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2024-03-29 11:13

La manna che viene dal passato

LO SHALE NEL MEDITERRANEO

di: 
Leonello Serva e Francesco Mauro

I dati più recenti circa i giacimenti di shale in Israele (www.iei-energy.com/) ci hanno suggerito  una verifica ed una riflessione circa lo shale in Italia e nel Mediterraneo.

Lo shale d’Israele
Negli anni ‘2000, sono state scoperte in Israele circa 25 aree ricche di shale oil, la più estesa quella denominata Shfela basin (Fig. 1) a sudovest di Gerusalemme in Giudea, le altre in varie località del Negev.

Lo Shfela basin, da solo, contiene una quantità di shale oil tale da permettere di liberare Israele dalla dipendenza esterna. Secondo gli esperti israeliani, in quest’area esistono condizioni ottimali per l’estrazione sia per la profondità dove si trova la roccia produttiva, che per quantità e qualità dello stesso shale oil. Inoltre, il livello produttivo è ben isolato idraulicamente dalle falde sovrastanti e sottostanti. In particolare, il livello contenente shale oil è costituito da marne bituminose del Cretaceo superiore spesse da 35 a 80 metri (il famoso livello “Bonarelli” ben noto ai geologi italiani, ma molto più spesso in Israele) (www.searchanddiscovery.com/…3/10533eppelbaum/ndx...). Lo Shfela basin contiene un totale di 150 miliardi di barili petrolio-equivalenti, di cui 40 miliardi nell’area della concessione IEI.

L’area della concessione dello Shfela basin, di 270 km2, è stata assegnata alla Israel Energy Initiatives Ltd (IEI), che sta sviluppando anche un sistema di trasformazione mediante una tecnologia di conversione in situ dello shale oil in un carburante “pulito” utilizzabile dai mezzi di trasporto. La tecnica di estrazione non sarà quindi il classico fracking ma il riscaldamento della roccia in situ.

Fig. 1. Depositi di shale oil/gas in Israele. Da: www.solami.com

Lo shale oil bituminoso contiene fino ad un 12-24% di fertilizzanti organici. Portato a 500°C, si decompone in petrolio, gas e altri composti. Il processo produce grandi volumi di vapore e energia. Oppure, in via alternativa, lo shale oil può produrre composti chimici pregiati come lubrificanti, fenoli, solventi.

Nella valutazioni più recenti, considerando che lo spessore di questa marna, come detto sopra, varia da 35 a 80 m, le stime sono state riviste in 350 miliardi di barili di petrolio estraibile: il ranking di questo ammontare è il numero 3 su scala mondiale, dopo USA e Cina.

La Israel Energy Initiatives (IEI) ha già investito decine di milioni di dollari nel preparare un progetto pilota e nel mettere a punti le nuove tecnologie: per riscaldare lo shale oil senza doverlo prima estrarre, per produrre emissioni che siano la metà di quelle dei pozzi tradizionali, per evitare un eccessivo consumo d’acqua.

In conclusione, queste risorse potrebbero dimostrarsi per Israele importanti tanto quanto gli idrocarburi al largo delle sue coste.

 

Lo shale d’Italia
In Sicilia potrebbe esistere una situazione non del tutto dissimile da quella israeliana, almeno considerando i dati esistenti.  Essa riguarda il ben noto Bacino di Caltanissetta, anche detto bacino Siciliano (Fig. 2). Partendo dalla zona centrale della Sicilia, tale bacino occupa una gran parte delle provincie di Caltanissetta, Enna e Agrigento, e si estende verso sud-ovest sotto il mare nel Canale di Sicilia

La formazione geologica contenente shale è comunemente denominata “Tripoli” o “Tripolite” ed è costituita da marne diatomitiche di età miocenica (messiniano) spesse al massimo circa 45 metri (non mancano però autori che indicano 90 metri come spessore massimo) e le cui isopache, in via molto preliminare, sono riportate in Fig 3.  Riportiamo di seguito alcuni dati di interesse presi da  uno studio condotto nel lontano 1988 da un geologo del Servizio Geologico degli Stati Uniti (USGS), John R. Dyni (1988), che agiva, tra l’altro, anche su richiesta delle autorità regionali siciliane:  “Review of the geology and shale oil resources of the tripolitic oil-shale deposits of Sicily, Italy. USGS”, Open File Report 88-270”. Questo studio prende in considerazione anche altri significativi studi precedenti.

In tale lavoro, veniva messa in evidenza la possibile potenzialità di questa formazione, ubicata al massimo sino a 900 metri di profondità, per un suo eventuale utilizzo al fine di ricavare shale oil (è da evidenziare che essa è stata già sfruttata per due anni dalle forze armate tedesche durante la Seconda guerra mondiale presso Serradifalco).  Veniva altresì evidenziata la necessità di ulteriori studi condotti attraverso un adeguato numero di sondaggi per verificare la potenzialità del bacino e quindi decidere sul suo eventuale sfruttamento. Venivano, infine, anche individuate delle problematiche di impatto ambientale che, se non risolte, potevano pregiudicarne la coltivazione. Esse in particolare erano:

(a) il metodo di coltivazione (mining) e gli spazi dove depositare la roccia dopo lo sfruttamento;

(b) la disponibilità di significativi volumi di acqua;

(c) la possibilità di inquinamento di acqua e aria.

Fig. 2. L’area occupata dalla formazione “Tripoli” nel bacino Siciliano. Da Dyni (1988), modificato.


Fig. 3. Isopache (zone di stesso spessore della formazione) della formazione delle marne diatomitiche all’interno del bacino di Fig. 1. Da Dyni, 1988, modificato.


Conclusione
Le dimensioni del bacino di Caltanissetta, almeno 6.500 km2, sono nettamente superiori a quelle del bacino israeliano sopra descritto; mentre la  sua potenziale produttività è minore rispetto a quella israeliana, almeno sulla base delle stime disponibili.

A nostro parere, i dati raccolti e qui brevemente presentati indicano quanto una seria valutazione di questo “giacimento” siciliano sia non solo opportuna ma necessaria, anche considerando tutte le condizioni al contorno. Questa conclusione è rafforzata dalla messa a punto da parte dei ricercatori e tecnologi israeliani di un metodo di estrazione dello shale oil che permetta di evitare la maggior parte dei problemi di impatto ambientale.

L’eventuale disponibilità di queste risorse energetiche per il nostro Paese costituirebbe un fattore estremamente importante in termini socio-economici e geopolitici per lo sviluppo del Paese. Esplorare gli elementi per una valutazione approfondita in tempi brevi è, a nostro avviso, semplicemente doveroso. Gli estensori di questo articolo non sono a conoscenza di ulteriori dati in merito alla potenzialità del bacino siciliano in termini di shale, ma sarebbero lieti di ricevere e pubblicare ulteriori dati al riguardo, anche se tali dati fossero in contrasto con quanto esposto nel presente lavoro.

La conferma di una presenza nel Mediterraneo, nei vari bacini (Israele, Italia, Giordania, Marocco), di un numero sostanziale di giacimenti, già da sola modificherebbe lo status dei paesi interessati, con conseguenze  importanti sull’economia, la distribuzione della popolazione, l’autonomia ed i rapporti reciproci.

Altre informazioni sul tema e sul dibattito politico circa le estrazioni di idrocarburi sono riportate in B. Bonardi, Idrocarburi: nuovi scenari e vecchie politiche

Nota
Articolo presentato il 25 giugno 2014, accettato dopo review il 1 luglio 2014.