SICUREZZA ENERGETICA
La riscoperta della priorità della sicurezza degli approvvigionamenti di energia, sperimentata con angoscia dall’Italia appena due anni fa, rischia di cadere di nuovo in secondo piano. L’autore torna a perorare la causa di un impianto di rigassificazione a Gioia Tauro tracciando un quadro della geopolitica dell’energia a breve e medio termine.
In Copertina: Foto GoodFon
“Penso che si debba operare per sbloccare procedure ferme da lustri che, se non fossero state bloccate da una burocrazia cieca e da una visione ideologica francamente incomprensibile, oggi non costringerebbero a realizzare rigassificatori con procedure di urgenza e gravosi impatti sui territori. Penso al rigassificatore di Gioia Tauro per il quale - come ha ricordato il presidente della Regione Calabria Occhiuto - basta un DPCM (Decreto presidente del Consiglio dei ministri ndr) che lo dichiari opera strategica per ripartire, realizzando un impianto in grado di processare da 12 a 16 miliardi di metri cubi di GNL l'anno e iniziare a costruire nel nostro Sud quell'hub energetico nazionale ed europeo con cui ci siamo presentati di fronte agli italiani”.
Giorgia Meloni pronunciò queste frasi il 25 ottobre del 2022, riferendosi alla crisi energetica scatenata dall’aggressione russa dell’Ucraina di otto mesi prima. La sede il Senato per la presentazione del programma di governo.
Nonostante questo impegno del capo del governo, e dei sottosegretari che ne continuano a dichiarare la strategicità, di apertura del cantiere a Gioia Tauro non se ne parla, e di mesi ne sono passati 35. A quanto sembra, qualcuno nel deep state italiano non si è ancora reso conto che il problema energetico principale del nostro paese, e in parte dell’Europa, sono i gasdotti.
Rischio gasdotti
Purtroppo, per colpa di Putin, i gasdotti sono diventati strumenti di lotta politica nei contrasti tra Paesi, perché li legano indissolubilmente. Il rischio di interruzioni delle importazioni di gas dalla Libia (3 mld mc), quanto ha pesato nel rilascio del generale Almasri? Il gasdotto che dall’Azerbaijan arriva in Puglia (10 mld mc) attraversa aree a forte rischio geopolitico come la Georgia, e la stessa Turchia (che dipende per il gas da Russia e Iran) potrebbe avere un giorno bisogno di quel gas e trattenerlo.
Anche Trump, prima di minacciare il Canada, dovrebbe ricordarsi che il 7% del gas usato nel Nord-Est degli Stati Uniti viene da lì. Certo per i consumi americani 77 mld mc sembrano pochi, ma con il freddo di questi giorni nel Nord-Est sarebbero difficilmente sostituibili, e in ogni caso farebbero impazzire i prezzi, con ricadute anche sull’Europa, perché rallenterebbero le esportazioni, convenendo vendere in casa.
Nemmeno Xi Jinping vuole troppi gasdotti, e i progetti russi per aumentare le esportazioni in Cina in alternativa all’Europa restano progetti. Le importazioni cinesi di gas viaggiano per due terzi via nave e solo un terzo via tubi (in totale circa 150 miliardi mc).
Al contrario, possiamo non prendere in considerazione la minaccia pubblica del Qatar di fermare le sue esportazioni verso l’Italia (10 mld mc) e l’Europa se la UE le applicherà la Corporate Sustainability Due Diligence, approvata lo scorso anno. Il Qatar esporta da noi solo GNL, (gas naturale liquefatto a meno 162 gradi) che viaggia via nave in tutto il mondo, come il petrolio. Se smettesse, altri fornitori potrebbero sostituirlo. La Direttiva richiede alle grandi aziende che operano nella UE di verificare se le loro catene di approvvigionamento utilizzano il lavoro forzato o causano danni ambientali. Le sanzioni includono multe fino al 5% del fatturato globale.
Per nostra fortuna ormai anche i gasdotti interni europei (collegati agli extra UE) sono così tecnicamente interconnessi che Paesi come la Norvegia, che potrebbero avere la tentazione di staccarsi per non importare i nostri prezzi esportando il loro gas (più di 117 mld mc nel 2024 inclusa la Gran Bretagna), non possono farlo.
Elaborazione Amici della Terra - Il prezzo del gas naturale negli Stati Uniti è stato stabile fino all'estate 2021, per poi crescere con la riduzione delle forniture russe all'Europa e quadriplicare nelle fasi più gravi della crisi.
Le incertezze europee sul gas naturale
Nel 2022 e 2023 ce la siamo cavata per il rotto della cuffia, grazie al “generale inverno” che ha tradito la Russia, e al GNL americano. Se si costruiscono i rigassificatori, qualcuno si fa avanti e offre contratti pluriennali di fornitura. Con questi contratti si trovano i soldi per la costruzione di nuovi impianti di liquefazione da qualche parte nel mondo, e per l’uso delle metaniere, che gli armatori mettono in cantiere.
I prezzi dei contratti rispecchiano le previsioni di sviluppo dei mercati. Il Green Deal del 2019 prevedeva il gas naturale come fonte di transizione verso il 2050. Trenta anni abbondanti (anche se molti ritengono che si userà il gas ben oltre quella data) per ammortare gli impianti e anche adattarli per l’uso futuro di altri gas meno climalteranti (il gas naturale lo è molto meno rispetto a lignite, carbone e petrolio).
Fonte Bloomberg via Spark Commodities - Andamento dei noli delle navi metaniere con capacità di 174.000 mc. Il prezzo è adesso sui 10.000 dollari al giorno. Nella fase più acuta della crisi tra 2021 e 2022 arrivarono a 500 mila dollari al giorno.
I successivi inasprimenti del Green Deal nel 2020 hanno messo in confusione il mercato del gas, non solo europeo, perché la Commissione ha previsto limiti emissivi dei combustibili al 2030 che mettevano fuori gioco anche il gas. La scelta ideologica della Commissione per il “tutto rinnovabile subito” ha dato come risultato che continuiamo ad usare, per fare elettricità, lignite, carbone e in emergenza petrolio.
L’Europa ha saputo affrontare in fretta la crisi energetica voluta dalla Russia, ma stenta a decidere per il futuro, anche se le ultime prese di posizione politiche sulla revisione del Green Deal sembrano riaprire la strada all’uso esteso del gas. Soprattutto in Germania e Polonia, grandi consumatori di lignite e carbone. Pesa però la speranza di troppi che con la pace in Ucraina tornino pure le forniture russe di gas, anche se non più azzurro ma rosso sangue.
La lezione subita da Putin non sembra essere servita a molto, ed è facile prevedere che la vendita del gas sarà tra le richieste russe per fermare l’aggressione. Tra l’altro una parte dell’Europa dipende ancora dal gas russo che viene dal gasdotto Turk Stream, che lo porta direttamente alla Turchia e da questa a Bulgaria e Romania e da lì ad altri.
GNL, Europa e Stati Uniti
Tornando a Trump, premesso che l’Europa è ancora il maggior importatore di gas, circa il doppio della Cina, è curiosa la sua richiesta all’Europa di importare più GNL USA. Certo che importeremo più gas dagli Stati Uniti, non c’è bisogno che lo chieda. Poi le imprese USA sono tutte private, e certo Trump non vorrà bloccare le loro strategie, come invece cercò di fare Biden negli scorsi mesi, perché l’offerta all’esportazione stava facendo aumentare i costi all’interno.
In più, furono fermati nuovi giacimenti per motivi ambientali, che Trump invece sta rilanciando. Fra le questioni in ballo nelle possibili trattative di pace c’è l’interesse del neopresidente USA a impedire che il gas russo torni a monopolizzare il mercato europeo.
In Italia è scorretto sostenere genericamente che “il gas americano è più caro”, perché si alimenta ostilità verso un importante fornitore e soprattutto si aumenta l’empatia per Putin, perché il suo gas costerebbe meno (mentre il vero prezzo fino ad ora è più di un milione di morti). Putin scelse le quantità rispetto ai prezzi, tenendoli scientemente sotto quello USA più il costo standard del trasporto attraverso l’Atlantico (cinque mila miglia dal Golfo del Messico a Rotterdam). Ma l’obiettivo non era il mercato, era aumentare la dipendenza europea, come la storia ha dimostrato.
Nell’autunno inizio inverno 2021, quando la Russia ha ridotto le forniture all’Europa in preparazione della guerra, nessuno capiva cosa stesse succedendo e la disponibilità di metaniere non era sufficiente per l’improvvisa nuova domanda europea. Il costo del loro affitto (noli) è temporaneamente impazzito, come tutto il resto del mercato. Ma questo impazzimento l’hanno pagato anche i cittadini americani, perché la nostra domanda di GNL ha fatto crescere i prezzi del gas anche per loro. Tra l’autunno 2021 e l’inizio del 2023 il prezzo del gas negli USA è più che raddoppiato.
Prospettive di mercato
Grazie alla concorrenza interna americana, il loro gas all’origine è tra i più bassi e soprattutto il prezzo è trasparente, mentre il costo dei noli sta scendendo. Nel 2021 operavano 700 metaniere, oggi sono 750 e saranno 850 entro quest’anno. Ma ciò che più conta è l’aumento della loro capacità complessiva che si avvicina al 50%, con le ultime metaniere in ordine da 180.000 mc.
Come ha confermato recentemente anche Fatih Birol dell’Agenzia internazionale dell’energia, entro il prossimo anno è attesa una ondata mondiale di GNL, perché arriveranno in produzione numerosi impianti di liquefazione. La domanda dovrebbe essere ben soddisfatta e i prezzi calanti, al netto di altri eventi geopolitici non prevedibili.
Quest’anno si ballerà ancora un po’, soprattutto per il rischio meteorologico e a seconda di quanto gas resterà a fine inverno negli stoccaggi. Questi vanno riempiti in primavera e autunno perché il consumo sale in estate per via del raffrescamento: temperature molto alte, alto consumo di gas che non si riesce a mettere negli stoccaggi.
Per quanto riguarda la fissazione dei prezzi, alcuni criticano l’uso del TTF (Title Transfer Facility) , la “borsa” del gas ad Amsterdam, nata nel 2003 principalmente per le vendite del gas naturale del vicino giacimento olandese di Groningen. All’origine conteneva 2.740 miliardi di metri cubi di gas, ma fu chiuso nel 2024 perché l’estrazione generava terremoti. Nel frattempo, il TTF è diventato il principale riferimento europeo, anche per il GNL, anche se non è il solo.
Il TTF sarebbe poco collegato al mercato fisico, ma i suoi segnali in realtà mettono in luce problemi reali del mercato. Ad esempio, a cavallo dell’anno e nelle settimane seguenti si pensava che gli aumenti in corso dipendessero dalla chiusura del gasdotto che portava ancora gas in Europa attraverso l’Ucraina, che invece era già stato scontato dal mercato.
In realtà era in corso un calo di approvvigionamento all’origine sui gasdotti di Azerbaijan e Algeria. Il segnale del TTF (salito a 50 euro MWh) ha indotto parecchie metaniere che andavano in Asia a invertire la rotta e venire in Europa, dimostrando per l’ennesima volta i vantaggi della flessibilità permessa dal trasporto via nave.
In ogni caso, come già segnalato sull’Astrolabio, a guadagnare oltre il giusto nel mercato aperto, non sono i produttori all’origine ma i compratori e rivenditori. Noti i prezzi di acquisto, come quelli USA, e avendo una idea dei prezzi dei noli (non è difficile), dovrebbe essere facile per i Governi europei o le Antitrust fare una verifica. In particolare, per il Governo italiano, visto che Draghi impose la consegna dei contratti di importazione.
Perché va fatto Gioia Tauro
Per la sicurezza energetica dei paesi grandi importatori di elettricità o gas via tubo, come l’Italia, è opportuno disporre di capacità alternativa pari a quella del principale elettrodotto o gasdotto in uso (criterio N meno 1). Nel caso del GNL questa regola è meno stringente perché, come il petrolio, potrà arrivare da altri fornitori, dalle Americhe, dall’Africa, dall’Australia, dal Sud-Est asiatico.
Il nostro principale gasdotto di importazione è quello con la Tunisia, che ci porta il gas algerino; il rigassificatore di Gioia Tauro serve proprio a questo, a garantire la sicurezza nazionale, tamponando eventuali problemi con i gasdotti.
Può sembrare un costo aggiuntivo, visto che oggi in un modo o nell’altro siamo comunque riforniti, ma a prezzi più alti. Già solo la decisione di investimento su Gioia Tauro potrebbe far scendere un po’ i prezzi del GNL, perché aumenterebbe la prospettiva di liquidità del mercato.
In realtà sarebbe un investimento perché, a differenza delle due navi rigassificatrici che abbiamo comprato in emergenza, sarebbe ingegneria, acciaio e lavoro italiano. Se poi avessimo troppo gas, le due navi si potrebbero rivendere.
Non succederà perché l’inevitabile prossima revisione del Green Deal europeo aumenterà i consumi di gas naturale, e l’Italia potrà finalmente assolvere alla propria vocazione, di essere l’hub del gas per esportarlo da sud verso l’Europa. Anche il gasdotto Turk Stream prima o poi dovrà chiudere, e siamo già in concorrenza con la Grecia per dare gas naturale ai Balcani. In più dobbiamo recuperare i consumi di energia necessari per il rilancio industriale soprattutto in Germania e Italia.
Un’ultima nota: per il mancato rinnovo del contratto di transito del gas attraverso l’Ucraina, Zelensky è stato accusato di scarso riguardo per i nostri interessi. Ma se fosse stata l’Algeria ad invadere la Sicilia e bombardare per tre anni Roma e Milano, noi, avremmo lasciato aperto il gasdotto con la Tunisia per portare il gas algerino, neanche a noi, ma ad altri?