QUEL CHE C’È DA SAPERE
La Corte dei conti europea ha pubblicato un rapporto sull’applicazione del sistema per lo scambio di quote di emissioni dell’Unione europea (Emissions Trading System - ETS), da cui emergono ancora gravi lacune, che non mettono il sistema al riparo dal rischio di frodi, come quelle verificatesi negli anni scorsi e che hanno riguardato in modo rilevante l’Italia, su cui la Corte di conti fa diversi rilievi.
Il sistema ETS pone un limite massimo, che si riduce nel tempo, alle emissioni complessive di gas a effetto serra di circa undicimila impianti che fanno un uso intensivo di energia nell’Ue, coprendo circa la metà delle emissioni complessive. Questi impianti ricevono quote di emissione o le acquistano all’asta e possono scambiarle. Ciascuna quota rappresenta il diritto di emettere una tonnellata di biossido di carbonio (CO2) equivalente. Ogni anno, gli impianti devono restituire quote equivalenti all’ammontare di biossido di carbonio equivalente emesso. Questo sistema, introdotto nel 2005, è adesso nella sua terza fase di attuazione.
La Corte dei conti europea ha valutato se il sistema di scambio delle quote di emissione è gestito in modo adeguato, verificando se è stato istituito un quadro appropriato per la protezione della sua integrità come meccanismo di mercato ed esaminando la sua effettiva attuazione. La Corte ha concentrato il proprio esame sulla fase II dell’ETS, quella compresa tra il 2008 e il 2012. “Nel complesso, la Corte ha concluso che la gestione dell’ETS dell’Ue da parte della Commissione e degli Stati membri non è stata adeguata sotto tutti gli aspetti. Detta gestione è stata ostacolata da alcuni problemi relativi alla solidità del quadro di protezione dell’integrità del sistema, nonché da significative debolezze nell’attuazione della fase II dell’ETS dell’Ue.”
Tra le debolezze riscontrate, la Corte dei conti europea ne evidenzia tre:
a) I sistemi di monitoraggio, comunicazione e verifica delle emissioni non sono stati sufficientemente ben attuati o armonizzati. Le autorità competenti non hanno controllato in modo adeguato il lavoro svolto dai verificatori, ed hanno espletato controlli in loco limitati a livello di impianto.
b) Vi erano lacune negli orientamenti della Commissione e nel monitoraggio da questa effettuato sull’attuazione da parte degli Stati membri nel corso della fase II dell’ETS dell’Ue, e la valutazione condotta dalla Commissione sui piani di assegnazione nazionali (NAP) degli Stati membri per la fase II non è stata sufficientemente trasparente.
c) Alcuni Stati membri non hanno fornito tutte le relazioni obbligatorie sul funzionamento dell’ETS dell’Ue, e la Commissione non ha pubblicato la relazione annuale di attuazione prescritta dalla direttiva sull’ETS dell’Ue.
Nonostante alcuni miglioramenti apportati, la Corte dei conti europea rileva che “permangono problemi concernenti la regolamentazione e la sorveglianza del mercato delle emissioni connessi a coloro che devono obbligatoriamente partecipare al mercato (...) Non vi è una supervisione a livello dell’Ue del mercato delle emissioni, e non vi è sufficiente cooperazione per la regolamentazione (…) La definizione giuridica di quote di emissioni non è sufficientemente chiara (…) Il registro dell’Unione tratta dati fondamentali dell’ETS dell’Ue ed ha un alto profilo di rischio a causa degli importi finanziari in gioco e dell’ampia gamma di titolari di conto. Sebbene la sicurezza del registro sia stata notevolmente migliorata nel corso della fase II dell’ETS dell’Ue, sono ancora necessari ulteriori progressi. Le procedure applicate dagli Stati membri per controllare l’apertura dei conti dell’ETS dell’Ue, monitorare le operazioni e cooperare con le autorità di regolamentazione hanno sofferto di significative carenze e la Commissione non è in grado di monitorare in modo appropriato le operazioni per ragioni di protezione dei dati”.
Secondo la Corte dei conti europea, il mercato dell’ETS rimane a rischi di frode Iva, nonostante la direttiva del 2010, prorogata sino alla fine del 2018, che dà agli Stati la “possibilità di applicare un meccanismo di inversione contabile dell’Iva, ponendo l’obbligo di versare l’Iva in capo alla persona alla quale vengono trasferite quote”. La direttiva fu approvata dopo che l’Europol aveva stimato che le perdite dovute a frodi relative ai crediti di CO2 (tramite frodi Iva cosiddette “carosello”) fra il giugno 2008 e il dicembre 2009 ammontassero a circa cinque miliardi di euro. Il rischio di proseguimento delle frodi non può essere escluso, secondo la Corte dei conti, perché al momento dell’audit quasi un terzo degli Stati membri non aveva applicato il meccanismo di inversione contabile per le quote di emissioni. Nel corso dell’audit, la Corte dei conti europea ha visitato cinque Stati (Germania, Francia, Italia, Polonia e Regno Unito) e di questi “solo l’Italia non aveva ancora applicato il meccanismo di inversione contabile al momento dell’audit. L’unica piattaforma di negoziazione per le quote di emissioni in Italia ha sospeso le operazioni del mercato delle quote di emissioni nel dicembre 2010, a causa di anomalie rilevate nelle fluttuazioni della negoziazione. Le operazioni di scambio sono state definitivamente interrotte nel marzo 2014. La negoziazione bilaterale di quote che coinvolgono conti italiani nel registro dell’ETS dell’Ue è ovviamente ancora possibile. Al momento dell’audit, l’autorità competente e l’amministratore del registro nazionale ritenevano che in Italia vi fosse un rischio rilevante di frodi Iva «carosello», a causa dell’assenza di un meccanismo di inversione contabile dell’Iva.” La Commissione Ue ha risposto alla Corte dei conti che “la normativa italiana prevede l’attuazione del meccanismo dell’inversione contabile per le quote di emissione a partire dal 1º gennaio 2015”.
Per quanto riguarda l’Italia, la Corte dei conti ha rilevato anche che “le procedure interne per l’apertura dei conti, volte a verificare che tutti gli elementi necessari delle domande dei futuri titolari del conto fossero stati raccolti, non erano in molti casi debitamente documentate o soggette al principio del doppio controllo” e che “le relazioni formali delle autorità competenti e degli amministratori nazionali con le unità nazionali di intelligence finanziaria o con gli organismi incaricati di far rispettare le leggi erano ancora in fase di sviluppo e non operative”.
La direttiva europea sull’ETS stabilisce anche che gli Stati hanno l’obbligo di presentare alla Commissione una relazione annuale, cosa che l’Italia non ha fatto nel 2010, 2011 e 2012. Per quel che riguarda altri tipi di comunicazione per informare il pubblico, l’Italia è tra i paesi che hanno prodotto pochi documenti informativi specifici sull’attuazione nazionale e sui risultati dell’ETS.
Infine, il rapporto della Corte dei conti europea evidenzia un caso riguardane l’Italia e l’incoerenza nella comunicazione delle constatazioni delle verifiche. Infatti, scrive la Corte dei conti, “in un caso in Italia, un verificatore ha comunicato molte constatazioni per i primi tre anni. La documentazione non indicava se, ed in che modo, fossero state risolte tutte le questioni sollevate, né se fosse intervenuta l’autorità competente. Tuttavia, per l’anno di riferimento 2011, il gestore ha incaricato un nuovo verificatore, il quale non ha comunicato alcuna constatazione per quell’anno.
Tutti gli Stati membri selezionati ai fini dell’audit disponevano di qualche forma di accreditamento o riconoscimento dei verificatori, al fine di creare pool di verificatori approvati che potessero essere incaricati dai gestori. In Italia, il riconoscimento dei verificatori era svolto dall’autorità competente nazionale. Quest’ultima ha redatto un elenco di 23 verificatori riconosciuti per l’ETS dell’Ue in Italia, ma non ha svolto periodiche valutazioni della qualità né esercitato una sorveglianza sul loro lavoro. Questo modello è stato abbandonato nella fase III”.