END OF WASTE E SOTTOPRODOTTI
Gli Amici della Terra avanzano una proposta per superare l’impasse che blocca, ormai da molto tempo, ogni concreto avvio di economia circolare: al fine di riconoscere l’operato delle Regioni che hanno consentito l’utilizzo di sottoprodotti e il riutilizzo di rifiuti nei processi produttivi, oltre ad istituire un Pubblico Registro degli “impianti di recupero di rifiuti”, come propone la Lega, si affidi al Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, SNPA, la garanzia dell’omogeneità dei criteri applicati e la stesura di linee guida.
In assenza di un quadro normativo esauriente che definisca criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto, in molti casi significativi per il tessuto produttivo italiano, sono state le autorità competenti al rilascio delle autorizzazioni ambientali, come le AIA, che, caso per caso, hanno assentito al riconoscimento della cessazione della qualifica di rifiuto o dello status di sottoprodotto. Ciò ha consentito lo sviluppo di circuiti virtuosi di recupero e riciclaggio per flussi importanti di materia, eliminando gravami burocratici inutili del regime dei rifiuti.
Le competenze relative al rilascio delle autorizzazioni ambientali sono divise tra lo Stato (per gli impianti considerati particolarmente significativi) e le Regioni a cui sono state attribuite le funzioni amministrative per molte tipologie di impianti come quelli soggetti alla disciplina della direttiva IPPC. In molti casi, le Regioni hanno ulteriormente decentrato le competenze amministrative in materia di autorizzazioni ambientali alle Province.
L’esito del contenzioso amministrativo tra la Regione Veneto e Contarina SpA su un caso di mancato riconoscimento, da parte della Regione Veneto, della cessazione della qualifica di rifiuto nell’autorizzazione di un impianto di recupero di rifiuto ha fatto emergere la mancanza di una copertura normativa adeguata all’esercizio di questo tipo di funzione amministrativa da parte delle Regioni o degli enti da esse delegati. In mancanza di una cessione esplicita di competenza da parte dello Stato verso le Regioni e in assenza di decreti ministeriali che formulino i criteri di riconoscimento della cessazione della qualifica di rifiuto, la giurisprudenza amministrativa considera illegittimi atti regionali in una materia come quella dell’ambiente che è attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato da parte della Costituzione.
La sentenza ha messo in crisi il meccanismo amministrativo da cui dipendono oggi molte delle autorizzazioni ambientali rilasciate da Regioni e Province delegate contenenti il riconoscimento della cessazione della qualifica di rifiuto. In sostanza, si è bloccato il meccanismo che nell’ultimo decennio ha consentito, in gran parte, la diffusione dell’economia circolare nell’industria italiana.
Nella nuova legislatura il tema è entrato nell’agenda del Governo e dei lavori parlamentari ma non ha trovato ancora uno sbocco concreto. Nonostante le ripetute dichiarazioni e impegni del Ministro dell’Ambiente non vi è stata ancora nessuna iniziativa legislativa del Governo (Disegni di legge o Decreti di legge).
In occasione della legge di bilancio, sono stati presentati una serie di emendamenti finalizzati a modificare l’attuale testo dell’articolo 184 Ter del Dlgs 152/2006, con l’obiettivo di superare l’impasse creatasi dopo la sentenza del Consiglio di Stato. Si sono scontrate due impostazioni riconducibili alle due forze politiche che compongono la maggioranza parlamentare: da una parte, la proposta del Movimento 5 stelle che con un approccio centralistico e burocratico delegittima esplicitamente l’operato amministrativo delle Regioni e ripropone in modo ancor più rigido un meccanismo (già fallito) di centralizzazione presso il Ministero dell’ambiente basato sull’emanazione dei criteri per il riconoscimento della cessazione di qualifica di rifiuto; dall’altra, la proposta della Lega finalizzata a riconoscere la legittimità dell’operato amministrativo delle Regioni e a fornire una più solida base normativa all’esercizio di questa funzione tramite l’esplicito riconoscimento del principio di cedevolezza dello Stato verso le Regioni, in assenza di criteri di riconoscimento della cessazione della qualifica di rifiuto a livello nazionale. L’esito è stato un nulla di fatto. Lo stralcio degli emendamenti su questo tema dalla legge di bilancio ha evitato soluzioni peggiorative ma ha lasciato il settore nel limbo dell’incertezza generata dalla sentenza del Consiglio di Stato.
Il tema e lo scontro tra le due impostazioni si è riproposto in questi giorni con una serie di emendamenti al Disegno di legge “Semplificazioni” in discussione al Senato in prima lettura, con un nuovo flop. In questa seconda occasione, l’emendamento proposto dal M5S è stato meno pesante nella sua impostazione centralistica ma, con un linguaggio oscuro in molti passaggi, ha riproposto un meccanismo di difficile attuazione. E’ rimasta identica, invece, la proposta di riscrittura dell’articolo 184 ter del Dlgs 152/2006 da parte della Lega che prevede, come mitigazione alla mancanza di indirizzi nazionali in materia di criteri di riconoscimento della qualifica di sottoprodotto e cessazione della qualifica di rifiuto, l’istituzione di un registro nazionale degli “impianti di recupero di rifiuti” con la finalità di raccogliere le autorizzazioni già emesse e quelle che verranno emesse in futuro.
L’idea del registro è senz’altro positiva perché renderebbe trasparenti le modalità del riconoscimento della qualifica di sottoprodotto e della cessazione della qualifica di rifiuto facendo emergere le eventuali incongruità. Non appare tuttavia sufficiente per governare adeguatamente l’esercizio di queste funzioni, in assenza di criteri UE o nazionali, nel quadro di decentramento esistente in Italia.
Gli Amici della Terra, che seguono il dibattito con attenzione attraverso la campagna Zero Sprechi- Verso l’economia circolare, intendono avanzare una proposta formale per ovviare a questa carenza, senza appesantire le procedure. La proposta mira a coinvolgere il Sistema Nazionale delle Agenzie per l’Ambiente, SNPA, nelle procedure decentrate con un parere che potrebbe garantire l’omogeneità dei criteri applicati rispetto a casistiche analoghe e potrebbe supportare la definizione di criteri nazionali anche con passi intermedi, come la stesura di linee guida con procedure semplificata rispetto alla emanazione di decreti ministeriali. Il SNPA, infatti, ha una sua articolazione territoriale e nazionale tramite le Agenzie Regionali ed Ispra e svolge già da tempo funzioni di assistenza tecnica e controllo per gli organi deputati al rilascio delle autorizzazioni. Il quadro normativo esistente, a livello europeo e nazionale, costituisce l’indispensabile premessa della proposta.
- La direttiva 2008/98/CE del Parlamento e del Consiglio del 19 novembre 2008
La principale fonte del diritto, in tema ambientale, è quella dell’Unione Europea. Nonostante una moda che vede l’Europa come causa di problemi, da qui si deve partire per capire quando un rifiuto può cessare di esser definito come tale.
Già nelle premesse della direttiva, il legislatore europeo si preoccupa che il testo della norma (e le sottostanti leggi nazionali) non generino confusione tra il concetto di: a) rifiuto; b) sottoprodotto; e c) rifiuto che cessa di essere tale; individua inoltre alcune tipologie di rifiuto che meriterebbero di uscire dal regime normativo dei rifiuti: inerti da demolizione, ceneri e scorie, rottami ferrosi, aggregati, pneumatici fuori uso, rifiuti tessili, compositi, rifiuti di carta e di vetro.
Ancora nelle premesse, al punto 22, la direttiva recita “dovrebbero essere applicate procedure appropriate, se del caso, ai sottoprodotti che non sono rifiuti, da un lato, e ai rifiuti che cessano di essere tali, dall’altro. Per precisare taluni aspetti della definizione di rifiuti, la presente direttiva dovrebbe chiarire:
- quando sostanze od oggetti derivanti da un processo di produzione che non ha come obiettivo primario la loro produzione sono sottoprodotti e non rifiuti. La decisione che una sostanza non è un rifiuto può̀ essere presa solo sulla base di un approccio coordinato, da aggiornare regolarmente, e ove ciò̀ sia coerente con la protezione dell’ambiente e della salute umana. Se l’utilizzo di un sottoprodotto è consentito in base ad un’autorizzazione ambientale o a norme generali di protezione dell’ambiente, ciò̀ può̀ essere usato dagli Stati membri quale strumento per decidere che non dovrebbero prodursi impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana; un oggetto o una sostanza dovrebbero essere considerati sottoprodotti solo quando si verificano determinate condizioni. Poiché́ i sottoprodotti rientrano nella categoria dei prodotti, le esportazioni di sottoprodotti dovrebbero conformarsi ai requisiti della legislazione comunitaria pertinente; e
- quando taluni rifiuti cessano di essere tali, stabilendo criteri volti a definire quando un rifiuto cessa di essere tale che assicurano un livello elevato di protezione dell’ambiente e un vantaggio economico e ambientale; eventuali categorie di rifiuti per le quali dovrebbero essere elaborati criteri e specifiche volti a definire «quando un rifiuto cessa di essere tale» sono, fra l’altro, i rifiuti da costruzione e da demolizione, alcune ceneri e scorie, i rottami ferrosi, gli aggregati, i pneumatici, i rifiuti tessili, i composti, i rifiuti di carta e di vetro. Per la cessazione della qualifica di rifiuto, l’operazione di recupero può̀ consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri volti a definire quando un rifiuto cessa di essere tale.”
Queste considerazioni vengono a valle di un percorso di sperimentazione e concertazione di oltre 10 anni, dai tempi della prima direttiva sui rifiuti, recepita in Italia dal D.lgs. 22/ 97 detto Ronchi, e vengono tradotte in norma agli articoli 5 e 6 della direttiva.
L’articolo 5 sui sottoprodotti prevede che:
“1. Una sostanza od oggetto derivante da un processo di produzione il cui scopo primario non è la produzione di tale articolo può̀ non essere considerato rifiuto ai sensi dell’articolo 3, punto 1, bensì̀ sottoprodotto soltanto se sono soddisfatte le seguenti condizioni:
a) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà̀ ulteriormente utilizzata/o;
b) la sostanza o l’oggetto può̀ essere utilizzata/o direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
c) la sostanza o l’oggetto è prodotta/o come parte integrante di un processo di produzione e
d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà̀ a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.
2. Sulla base delle condizioni previste al paragrafo 1, possono essere adottate misure per stabilire i criteri da soddisfare affinché́ sostanze o oggetti specifici siano considerati sottoprodotti e non rifiuti ai sensi dell’articolo 3, punto 1. Tali misure, intese a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, integrandola, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 39, paragrafo 2”
L’articolo 6 sulla cessazione della qualifica di rifiuto stabilisce che:
“1. Taluni rifiuti specifici cessano di essere tali ai sensi dell’articolo 3, punto 1, quando siano sottoposti a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio, e soddisfino criteri specifici da elaborare conformemente alle seguenti condizioni:
a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzata/o per scopi specifici;
b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; e
d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà̀ a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.
I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente della sostanza o dell’oggetto.
2. Le misure intese a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, completandola, che riguardano l’adozione dei criteri di cui al paragrafo 1 e specificano il tipo di rifiuti ai quali si applicano tali criteri, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 39, paragrafo 2. Criteri volti a definire quando un rifiuto cessa di essere tale dovrebbero essere considerati, tra gli altri, almeno per gli aggregati, i rifiuti di carta e di vetro, i metalli, gli pneumatici e i rifiuti tessili.
3. I rifiuti che cessano di essere tali conformemente ai paragrafi 1 e 2 cessano di essere tali anche ai fini degli obiettivi di recupero e riciclaggio stabiliti nelle direttive 94/62/CE, 2000/53/CE, 2002/96/CE e 2006/66/CE e nell’altra normativa comunitaria pertinente quando sono soddisfatti i requisiti in materia di riciclaggio o recupero di tale legislazione.
4. Se non sono stati stabiliti criteri a livello comunitario in conformità̀ della procedura di cui ai paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile. Essi notificano tali decisioni alla Commissione in conformità̀ della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998 che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società̀ dell’informazione ove quest’ultima lo imponga.”
Ai fini della corretta interpretazione e traduzione della norma Comunitaria in quella Nazionale, è utile rilevare che sia l’articolo che riguarda i sottoprodotti sia quello che prevede la cessazione della qualifica del rifiuto prevedono, nei paragrafi finali, procedure e notifiche all’Unione, nel presupposto che sia il mercato che la tutela dell’ambiente siano omogenei in tutta Europa.
Ad ogni buon conto, la direttiva incoraggia il riutilizzo dei rifiuti in grande anticipo rispetto al varo del piano d’azione inerente l’economia circolare del 2015 tant’è che, proprio nel corpo normativo, come abbiamo visto, individua talune tipologie di cui auspica l’uscita dalla disciplina dei rifiuti.
- La normativa nazionale in materia di “End of Waste”
La normativa nazionale nel Codice Ambientale -D.L.vo 3 aprile 2006 n 152 – con gli articoli 184 bis (sottoprodotto) e 184 ter (cessazione della qualifica di rifiuto) recepisce abbastanza bene la Direttiva 2008/98/CE, salvo le modifiche intervenute in seguito sui due articoli, introdotte per rispondere ad esigenze diverse che si manifestano via via sul territorio, in una logica emergenziale piuttosto che di programmazione. Ad esempio, nel 2010, si modifica il 184 bis (sottoprodotti) inserendo i materiali provenienti dagli escavi di alvei di fiumi laghi e torrenti, ma solo per ragioni di sicurezza idraulica; nel 2012, si inserisce il digestato da impianti di digestione anaerobica.
Per quanto riguarda il 184 ter (cessazione della qualifica di rifiuto), nel 2013, alcune tipologie di combustibili secondari (CSS) escono dalla normativa dei rifiuti; nel 2014, si consente di realizzare recuperi ambientali, rilevati e sottofondi stradali con materie prime secondarie di cui al DM 5 febbraio 1998. Per lo specifico tema dei materiali di dragaggio, nel 2014, si approva l’articolo 184 quater.
Il DM 5 febbraio 1998 merita un approfondimento perché ad esso si richiama espressamente il 184 ter, nelle more di una disciplina e di criteri generali che tardano a venire. All’epoca, esso aprì concretamente la possibilità di usare sottoprodotti, classificati come materie prime seconde, e individuò i rifiuti non pericolosi sottoposti a procedure semplificate di recupero ai sensi del decreto 22/97 “Ronchi”, il decreto che recepì la prima direttiva quadro sui rifiuti e che è ancora citato per alcuni criteri innovativi che possedeva. Il Ministero, all’epoca, individuò molte tipologie di rifiuto, con i relativi codici Cer che, avviate al riutilizzo, beneficiavano di procedure molto più semplici rispetto a quelle avviate a smaltimento. Per ognuna di esse si individuava: 1) la provenienza 2) le caratteristiche merceologiche e chimiche 3) le possibili attività di recupero 4) le caratteristiche dei prodotti con esse ottenuti.
Il DM 5 febbraio 1998 andrebbe approfondito, rivisto e attualizzato alle tecnologie e legislazione di oggi e potrebbe costituire la base per linee guida omogenee per tutto il territorio nazionale da notificare i competenti organi dell’Unione.