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2025-02-13 00:18

Efficienza e Decarbonizzazione dell’Energia. Le Pagelle dei Paesi Europei

IL REPORT DELL’ISPRA – SNPA

di: 
Antonio Caputo

L’autore del rapporto di ISPRA sugli indicatori di efficienza e decarbonizzazione dei consumi energetici totali in Italia e nei principali Paesi europei riassume per noi i risultati più significativi dell’analisi. Gli indicatori nazionali mostrano un'elevata efficienza di trasformazione e una bassa intensità energetica rispetto ai maggiori paesi Europei. L'intensità di carbonio europea è inferiore a quella nazionale per la presenza di una quota non trascurabile di energia nucleare in Europa. Tuttavia, l'intensità di carbonio dei combustibili fossili in Italia è inferiore alla maggior parte dei paesi Europei a causa della minore quota di carbone e della maggiore quota di gas naturale rispetto a quanto osservato per la media dei paesi Europei.

Indicatori di efficienza e decarbonizzazione

Il rapporto propone il confronto degli indicatori di decarbonizzazione dei consumi energetici e di efficienza per l'Italia e per i maggiori paesi europei. Sono stati confrontati tra loro gli Stati membri dell'UE28 con oltre il 3% delle emissioni di gas a effetto serra o che contribuiscono a più del 3% del PIL europeo nel 2019. Gli Stati membri esaminati (Germania, Regno Unito, Francia, Italia, Spagna, Polonia, Paesi Bassi, Repubblica Ceca e Svezia) rappresentano il 77,9% della popolazione nell'UE28 nel 2019. Le emissioni di gas serra di questi Stati rappresentano il 78,2% delle emissioni europee, mentre il PIL rappresenta l'82,4%. Il consumo interno lordo di energia rappresenta il 79,1% del consumo energetico dei 28 Stati membri al 2019.

Le politiche ambientali europee hanno portato a un cambiamento significativo del mix energetico negli Stati membri fin dai primi anni ‘90. Il consumo di energia da combustibili solidi subisce una contrazione significativa a partire dal 1990, anche se nel 2019 vi sono ancora quote significative in alcuni dei maggiori Stati come Germania (17,6% del consumo interno lordo), Polonia (42,2%) e Cechia (33,1%). Il petrolio e i prodotti petroliferi, invece, mostrano una modesta riduzione a livello Europeo (dal 38,3% del 1990 al 35,4% del 2019) con tendenze diverse tra gli Stati. Il consumo di energia da gas naturale mostra un notevole aumento in quasi tutti gli Stati e, a livello di EU28, varia dal 17,8% nel 1990 al 24,6% nel 2019. Per quanto riguarda le energie rinnovabili, vi è stato un aumento significativo del consumo interno lordo nell'UE28 dal 4,3% nel 1990 al 15,4% nel 2019. L'energia nucleare rappresenta il 12,8% del consumo interno lordo dell'UE28 nel 2019 (13,5% nell'UE27).

 

Mix energetico

In Italia, la quota del fabbisogno nazionale soddisfatta da combustibili solidi, principalmente carbone, è scesa dal 9,9% nel 1990 al 4,2% nel 2019, con una rapida diminuzione negli ultimi anni. La quota media in UE28 è scesa dal 26,7% al 10,7%. D'altra parte, la quota di gas naturale per l'Italia passa da 26,3% a 39,2% nello stesso periodo e la media UE28 passa da 17,8% a 24,6%. L'Italia ha ridotto la quota di petrolio e prodotti petroliferi dal 57,3% al 34,8%, mentre la quota europea è scesa dal 38,3% al 35,4%.

Quota consumo interno lordo di energia per fonte in EU28 e in Italia.

Le fonti rinnovabili in Italia sono cresciute dal 4,4% al 19%, con una velocità maggiore di quella europea che passa dal 4,3% al 15,4%. Nel 2019 la quota nazionale di energia da fonti rinnovabili rispetto al consumo interno lordo è tra le più alte nei paesi esaminati, fatta eccezione per la Svezia.

Quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo interno lordo di energia nei principali Stati Europei

La quota complessiva del consumo di energia rinnovabile ai sensi della Direttiva Europea 2009/28/CE nel 2019 per l'Italia è del 18,2%, rispetto all'obiettivo del 17% da raggiungere nel 2020. Tra i paesi esaminati solo l'Italia, la Cechia e la Svezia hanno già raggiunto i loro obiettivi.

Andamento della quota di energia rinnovabile nei consumi finali lordi secondo la definizione della Direttiva 2009/28/EC (sinistra). Quota rinnovabile nel 2019 rispetto all’obiettivo del 2020 (destra).

Rapporto tra consumo finale di energia e consumi di energia primaria nei principali Stati Europei.

 

Intensità energetica

L'efficienza della trasformazione energetica può essere valutata attraverso il rapporto tra consumo finale di energia e consumi di energia primaria. L'efficienza della trasformazione energetica italiana è superiore a quella dei paesi esaminati.

Consumo Interno Lordo di energia per unità di PIL nei principali Stati Europei.

Il consumo interno lordo di energia per unità di prodotto interno lordo (PIL) è un indicatore dell'efficienza economica ed energetica (intensità energetica). L'Italia è stata tra i Paesi europei con minore intensità energetica fino al 1995, quando era indietro solo alla Danimarca, per poi perdere posizioni fino al 6° posto nel 2019. Tra i maggiori Paesi europei, l'Italia, dopo il Regno Unito, continua ad avere la più bassa intensità energetica. L'intensità energetica finale (rapporto tra consumi finali di energia, compresi usi non energetici, e  PIL) segue tendenze simili all'intensità energetica con una sensibile riduzione nei Paesi europei che, partendo da intensità superiori a quelle italiane, raggiungono e superano i valori italiani. Valori che, negli ultimi anni, sono superati anche da Francia e Germania. Fin dal 1990, l'Italia mostra una notevole efficienza energetica ed economica; dal 1990 al 2019 riduce ancora l’intensità energetica finale del 18%. L’intensità energetica finale media europea, partendo da una posizione piu arretrata, si riduce, nello stesso periodo, del 42,1% .

Le ragioni della riduzione dell'intensità energetica sono molteplici, quali l'aumento dell'efficienza edilizia, la riconversione industriale (Francia e Germania), l'elevato tasso di elettrificazione dei consumi finali (Francia) e il notevole spostamento dei settori economici verso attività ad alto valore aggiunto e a basso consumo energetico dei servizi a scapito dei settori industriali (Francia e Regno Unito). A tal proposito va considerato il differente assetto produttivo di paesi come Italia e Regno Unito poiché, come si dirà in seguito, in Italia l’industria manifatturiera, caratterizzata da elevati consumi energetici per unità di valore aggiunto, continua ad essere un settore rilevante dell’economia nazionale, mentre le attività economiche del Regno Unito mostrano un maggiore spostamento verso il settore terziario, caratterizzato da minore fabbisogno energetico per unità di valore aggiunto.

 

Elettrificazione dei consumi finali

I paesi europei mostrano un ampio divario nell’elettrificazione del consumo finale di energia (solo usi energetici) e, nel 2019, vanno da 14,5% del Lussemburgo a 39,2% di Malta. L'Italia è appena al di sotto della media europea (22,6% UE28) con il 22,2%. Tra i paesi più grandi, la Francia mostra i più alti livelli di elettrificazione (26,6%), seguita dalla Spagna (24,7%), mentre Cechia e Polonia hanno i valori più bassi, rispettivamente 20,7% e 17,5%. La Svezia, dopo Malta, ha la più alta elettrificazione del consumo finale di energia (34,2%).

A livello settoriale, l’elettrificazione dei consumi finali degli Stati membri presenta cifre abbastanza diverse, sebbene con una tendenza comune alla crescita. Il livello di elettrificazione dell'industria italiana è tra i più alti in Europa (41,2% nel 2019). Invece, nei servizi, che sono caratterizzati dai livelli più alti di elettrificazione dei consumi finali, la quota nazionale è ben al di sotto della media europea (42,2% vs 48%). Il settore residenziale nazionale ha il livello più basso di elettrificazione (18,1% vs 24,5% in EU28) tra i Paesi considerati, dopo la Polonia (13,9%). I trasporti hanno le percentuali più basse di elettrificazione (2,8%) e, nel 2019, l'Italia è uno dei tre Paesi europei con la quota più alta, dopo Svezia (3,4%) e Austria (3,2%).

 

Emissioni pro capite e intensità di carbonio

In base ai dati dell’Inventario Nazionale delle emissioni di gas serra dell’ISPRA, la media nazionale delle emissioni di gas serra pro capite dal 1990 al 2019 è di 8,9 tonnellate di CO2 equivalente (t CO2eq). Le emissioni pro capite sono aumentate fino al 2004, quando è stato raggiunto il massimo di 10,2 t CO2eq. Successivamente le emissioni si sono ridotte fino a 7 t di CO2eq nel 2019. Le emissioni pro capite in Italia sono sempre state inferiori alla media Europea.

Per quanto riguarda l'intensità di carbonio legata al consumo energetico (rapporto tra emissioni di gas serra e consumo di energia), tutti i paesi hanno ridotto le emissioni di gas serra per unità di consumo interno lordo di energia. L'intensità di carbonio nazionale è superiore alla media europea. In Europa il contributo dell'energia nucleare, che è privo di emissioni serra, è tutt’altro che irrilevante (mediamente quasi il 13%): questo fattore contribuisce ad abbassare notevolmente l’intensità di carbonio europea. Non considerando l'apporto di energia nucleare nel consumo interno lordo, l’intensità dell'Italia risulta inferiore alla media europea. Tra i paesi più grandi, il Regno Unito mostra valori che raggiungono negli ultimi anni quelli registrati per l'Italia, mentre solo i Paesi Bassi e la Svezia hanno valori inferiori a quelli italiani.

L'intensità di carbonio legata all'economia può essere misurata dal rapporto tra emissioni di gas serra e PIL. Questo indicatore mostra una riduzione per tutti i Paesi europei; i valori nazionali nel 2019 sono appena al di sotto della media europea.

L'andamento di indicatori quali le emissioni pro capite di gas serra, l'intensità energetica e l'intensità di carbonio dell'economia mostrano che i paesi più grandi si stanno gradualmente avvicinando ai valori italiani e in alcuni casi i valori nazionali sono stati superati. Gli indicatori mostrano che l'Italia, rispetto ai più grandi Stati membri dell'UE, ha avuto storicamente un'elevata efficienza energetica ed economica con una quota significativa di energia rinnovabile e gas naturale nel mix energetico e una delle emissioni pro capite più basse d'Europa. L'intensità energetica per unità di PIL in Italia è, tra i paesi più grandi, maggiore solo a quella del Regno Unito, mentre l'intensità di carbonio per unità di PIL è superiore a quella dei Paesi Bassi, Francia, Regno Unito e Svezia. L'intensità di carbonio per unità di energia consumata senza l'energia nucleare è, sempre tra i paesi più grandi, superiore solo a quella dei Paesi Bassi e Svezia e paragonabile a quella del Regno Unito. Sebbene alcuni indicatori mostrino che molti paesi hanno migliorato le loro prestazioni in termini di emissioni di gas serra, talvolta registrando risultati migliori dell'Italia, è necessario considerare i seguenti fattori:

  • paesi con elevate quote di combustibili solidi o petroliferi hanno un potenziale di riduzione delle emissioni da combustibili fossili più elevato rispetto a paesi, come l’Italia, in cui il mix fossile è rappresentato prevalentemente da gas naturale fin dal 2005;
  • in diversi paesi vi è un contributo significativo dell'energia nucleare con vantaggi emissivi. L’energia nucleare tuttavia non è priva di controversie e alcuni paesi intendono eliminarla gradualmente (Germania, Belgio);
  • le emissioni di un paese dipendono strettamente dalla struttura produttiva. I paesi con una predominanza di attività economiche nel settore dei servizi o con quote significative di consumo non energetico, come i Paesi Bassi, mostrano minori emissioni per unità di PIL e di energia consumata.

 

Intensità energetica ed emissiva settoriale

Il confronto tra gli Stati membri degli indicatori di efficienza e decarbonizzazione a livello settoriale mostra una situazione piuttosto eterogenea. Per quanto riguarda l'industria in Italia, l'intensità energetica finale (consumo finale di energia per unità di valore aggiunto) è tra le più basse in Europa e inferiore a quella degli altri Stati considerati, eccetto il Regno Unito. Tra i paesi esaminati, i Paesi Bassi mostrano la più alta intensità energetica per l'industria. In merito all’intensità di carbonio (emissioni di gas serra per unità di valore aggiunto), analogamente all’intensità energetica l'industria italiana ha valori superiori a quelli di Regno Unito, Svezia e Germania, sebbene negli ultimi anni i dati nazionali e quelli tedeschi siano molto vicini.

Nel settore dei servizi, l’intensità energetica nazionale è in controtendenza rispetto a quella di altri Paesi europei. In particolare, l’intensità energetica del settore in Italia aumenta del 14,1% dal 2005 al 2019, mentre negli altri Paesi si registra una diminuzione (-18,8% della media europea).

Il settore dell’agricoltura mostra una diminuzione generale dell'intensità energetica. Il valore per l’agricoltura italiana nel 2019 è il più basso tra i principali Stati europei. L'intensità di carbonio nazionale del settore è tra le più basse d'Europa in assoluto, dopo Malta e Grecia. Il valore medio europeo è più del doppio di quello nazionale.

Nel settore residenziale, dal 2005 al 2019, i paesi esaminati mostrano riduzioni dei consumi energetici per unità di PIL più elevate rispetto all'Italia (da -16,4% in Spagna a -46,4% in Polonia vs  -7,6% nazionale). Analogamente, la diminuzione dell’intensità emissiva del settore, in Italia, è la più lenta tra i principali Stati europei.

Nel settore dei trasporti, i valori e le tendenze dell'intensità energetica italiana sono sostanzialmente in linea con la media europea con una diminuzione del 14% dal 2005 al 2019.

Gli indicatori di intensità energetica e emissiva mostrano che il settore civile (residenziale e servizi) in Italia ha ampi margini di miglioramento se paragonate ai valori dei principali Paesi europei. Tra i Paesi più grandi, l'intensità di carbonio nazionale per il settore civile è inferiore solo a quella registrata in Cechia e Polonia. Il settore civile italiano mostra quindi un ampio potenziale di riduzione delle emissioni, soprattutto considerando l'elettrificazione dei consumi finali del settore che nel 2019 è tra le ultime nell'UE28 (residenziale: 18,1% vs 24,5%; servizi: 42,2% vs 48%).

Gli indicatori input di materiale diretto (IMD) e consumo di materiale interno (CMI) elaborati da ISTAT descrivono, in termini aggregati, l'utilizzo diretto e la provenienza di risorse naturali e di prodotti. Il primo indicatore include tutti i materiali che hanno un valore economico e che sono utilizzati nelle attività di produzione e consumo ed è calcolato come la somma delle estrazioni interne e delle importazioni. Il secondo indicatore rappresenta il consumo interno di materia nell’economia nazionale al netto delle esportazioni ed è calcolata sottraendo all’Input di materiale diretto la quota di esportazioni fisiche. 

Consumo di materiale interno pro capite per tipo di materiale e produttività a parità di potere d’acquisto. Stati in ordine decrescente per CMI pro capite del 2019.

Dal 2000, si registra una generale diminuzione del consumo di materiale interno pro capite nei Paesi europei. Nel 2019, l'Italia ha il più basso consumo pro capite tra tutti i Paesi europei. Per quanto riguarda la produttività a parità di potere di acquisto, vi è un aumento dal 2000 al 2019, sebbene i valori assoluti dei paesi siano molto diversi. Tra i paesi più grandi, i Paesi Bassi mostrano il valore più alto (€ 4,5 / kg nel 2019), seguiti dal Regno Unito (€ 3,8 / kg) e dall'Italia (€ 3,7 / kg). Le produttività di Germania e Francia sono rispettivamente di € 2,5/kg e € 2,6/kg.

L’input di materiale diretto rappresenta il consumo interno senza esportazioni ed è utile per valutare il consumo effettivo di materiale, compreso quello non utilizzato nelle attività di produzione e consumo interno e destinato alle esportazioni. La Svezia e i Paesi Bassi hanno un'alta quota di estrazione fossile, biomassa e minerali metallici destinati alle esportazioni e mostrano il CMI pro capite più elevato tra i maggiori Paesi europei, molto al di sopra della media europea. Secondo questo indicatore, nel 2019, l'Italia ha registrato il valore più basso tra tutti i Paesi europei.

Input di materiale diretto pro capite per tipo di materiale e produttività a parità di potere d’acquisto. Stati in ordine decrescente per IMD pro capite del 2019.

Per quanto riguarda la produttività a parità di potere di acquisto, la Svezia nel 2019 ha il valore più basso (€ 1,1 / kg) tra i paesi esaminati e uno dei più bassi d'Europa. I Paesi Bassi (€ 1,3/kg) hanno una produttività superiore solo a quella della Polonia (1,0 € /kg). Il Regno Unito e l'Italia hanno la più alta produttività in Europa, rispettivamente con € 3 / kg e € 2,8 / kg, seguiti dalla Francia (€ 2,3 / kg).

Sebbene la produttività fornisca informazioni sull'efficienza economica di un sistema nel suo insieme, è tuttavia necessario considerare che l'efficienza dipende non solo dalla massimizzazione delle prestazioni del materiale utilizzato, ma anche da fattori strutturali. In questo senso, la struttura produttiva di un paese svolge un ruolo decisivo per quanto riguarda il consumo di materia ed energia. Un'economia basata sui servizi avrà un consumo di materiali inferiore rispetto a un'economia basata sull'industria manifatturiera. Le attività industriali sono ad alta intensità energetica rispetto alle attività di servizio. Ciò vale in misura maggiore per il consumo di materiale che è oggetto di estrazione e trasformazione delle attività industriali.

La ripartizione settoriale del consumo di CMI e IMD mostra che l'Italia, pur avendo una quota di valore aggiunto industriale superiore a quella della Francia e della Spagna, ha una maggiore produttività quale risultato di una maggiore efficienza nell'uso delle risorse, soprattutto nel settore industriale. Questo risultato è in linea con quanto osservato per gli indicatori di intensità energetica.

I Paesi sono disposti nello spazio definito dalla percentuale di valore aggiunto dell’industria (ascisse) e servizi (ordinate). Per ogni Paese l’area del cerchio è proporzionale alla produttività per consumo di materiale interno (sinistra) e input di materiale diretto (destra). 

In sintesi, l'efficienza economica ed energetica del sistema italiano è tra le più alte d'Europa, in particolare per l’industria. Il rapporto The 2018 International Energy Efficiency Scorecard, pubblicato dall'American Council for an Energy-Efficient Economy (ACEEE), assegna la prima posizione all'Italia, insieme alla Germania, tra 25 nazioni a livello globale, con punteggi calcolati in base a parametri quantitativi e qualitativi, inclusi indicatori di efficienza e politiche volte a ridurre i consumi.

 

Focus sul settore elettrico

Il settore della produzione di energia elettrica e calore è una delle maggiori fonti di emissioni di gas a effetto serra in Europa. Le emissioni del settore nel 2005 nell'UE28 erano circa il 33% delle emissioni energetiche e circa il 26% delle emissioni totali, con una quota in forte diminuzione, rispettivamente al 26% e al 20% nel 2019. Il settore elettrico è quindi uno dei principali destinatari delle misure volte a decarbonizzare l'economia, sia per la quantità di emissioni che per il potenziale di diffusione delle fonti energetiche rinnovabili. I paesi esaminati per il confronto con l'Italia rappresentano l'80,2% dell'UE28 della produzione lorda di energia elettrica nel 2019.

Nel 1990, la capacità installata nell'UE28 era costituita principalmente da centrali termoelettriche (oltre il 57%), nucleari (21%), idroelettrico (21,6%). Le fonti eolica e fotovoltaica costituivano una quota marginale. Nel 2019 la capacità installata è stata del 43% per il termoelettrico, 11,4% per il nucleare, 14,8% per l'idroelettrico, 18,2% per l'eolico e 12,5% per il fotovoltaico. La capacità installata totale è aumentata del 38,5% nel 2019 rispetto al 2005, da 758 GW a 1.050 GW. L'unica fonte con una riduzione rilevante è quella nucleare, da 135 GW a 119,2 GW (-11,7%).

Vi è una notevole eterogeneità nella capacità installata tra i paesi. In Polonia, vi è una chiara prevalenza di centrali termoelettriche. La fonte nucleare (non presente in Italia e Polonia) rappresenta una quota significativa della capacità in Francia, Svezia e Cechia, anche se le quote di altri paesi non sono trascurabili. Dal 1990, la capacità idroelettrica ha rappresentato una parte considerevole delle fonti rinnovabili tradizionali in Spagna, Francia, Italia e Svezia. In tutti i paesi esaminati, la quota della capacità termoelettrica e nucleare mostra una notevole contrazione. L'energia eolica è aumentata in tutti i paesi dal 2005. Gli impianti fotovoltaici hanno iniziato ad avere quote significative solo dopo il 2005.

La produzione lorda di elettricità in Europa ha registrato un netto aumento rispetto al 1990 e una relativa stabilità negli ultimi anni. Nel 2019, il 14,3% della produzione di elettricità dell'UE28 senza pompaggio proviene da combustibili solidi e il 21,8% da gas naturale. Il petrolio e i prodotti petroliferi rappresentano il 2%. Le fonti nucleari rappresentano il 25,6%, mentre il 34,3% proviene da energia rinnovabile.

Il mix energetico nei paesi esaminati è piuttosto eterogeneo, soprattutto per quanto riguarda i combustibili fossili. Nel 2019, i combustibili solidi rappresentano il 72,4% della produzione di elettricità in Polonia, il 44,6% in Cechia e il 28,4% in Germania. Ancora più interessante è che il 52,7% della produzione di elettricità da combustibili solidi proviene dalla lignite nell'UE28. Germania, Polonia e Cechia sono i principali paesi che utilizzano questo combustibile per la produzione di elettricità e rappresentano collettivamente il 78,7% della produzione di elettricità da lignite nell'UE28 (46,7% Germania, 17,5% Polonia e 14,6% Cechia). Un gruppo di altri Paesi rappresenta collettivamente il restante 21,3% (principalmente in Bulgaria, Grecia e Romania). L'elettricità prodotta da lignite in Germania, Polonia e Cechia è rispettivamente del 65,7%, del 35,7% e del 94,2% dell'elettricità prodotta dai combustibili solidi.

Francia e Svezia sono caratterizzate da una bassa produzione elettrica da fonti diverse da quella nucleare, 11,1% in Francia e 9,7% in Svezia della produzione totale di elettricità senza pompaggio, nel 2019. In Francia, l'elettricità prodotta da energia nucleare rappresenta il 70,5% della produzione totale, mentre in Svezia le centrali nucleari forniscono il 39,3% dell’elettricità. Anche la Cechia ha una quota rilevante di elettricità proveniente dalle centrali nucleari (36,1%). Tra i Paesi esaminati, la Polonia e l'Italia non hanno centrali nucleari, mentre nei Paesi Bassi l'elettricità prodotta da fonte nucleare rappresenta il 3,2%. Negli altri paesi la quota varia dal 12,4% in Germania al 21,5% in Spagna. A livello Europeo, la fonte nucleare fornisce più di un quarto della produzione elettrica.

In Italia e nel Regno Unito, il gas naturale determina rispettivamente il 48,5% e il 40,6% della produzione totale di elettricità. Entrambi i Paesi hanno mostrato una conversione delle loro centrali termiche dal 1990 con una forte contrazione del petrolio e dei prodotti petroliferi (Italia) e dei combustibili solidi (Regno Unito), e l'espansione del gas naturale. Una significativa contrazione dei combustibili solidi si osserva in tutti i Paesi, sebbene alcuni Paesi come Germania, Polonia e Cechia abbiano ancora quote rilevanti di combustibili solidi.

Per quanto riguarda la produzione di elettricità da fonti rinnovabili, dal 1990 la quota è aumentata dal 12% al 34,3% nell'UE28. In tutti i paesi esaminati si è registrato un marcato aumento della produzione di elettricità rinnovabile con una forte accelerazione dal 2005. Dopo il 2015, la crescita ha rallentato ed è ripresa negli ultimi anni anche se con tassi diversi tra gli Stati. La Svezia ha una delle quote rinnovabili più alte d'Europa. Il dato italiano è superiore alla media europea e la quota di energia elettrica rinnovabile in Italia è una delle più alte tra i paesi esaminati. Tra questi paesi solo la Svezia ha una quota molto più alta e la quota della Germania ha superato quella italiana solo nel 2019 (39,7% in Italia e 40,2% in Germania).

La quota rinnovabile per il raggiungimento degli obiettivi europei, ai sensi della direttiva 2009/28/CE, si riferisce al consumo interno lordo di elettricità, vale a dire alla produzione di elettricità senza elettricità da pompaggio più l'importazione netta di elettricità. La quota rinnovabile così calcolata sarà quindi inferiore per i paesi importatori rispetto alla quota rinnovabile della produzione di elettricità. Ciò dimostra che i paesi importatori di elettricità, come l'Italia, devono affrontare uno sforzo relativamente maggiore rispetto ai paesi esportatori per raggiungere i loro obiettivi di energia rinnovabile nel settore elettrico.

Il parametro più importante per valutare l'efficienza di un sistema di generazione di energia elettrica è l'efficienza della trasformazione dei combustibili in elettricità e calore. L'efficienza elettrica degli impianti non cogenerativi in Italia (0,46 nel 2019) è tra le più alte tra i maggiori paesi Europei, dopo Regno Unito (0,47) e Paesi Bassi (0,51). Nel 2019 la media italiana è superiore alla media UE28 (0,43). Per quanto riguarda l'efficienza elettrica degli impianti cogenerativi, nel 2019 la Spagna mostra il valore più alto tra i principali paesi Europei (0,66), molto superiore alla media dell'UE28 (0,38). L'efficienza dell'Italia è 0,39. L'efficienza totale degli impianti cogenerativi in Italia (0,61) è inferiore alla media UE28 (0,65) ed è aumentata del 23,1% dal 1990.

Nel 2019, l'efficienza totale degli impianti italiani è 0,55, poco superiore alla media UE28 (0,53). L'efficienza elettrica italiana è 0,42, superata da Spagna (0,48), Paesi Bassi (0,48) e Regno Unito (0,47). L'efficienza elettrica dei paesi esaminati mostra un ampio intervallo, da 0,24 in Svezia a 0,48 nel Regno Unito con una media di 0,40 per UE28.

Al fine di confrontare i fattori di emissione dei gas serra per il settore elettrico nei diversi Paesi, sono  stati adottati i fattori di emissione di default pubblicati da IPCC, noti come Tier 1. Le emissioni di gas serra dei 28 Paesi europei per la p produzione di elettricità e calore sono 925,2 Mt CO2eq nel 2019, 37,3% in meno rispetto al livello del 1990 e 36,9% in meno rispetto al livello del 2005. Dal 2005 si registra una significativa riduzione delle emissioni di gas serra. Nel complesso, nel 2019 le emissioni di gas serra del settore elettrico nei paesi selezionati (741,8 Mt CO2eq) rappresentano l'80,2% delle emissioni dell'UE28. L'Italia rappresenta il 10,6% delle emissioni europee. Le emissioni di gas serra per la produzione di elettricità sono state stimate dopo lo scorporo del consumo di energia dei combustibili per la produzione di calore negli impianti di cogenerazione. Le emissioni dell'UE28 nel 2019 sono di 778,7 Mt CO2eq e i paesi esaminati rappresentano l'81% delle emissioni totali.

Dal 1990 si registra in UE28 un disaccoppiamento tra produzione di energia elettrica ed emissioni di gas serra. Tuttavia, le emissioni mostrano una significativa diminuzione solo dopo il 2005, con un aumento del disaccoppiamento dovuto principalmente alla crescente quota di energie rinnovabili. Il disaccoppiamento è evidente in quasi tutti i paesi, anche se con dinamiche diverse.

I fattori di emissione di gas serra per la produzione di elettricità e calore dovuti alla combustione nelle centrali termiche si sono ridotti dal 1990. Nel 2019, il fattore di emissione in Italia (384,4 g CO2eq/kWh) è superiore a quello della Svezia (198,2 g CO2eq/kWh), dove le centrali termiche sono alimentate principalmente da bioenergia. Il Regno Unito ha la riduzione maggiore dal 2005 (-37,8%), seguito dall'Italia (-26,7%) e Svezia (-24,5%). La Germania ha ridotto il fattore di emissione del 19,6%. Le percentuali di riduzione più basse sono state registrate nei Paesi Bassi (-8,8%) e in Polonia (-9,2%).

Considerando l'intero settore elettrico, compresa la produzione di energia rinnovabile e nucleare, i fattori di emissione per la produzione di elettricità e calore, in Italia, sono superiori alla media europea. Il fattore di emissione medio dell'UE28 per la produzione di elettricità e calore nel 2019 (253 g CO2eq/kWh) mostra una riduzione del 34,3%, rispetto al livello del 2005, mentre il fattore di emissione in Italia (278,6 g CO2eq/kWh) è diminuito del 39,1%.

I Paesi con una quota significativa di elettricità da fonte nucleare e da fonti rinnovabili hanno un vantaggio in termini di emissioni per unità di elettricità prodotta. La Francia dispone di una notevole quantità di energia proveniente dalle centrali nucleari, il che consente di ridurre drasticamente il fattore di emissione rispetto alle centrali termiche. Anche Svezia, Cechia, Spagna, Germania e Regno Unito hanno quote non insignificanti di energia nucleare (dal 12,4% in Germania al 39,9% in Svezia). La produzione di elettricità nei Paesi Bassi dalle centrali nucleari è del 3,2 per cento, mentre Italia e Polonia non hanno questa fonte. Complessivamente, l'elettricità nucleare nell'UE28 è stata del 25,6% nel 2019, in calo rispetto al 30,9% del 1990. Nel 2019, l'83,9% dell'elettricità nucleare dell'UE28 proviene dai paesi esaminati, con la Francia che rappresenta il 48,6%.

Il fattore di emissione italiano per la produzione di energia termoelettrica nel 2019 (402,1 g co2eq/kWh) è secondo solo a quello della Svezia (217,9 g CO2eq/kWh), dove la quota di bioenergia nelle centrali termoelettriche è molto più elevata. Il fattore italiano è ben al di sotto della media UE28 di 527,7 g CO2eq/kWh. Cechia, Polonia e Germania hanno i fattori di emissione più elevati, da 786,5 g CO2eq/kWh a 621,9 g CO2eq/kWh, ben al di sopra della media europea.

L'aumento della quota di elettricità rinnovabile porta a una significativa riduzione dei fattori di emissione. Inoltre, il fattore di emissione medio europeo per la produzione totale di energia elettrica è sempre stato inferiore al valore italiano grazie al contributo dell'elettricità nucleare. Infatti, la riduzione della quota di elettricità nucleare in Europa avvicina il fattore di emissione italiano alla media dell'UE28. Il fattore di emissione italiano nel 2005 è stato superiore alla media europea del 23,7%, mentre nel 2019 è superiore del 10,6%.

I risultati relativi alle stime delle emissioni di gas serra consentono di concludere che l'Italia ha uno dei più bassi fattori di emissione di gas serra per la produzione di elettricità e calore negli impianti termoelettrici tra i maggiori paesi europei.

Considerando tutti gli Stati membri dell'UE28, il fattore di emissione italiano di gas serra per la produzione di energia termoelettrica occupa la nona posizione, al di sotto della media europea. Il mix di combustibili italiani, con una quota maggiore di gas naturale rispetto ad altri paesi e il contributo della bioenergia, è un fattore determinante per il fattore di emissione nelle centrali termiche.

In merito alla produzione totale di energia elettrica, considerando quindi il contributo delle energie rinnovabili diverse dalla bioenergia e il contributo delle centrali nucleari, il fattore di emissione italiano perde posizioni. I Paesi che dispongono di energia nucleare hanno un vantaggio in termini di emissioni evitate. La quota di energie rinnovabili in Italia è una delle più alte d'Europa e superiore a quella di Spagna, Regno Unito e Francia, che tuttavia hanno quote significative di energia nucleare. Nel 2019 l'Italia, dopo Svezia e Germania, ha la più alta quota rinnovabile di produzione elettrica tra i paesi più grandi. Il contributo dell'elettricità nucleare in Spagna, Regno Unito e Francia ha un ruolo decisivo nella riduzione dei fattori di emissione di questi paesi. L'effetto dell'energia nucleare è particolarmente evidente per la Francia: sebbene la quota rinnovabile della produzione elettrica sia molto inferiore a quella italiana e il fattore di emissione degli impianti termoelettrici sia più elevato, la Francia ha il fattore di emissione più basso per la produzione totale di elettricità in Europa, secondo solo a quello registrato per la Svezia. La Germania ha il 12,4% dell'elettricità nucleare e il 40,2% di elettricità rinnovabile ma la presenza rilevante di combustibili solidi nel mix fossile (28,4% della produzione elettrica), principalmente lignite ad alto tenore di carbonio, si traduce in un impatto emissivo maggiore del settore elettrico rispetto a quello italiano.

Come risultato di molti fattori (variazione del mix combustibile, efficienza, quota rinnovabile) l'Italia ha ridotto il fattore di emissione per la produzione di energia elettrica e calore del 51,9% dal 1990 al 2019 (39,1% dal 2005), contro una riduzione del 42,4% in Germania (29,3% dal 2005) e del 16,2% in Polonia (15,7% dal 2005). I tassi di riduzione in Polonia sono i più bassi tra i maggiori emettitori in Europa. La riduzione dei fattori di emissione in Germania e Polonia dal 1990 con lo stesso tasso dell'Italia avrebbe portato (a parità di produzione di elettricità e calore) a evitare 94,3 Mt CO2eq nel 2019, circa il 10% delle emissioni dell'UE28 dalle centrali termoelettriche nel 2019. Le centrali termoelettriche in Germania e Polonia sono ancora alimentate da quote significative di combustibili solidi ad alto contenuto di carbonio, come la lignite, e la transizione verso il gas naturale è stata molto più lenta che in paesi come l'Italia o il Regno Unito.