’incenerimento dei rifiuti.
-Le polveri sottili sono quelle particelle che nessun filtro esistente è in grado di trattenere, che possono arrivare anche a molta distanza da dove vengono prodotte (decine di km), con effetti drammatici sulla salute.”
Gli impianti di termovalorizzazione sono dotati di complessi sistemi di filtraggio fumi in grado di trattenere polveri e micropolveri (PM 10 e PM 2.5) rispettando i rigidi limiti, sempre in evoluzione, imposti dalle BAT europee.
Come detto sopra, i dati sono pubblici e facilmente rintracciabili online; dalla lettura degli stessi è facile vedere come, nella maggior parte dei casi, il rispetto dei limiti è assicurato da concentrazioni in uscita di ordini di grandezza inferiori rispetto all’autorizzato. [9]
Queste le affermazioni e queste le risposte che possiamo fornire in base agli scarsi dati diffusi ed alla mancanza di indicazione delle fonti. Purtroppo, siamo coscienti che nessuna ragionevole argomentazione potrà fare breccia nelle menti di persone che ormai si sono formate una loro “verità” che non accetta alcuna ammissione di errore. Del resto, se un ex Presidente di Consiglio insinua nel dibattito false informazioni sulla portata dell’inquinamento causato da un termovalorizzatore, come si può instaurare un fattivo dibattito sull’argomento?
Fortunatamente, i cittadini romani sono ormai in grado di distinguere la fuffa dalla verità e i sondaggi concordano nel segnalare che due romani su tre sono favorevoli alla costruzione del termovalorizzatore di Roma.
*Francesco Capone, candidato alle elezioni del Lazio per Azione-ItaliaViva
*Matteo Rossi, ingegnere, direttore tecnico GECO s.r.l.
[1] https://retetutela.wordpress.com/ (last consulted 30/01/2023)
Volantino scaricabile all’indirizzo https://drive.google.com/file/d/15kgm9vyjHTwd0tySUqyqHW0vtJGY41cA/view?usp=share_link
[5] Eurostat Statistics Explained (https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Waste_statistics)