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2024-03-28 20:22

Acque reflue urbane: la Commissione Ue invia un parere motivato all’Italia

QUEL CHE C’È DA SAPERE

La Commissione europea ha deciso di inviare un parere motivato all'Italia per essere venuta meno all'obbligo di garantire che gli agglomerati con più di 2.000 abitanti dispongano di adeguati sistemi di raccolta e trattamento delle acque reflue urbane, come previsto dalla direttiva 91/271/CEE del Consiglio.

La Commissione ritiene che 237 agglomerati in 13 regioni (Abruzzo, Calabria, Campania, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia e Toscana) violino diverse disposizioni della direttiva. La Commissione invita l'Italia a trasmettere informazioni aggiornate sui progressi compiuti in tutti gli agglomerati per i quali l’Italia ha riconosciuto di essere in difetto.

La Commissione Ue chiede all'Italia anche di fornire ulteriori chiarimenti su tutti gli agglomerati che le nostre autorità hanno dichiarato conformi ma per i quali le informazioni raccolte dalla Commissione indicano il contrario. Secondo la Commissione europea, questa situazione presenta rischi significativi per l'ambiente e per la salute umana in un numero elevato di agglomerati.

La Commissione aveva avviato una procedura di infrazione mediante l'invio di una lettera di costituzione in mora all'Italia nel luglio 2018. In assenza di una risposta soddisfacente, la Commissione potrà decidere di deferire il caso alla Corte di giustizia dell'Ue.

In materia di acque reflue urbane l’Italia ha vari contenziosi aperti con l’Ue. Lo scorso marzo la Commissione europea ha deferito il nostro Paese alla Corte di giustizia Ue perché ritiene che 620 agglomerati con oltre 2.000 abitanti in 16 regioni (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria, Valle d'Aosta e Veneto) violino le norme Ue sugli obblighi di raccolta o trattamento delle acque reflue urbane. In queste regioni l'Italia non rispetta le norme europee da oltre 13 anni, con notevoli rischi per l'ambiente e la salute umana in un gran numero di agglomerati.

La Commissione ricorda che la direttiva concernente il trattamento delle acque reflue urbane impone agli Stati membri di garantire che gli agglomerati o gli insediamenti urbani (cittadine e città) raccolgano e trattino in modo adeguato le proprie acque reflue urbane, dato che quelle non trattate possono essere contaminate da batteri e virus nocivi e rappresentano pertanto un rischio per la salute umana. Le acque reflue urbane non trattate contengono tra l'altro nutrienti come l'azoto e il fosforo che possono danneggiare le acque dolci e l'ambiente marino, favorendo la crescita eccessiva di alghe che soffocano le altre forme di vita, cioè l’eutrofizzazione.

La situazione dell’Italia in materia di trattamento delle acque reflue urbane viene descritta dalla Commissione Ue come una “violazione generale e persistente della direttiva”, che è confermata da altre due cause, riguardanti rispettivamente 80 e 24 agglomerati, nelle quali la Corte si è pronunciata contro il nostro paese nel 2012 e nel 2014.

Il 31 maggio 2018, la Corte di Giustizia europea ha condannato l’Italia al pagamento di un multa forfettaria di 25 milioni di euro per non aver ottemperato alla  sentenza della Corte del 2012, che aveva condannato l’Italia, senza imporre sanzioni, perché le acque reflue urbane di 109 agglomerati (città, centri urbani, insediamenti) non venivano adeguatamente raccolte e trattate. Dopo quattro anni, la situazione di violazione della direttiva era ancora persistente in 80 agglomerati, dei 109 iniziali, e quindi nel 2016 la Commissione Ue aveva nuovamente deferito l’Italia alla Corte, chiedendo di sanzionarla.

La Corte ha accertato che, dei 109 agglomerati iniziali, erano ancora 74 quelli non in regola con le disposizioni della direttiva e quindi ha condannato l’Italia a pagare, oltre alla multa forfettaria di 25 milioni di euro, una penalità di 30.112.500 euro per ciascun semestre di ritardo nell’attuazione delle misure necessarie per conformarsi alla sentenza del 2012, penalità che sarà dovuta sino all’esecuzione integrale della sentenza del 2012, cioè all’adeguamento alla direttiva di tutti i restanti 74 agglomerati.

La sentenza specifica che la sanzione si ridurrà man mano che gli agglomerati saranno adeguati alle prescrizioni della direttiva.