EOLICO E RAI TV
Il Presidente dell’associazione delle imprese eoliche minaccia la Rai che per una volta (sic!), attraverso la libera espressione artistica del regista Francesco Amato, ha osato scalfire il mito delle rinnovabili a tutti i costi. Ma il sostituto procuratore Imma Tataranni, campione di ascolti, è una tosta che non si farà certo intimidire.
Ebbene sì, sono una che apprezza gli sceneggiati televisivi, proprio quelli della televisione generalista, quelli che, secondo una opinione un po’ snob, nessuno guarderebbe più e che, invece secondo me, grazie alla scoperta delle ambientazioni nelle antiche città e nelle suggestive province italiane, hanno una nuova capacità di incuriosire milioni di telespettatori, in Italia e all’estero. Destinati al grande pubblico, gli sceneggiati sono principalmente vettori di buoni sentimenti ma, non di rado, introducono il racconto di fatti e comportamenti legati all’attualità e al cambiamento di costume della società italiana.
Così, sono stata felicissima che fosse proprio la mia investigatrice preferita, Imma Tataranni, sostituto procuratore a Matera, interpretata da Vanessa Scalera, a rappresentare l’unico disagio sociale fortemente sentito ma del tutto ignorato dei nostri giorni: il dramma di chi assiste impotente all’occupazione di un territorio che ama da parte delle pale eoliche e dei grandi impianti fotovoltaici a terra e non può farci niente.
L’ultimo episodio della serie tratta dai romanzi di Mariolina Venezia racconta l’indagine su un omicidio dove viene ingiustamente sospettato il proprietario del terreno attiguo a una centrale eolica, ridotto alla disperazione dal rumore e dallo stravolgimento dell’habitat naturale provocato dalle pale.
Pochi minuti di riprese dell’impianto, e di una torre eolica in particolare, immagini girate in modo magistrale dal regista e da operatori professionisti – come noi antieolici non ci siamo mai potuti permettere di realizzare - rendono il senso dello stravolgimento di un territorio naturale molto più di qualsiasi articolo o conferenza di esperti naturalisti. La fiction rai, in realtà, si limita a mettere in evidenza il rumore, il vulnus al paesaggio e il danno agli uccelli migratori. Ma tanto basta a identificarsi con i protagonisti, a comprendere il problema e le sue dimensioni.
Ciò può rendere disponibili i telespettatori a valutare più attentamente i limiti di una transizione energetica fondata su grandi impianti eolici e fotovoltaici, limiti che ci siamo sforzati di segnalare in questi anni a un’opinione pubblica disorientata e perplessa a causa dell’univocità del messaggio rinnovabilista trasmesso in modo acritico da tutti i mezzi di informazione.
In particolare: l’abnorme occupazione di territorio pregiato, agricolo o naturale; l’attacco alla tutela paesistica, in particolare dove le amministrazioni sono ancora inadempienti; l’addensamento di impianti nelle regioni del Sud a causa di una ventosità appena superiore alla media italiana e nonostante la maggiore domanda di elettricità provenga dal Nord del paese; la conseguente necessità di estendere la rete elettrica e i suoi rilevanti costi in bolletta; una ventosità comunque bassa che, nei siti migliori, non supera le 2.000 ore l’anno; la dipendenza dal mercato della sola Cina per gran parte dei componenti necessari alle installazioni e per la quasi totalità della filiera di produzione dei metalli e dei materiali. E, naturalmente, la non programmabilità dovuta all’intermittenza di queste fonti, che fa sì che gli impianti siano aggiuntivi e non sostitutivi delle centrali a gas che devono restare a disposizione (onerosa) della rete elettrica per far fronte alla domanda quando cala il sole o quando non c’è vento.
Lo sceneggiato aiuta, inoltre, a capire perché i cittadini che si trovano assediati dalle torri eoliche si sentano isolati e reietti, oltre che danneggiati. Nessuno è disponibile ad ascoltarli, si trovano a dover fronteggiare interessi colossali e la speculazione fondiaria; sono soggetti alla riprovazione generale - negazionisti! nemici del clima! – e finiscono per rappresentare l’incarnazione del Nimby, l’anatema coniato per designare gli egoisti che usufruiscono dei servizi comuni ma non vogliono impianti nel proprio giardino.
Ora, comunque la si pensi, il trattamento censorio riservato a queste minoranze e alle residue associazioni che cercano di sostenerle (fra cui gli Amici della Terra e l’Astrolabio) non è congruo in un paese dove il rigasificatore di Piombino è bloccato da quasi tutte le rappresentanze locali dei partiti di maggioranza e di opposizione. Dove metà del paese è sommersa dai rifiuti perché il tabù dei termovalorizzatori è avallato persino dai vescovi. Dove, nonostante un referendum fallito, le poche trivelle nei nostri mari sono state fermate a causa di una cattiva stampa che le ha rese invise all’opinione pubblica. Dove, da anni, la localizzazione del deposito di rifiuti radioattivi, indispensabile per ospitare in sicurezza i residui di ospedali e centri di ricerca, oltre che quelli delle centrali chiuse, non è assistita da un’informazione adeguata e corretta, almeno da parte del servizio pubblico televisivo.
L’elenco sarebbe ancora lungo, ma serve solo a rilevare che delle ragioni di chi si oppone a impianti veramente strategici - come dimostra la crisi energetica in corso - sappiamo quasi tutto, anche quando si rivelano irragionevoli e irrazionali.
Mentre chi difende il paesaggio – che, pure, dovrebbe godere di una protezione costituzionale – e persino chi vede stravolte le condizioni al contorno della propria proprietà fondiaria finisce in un cono d’ombra e non ha più nemmeno il diritto di protestare. In ossequio alla religione del vento e del sole, si diventa invisibili e innominabili.
Infatti, che Imma Tataranni costituisca un’eccezione assoluta nel panorama dell’informazione, compresa la filmografia e persino la pubblicità, lo testimonia l’aggressiva protesta contro la Rai degli “imprenditori delle rinnovabili”, che si dicono addirittura “sgomenti” di una narrazione che porterebbe danno agli utenti del servizio pubblico. Ad esporsi sopra le righe è il solito Simone Togni, il prodigo presidente dell’Anev, l’associazione delle imprese dell’eolico, che da oltre 20 anni non trascura alcun ambito di comunicazione ed è, infatti, stupefatto che gliene sia sfuggito uno, e così efficace. Ora, dall’alto del suo ruolo di intoccabile depositario della verità rivelata, Togni si augura che, verso i responsabili di tanta improntitudine, “vengano presi provvedimenti in modo tale da riparare a quanto trasmesso”.
“Eddai, Togni, scenni giù”, direbbero a Roma: Imma Tataranni, sostituto procuratore a Matera, si è guadagnata la fama di incorruttibile e ha totalizzato 4 milioni e mezzo di telespettatori.