TRANSIZIONE MONOTECNOLOGICA
L’autore, Founder MS-Italiainvestimenti, elenca le cause del fallimento dei Regolamenti europei che impongono di fatto la mobilità elettrica e spiega anche perché, a fronte dei danni provocati al tessuto industriale e sociale europeo, i loro effetti in termini di decarbonizzazione sarebbero molto parziali.
In Copertina: Foto Bloomberg Television
Per un tempo sorprendentemente prolungato, il dibattito europeo sul Green Deal Automotive ha gravitato attorno al claim “elettrificazione = decarbonizzazione”, a dispetto di qualsiasi logica sugli effetti per il carbon footprint produttivo e delle evidenze tecnico-scientifiche in materia di emissioni climalteranti.
È difficile comprendere se tale “mainstream” sia frutto di una sapiente azione lobbistica o se sia la conseguenza di una sostanziale incompetenza tecnica, mista a convinzioni di natura ideologica.
Sta di fatto che il precedente Europarlamento e relativa Commissione UE – di concerto con il Consiglio – hanno approvato due Regolamenti attuativi del Programma “Fit-for-55” del Green Deal Europeo – Reg 851/23 per i veicoli leggeri (Light Duty Vehicle) e Reg 1016/24 per i veicoli pesanti (Heavy Duty Vehicle) - che impongono l’azzeramento delle emissioni di CO2 di autovetture e veicoli pesanti esclusivamente al “tailpipe”, ossia al terminale di scarico, ignorando del tutto sia le emissioni generate dalla fonte del vettore energetico che alimenta il veicolo (nel caso delle BEV, si ricorda che il 65-70% circa del mix elettrico europeo è di fonte fossile), sia le emissioni generate nel ciclo di vita del veicolo stesso.
Sgrammaticatura regolamentare
Si tratta di una sgrammaticatura regolamentare che di fatto impone un’unica tecnologia, quella elettrica dei BEV (Battery Electric Vehicle) e - in prospettiva di lungo termine – dei FCEV (Fuel Cell Electric Vehicle) , forzando il mercato e costringendo le case costruttrici e l’intera filiera dell’automotive a promuovere ingenti investimenti senza avere alcuna certezza sulle effettive ricadute in termini di sostenibilità ambientale, economica e sociale.
Una sgrammaticatura regolamentare tanto più grave e inspiegabile alla luce dell’approccio fornito da altre norme europee in materia di transizione ecologica, a partire dalla Direttiva RED III (Renewable Energy Directive), che per i comparto dei trasporti – seguendo un approccio che tiene conto delle emissioni nel ciclo di vita dei prodotti (LCA – Life Cycle Assessment) - individua numerose tecnologie idonee a contribuire ai target di decarbonizzazione, in particolare il biometano, i biofuel, l’idrogeno verde e i carburanti sintetici ad impronta di carbonio nulla.
Senza voler dimenticare l’approccio pluritecnologico dei Regolamenti sugli ETS e sugli ESG in materia di sostenibilità ambientale d’impresa, che considerano il ciclo “Well-to-Wheel”, ossia le emissioni di CO2 nell’intera fase di utilizzo produttivo, incluse quelle generate dalla fonte del vettore energetico utilizzato.
In sintesi, appare chiaro che l’elettrificazione del sistema dei trasporti comporta un contributo alla decarbonizzazione molto parziale, alla luce del fatto che tale tecnologia è ad emissioni zero solo in apparenza, limitandosi ad esserlo esclusivamente al “tailpipe”, mentre continua ad essere molto impattante sulla CO2 sia in fase di alimentazione da vettori prevalentemente di fonte fossile che in fase di produzione, distribuzione e smaltimento dei componenti portanti, come le batterie.
Impatti critici per la filiera automotive
A tutto questo, si aggiungono gli impatti che iniziano ad essere gravissimi in termini di sostenibilità economica e sociale che questa scelta mono-tecnologica sta generando sulla filiera dell’automotive.
Si tratta infatti di una tecnologia che presenta notevoli criticità di natura funzionale di cui il mercato europeo sta mostrando di essere consapevole e di non gradire: listini relativamente elevati, autonomie limitate e discontinue, tempi di ricarica incompatibili con le esigenze medie di mobilità, infrastrutture insufficienti, crescenti costi dell’energia, repentina perdita del valore del veicolo in pay-back.
Il risultato è ormai sotto gli occhi di tutti: la quota di mercato delle BEV in Italia è ferma al 4% scarso, con un crollo di oltre 13 punti percentuali nel mese di dicembre 2024. Il circolante delle autovetture BEV in Italia ad oggi non supera l’1%, in uno scenario regolamentare che imporrebbe una quota di mercato per le autovetture BEV del 100% tra 10 anni e per i veicoli pesanti del 90% tra 15 anni.
È evidente che siamo del tutto fuori target, a causa dell’astrattezza dei Regolamenti vigenti.
Ed è altrettanto evidente quanti danni stia provocando tutto questo in termini di sostenibilità socio-economica, con molte case costruttrici europee costrette a rivedere precipitosamente i propri business-plan e a chiudere interi plant produttivi, con gravissime ricadute occupazionali, sotto la pressione concorrenziale cinese che – sfruttando la controversa situazione che si è create nei mercati europei - entra prepotentemente nei mercati europei in sostanziale regime di dumping, favorito dalle tante “agevolazioni” consentite da una economia di Stato come la Cina, soprattutto in termini di costo del lavoro e, quindi, di prezzo al consumatore finale.
La necessità di revisionare il Green Deal Automotive
Va detto, tuttavia, che con la nuova legislatura UE, la narrativa secondo cui la decarbonizzazione dei trasporti si persegue con un’unica soluzione tecnologica, quella dell’elettrificazione di massa, inizia a perdere di appeal.
Il clima politico sta cambiando: non solo è già cambiato nel nostro Paese, ma anche Paesi strategici come Germania e Francia stanno attraversando una fase di svolta istituzionale che va nella direzione di un approccio meno ideologico ed astratto alle tematiche del “green”, aprendo a concezioni più razionali e graduali per le politiche e le relative regole da adottare per il conseguimento dei target di decarbonizzazione fissati dalla normativa UE.
L’approccio secondo cui gli obiettivi di decarbonizzazione possano essere raggiunti con un’unica soluzione tecnologica, quella elettrica, inizia ad essere considerata del tutto disallineata rispetto allo scopo principale, che è quello di decarbonizzare il sistema dei trasporti nel suo complesso.
E i Regolamenti vigenti sui target di emissione di CO2 offrono la possibilità di revisionare l’intero impianto normativo, alla luce di una serie di parametri inerenti alla risposta del mercato e allo sviluppo effettivo delle “condizioni abilitanti”, con scadenza a tutto il 2026 per i light duty vehicle e a tutto il 2027 per gli heavy duty vehicle.
Ecco perché l’Italia – insieme ad altri Paesi Membri, a partire da Rep. Ceca, Austria e Polonia – hanno elaborato il cosiddetto “Non-Paper sull’Automotive”, mettendo in priorità la necessità di promuovere nella normativa europea un approccio fondato sulla coerenza normativa e sulla pluralità tecnologica, mettendo al centro la necessità di valorizzare tutte le tecnologie in grado di decarbonizzare il sistema dei trasporti, a partire dalle tecnologie che si fondano su vettori rinnovabili come i bio-fuels, il biometano e il bio-LNG (questi ultimi, per i veicoli pesanti), in ragione della loro vocazione ad essere carburanti a zero impronta di carbonio, immediatamente disponibili, compatibili con le motorizzazioni ICE di ultima generazione, distribuibili in un fase transitoria in blending con i carburanti convenzionali, sia per le autovetture che per i mezzi pesanti, ad un prezzo decisamente concorrenziale.
Si tratta di un risultato che ancora deve produrre effetti materiali sulla normativa europea, dal momento che la nuova Commissione e il nuovo Europarlamento si sono appena insediati, tuttavia, si può affermare che – al di là di certe incrostazioni ideologiche ancora insite in alcune recenti dichiarazioni di autorevoli esponenti della Commissione UE - la fase di elaborazione da parte della nuova Commissione UE del nuovo “Clean Industrial Deal” – che andrà a sostituire l’ormai fallimentare Programma “Green Deal” – dovrebbe tenere in dovuto conto, non solo delle indicazioni del Rapporto Draghi sulla Competitività dell’Unione Europea”, che si esprime in favore di una chiara traiettoria di sviluppo delle tecnologie per la decarbonizzazione in una chiave di “neutralità tecnologica”, ma anche delle posizioni che stanno emergendo in modo sempre più netto sia dal Gruppo Europarlamentare di maggioranza relativa del EPP che da un numero sempre più elevato di Paesi Membri, a favore di un approccio più realistico, graduale ed aderente alle reali dinamiche del mercato ai temi della transizione del comparto dei trasporti.