TRANSIZIONE ENERGETICA GLOBALE
L’autore, direttore Public Affairs di Eni, intervenuto nella prima sessione della XIII Conferenza per l’Efficienza energetica, sostiene che se non ci focalizzassimo unicamente su obiettivi sempre più sfidanti nella nostra “bolla” europea, ma ci concentrassimo anche sull’on-boarding degli altri Paesi, il risultato sarebbe una transizione più equa, in ottica progressista, e anche più efficace, in termini di risultati.
Transizione energetica: riconoscere la complessità
La crescita di consapevolezza sulla necessità della transizione energetica è un fatto positivo. Se da un lato il tema ha scalato l’attenzione dell’opinione pubblica, imponendo nel dibattito alcune inevitabili semplificazioni, gli operatori sono sempre più consapevoli di quanto il processo sia invece complesso e radicale e dipenda fortemente da come la transizione venga concepita e orientata da tutti i soggetti coinvolti.
La transizione energetica è un processo complesso che non può essere semplificato nella singola ricetta che prevede un maggior deployment di energie rinnovabili e più elettrificazione degli usi finali, in un mero passaggio da una fonte energetica a un’altra o da un vettore a un altro. La transizione comporta un approccio più sistematico, un’impostazione molto chiara in Eni quale società operante sull’intera filiera dell’energia, in settori e fasi diverse.
I singoli settori e segmenti del sistema energetico hanno bisogno di soluzioni ad hoc, anche in diverse fasature temporali. Non è realistico attendersi che la transizione avvenga con le stesse soluzioni in tutti i settori né, ampliando l’orizzonte, che avverrà nello stesso modo e con lo stesso impatto in aree geografiche e Paesi che hanno strutture di consumo ed esigenze profondamente diverse.
La definizione dei nuovi obiettivi internazionali, europei e nazionali e la costruzione dei relativi quadri normativi derivano da come concepiamo e orientiamo il dibattito sulla transizione. Sarebbe controproducente limitarlo a uno scontro ideologico tra tecnologie che affidi arbitrariamente a un silver bullet la soluzione miracolistica della transizione.
I tempi: accelerazioni e rallentamenti
Da un punto di vista storico, una lettura molto diffusa sulla fonte energetica prevalente ed egemone su scala mondiale è che l’800 sia stato il secolo del carbone e dell’Inghilterra, il 900 del petrolio e degli USA, e questo secolo sia quello delle rinnovabili e della Cina. Quello che invece dicono i dati, e che è emerso con chiarezza anche nel corso della COP26, è che la fonte dominante della prima rivoluzione industriale, il carbone, ricopre ancora oggi un ruolo significativo. È infatti utilizzato per circa il 40% della generazione elettrica nel mondo, percentuale che sale a circa il 60% guardando all’Asia, e copre il 26% del fabbisogno primario di energia globale.
Ogni fonte energetica così come impiega lungo tempo per affermarsi sul mercato, impiega altrettanto a cadere in disuso. La persistenza del carbone ne è un esempio lampante ed è legata alle sue caratteristiche: non richiede tecnologie particolarmente complesse, è labour intensive, è una fonte accessibile e ha un costo contenuto. Quest’ultima caratteristica ha fatto sì che, durante lo spike di prezzo del gas, anche Paesi europei come la Germania sono tornati a fare ampio ricorso alle centrali a carbone e a lignite, fonti più economiche ma anche più inquinanti.
L’impegno di Eni per la transizione
Eni è attiva su tutta la filiera dell’energia e negli ultimi anni, già a partire dal 2014, ha sempre più differenziato le proprie attività e fissato precisi obiettivi di sostenibilità e decarbonizzazione.
L’anno scorso ha segnato un cambio di passo, in accelerazione, nel nostro percorso: abbiamo annunciato al mercato l’obiettivo di neutralità carbonica al 2050, per le emissioni scope 1, 2 e 3. Siamo stati fra i primi dell’industria tradizionale a parlare di managed decline of oil, ossia raggiungere un punto di plateau da qui a pochi anni, a cui seguirà una gestione del declino del petrolio e un progressivo shift verso il gas. Gas che è e rimane il fuel di backup indispensabile alla transizione in quanto meno emissivo fra le opzioni a oggi disponibili, insieme ai suoi fuel complementari: i gas rinnovabili, come il biometano. Già oggi abbiamo raggiunto risultati molto importanti sulle fuggitive di metano, tema che ha assunto rilevanza anche nella COP26, e prevediamo azioni decise che porteranno in pochi anni a zero il venting e il flaring.
Fondamentali per il raggiungimento del nostro obiettivo di decarbonizzazione sono anche le nature-based solution, quali le iniziative di forestry e offsetting.
La mobilità sostenibile: prodotti diversi per segmenti diversi
Se la mobilità elettrica è certamente una delle soluzioni per la decarbonizzazione del segmento trasporto passeggeri su strada, per aggredire anche le emissioni dello shipping, del trasporto aereo o dei veicoli heavy duty, i carburanti alternativi – prodotti soprattutto a partire da scarti dell’agricoltura o colture apposite non in competizione con la filiera alimentare e rifiuti - rappresentano l’opzione d’elezione, purtroppo ancora poco discussa. In attesa di soluzioni economicamente competitive derivanti dall’idrogeno, l’adozione di biocarburanti che compensino nel ciclo di vita le loro emissioni consente fin da subito di conseguire il risparmio emissivo di cui c’è bisogno anche sul trasporto pesante, marittimo e aereo, oltre che sul parco circolante dotato di motore a combustione interna, fino al suo completo ricambio.
L’efficienza energetica e nuovi modelli di consumo
Riguardo all’efficienza energetica, è importante sottolineare come in ogni scenario di decarbonizzazione di riferimento (IEA, IRENA) l’efficienza energetica rappresenti la fetta più consistente nel paniere delle soluzioni. In contrasto con la comune assunzione che tra gli interventi necessari sia il deployment massivo delle rinnovabili il più importante, nelle proiezioni è l’efficienza energetica ad assumere in assoluto il ruolo più significativo.
È pertanto auspicabile che l’efficienza assuma una crescente risonanza nel dibattito sulla transizione e che contestualmente l’attenzione si rivolga non soltanto alla dimensione dell’offerta, ma anche alla domanda, ovvero su tutto ciò che si può fare per rendere i nostri modelli di consumo più efficienti e sostenibili. Il passaggio da un modello energetico fondato sulle fonti fossili a uno sempre più sostenibile non può essere semplicisticamente ridotto al passaggio da una fonte a un’altra, ma passa attraverso la riconversione dei nostri stili di vita, senza che questo significhi una perdita di qualità della vita, cosa che nessuno auspica. È in quest’ottica che diventa necessario spostare l’attenzione sulla domanda, su cosa i cittadini e i consumatori chiedono e alle tecnologie necessarie per dare risposte efficienti.
La Cop26, un’occasione per estendere “la bolla”
L’obiettivo della neutralità climatica, in quanto globale, non può prescindere dall’estendere il nostro sguardo oltre la “bolla” europea. L’Europa è infatti responsabile di meno del 10% delle emissioni globali e, con il nuovo target Ue del -55%, già alla fine di questa decade del solo 5%.
Se non ci focalizzassimo unicamente su obiettivi sempre più sfidanti nella nostra “bolla”, ma ci concentrassimo anche sull’on-boarding degli altri Paesi, il risultato sarebbe una transizione più equa, in ottica progressista, e anche più efficace, in termini di risultati. Le disuguaglianze già così marcate tra i diversi Paesi e aree del mondo in termini di accesso e consumo di energia rischiano di essere esacerbate da una transizione che guardi solo a perfezionare il nostro ultimo miglio e non responsabilizzi invece tutti gli attori, in base alle proprie disponibilità, a dotarsi di strumenti pragmatici che giovino alla salute del pianeta.
La COP26 in questo senso ha portato più persone a bordo, ha serrato i tempi, allargato il tema e l’ambizione, ha permesso di interrogarsi sul tema della finanza e, non da ultimo, sulla necessità di imponenti sforzi di innovazione tecnologica.