ENERGIA E BIODIVERSITA’
Salvate due volte nei precedenti due secoli, le balene rischiano ora l’estinzione per colpa dello sviluppo spinto di parchi eolici offshore al largo della costa del New Jersey.
Immagine di Copertina: Grand Ball Given by Whales (Vanity Fair, 1861) - Immagine Wikipedia
Non è la prima volta che gli Amici della Terra denunciano le esternalità sugli ecosistemi e sul paesaggio dello sviluppo estensivo e intensivo dell'eolico per affrontare l'urgente crisi climatica. In questo caso, dall’altra parte dell’oceano, l’allarme per la salvaguardia della vita marina ha per protagonisti la popolazione di una specie che rischia la cancellazione dalla biodiversità per la terza volta. Allora come adesso per effetto dell’attività umana.
Fino alla seconda metà del XIX l’olio di balene era un bene di lusso perché la luce che produceva era più chiara delle candele e meno sporca del fuoco a legna. Con lo sfruttamento del primo pozzo di petrolio e della raffinazione dei suoi derivati, la caccia delle balene subì un deciso declino, per tornare nuovamente a pieno ritmo nel XX secolo quando il grasso di balena veniva utilizzato come base per la margarina. Nei primi 70 anni del secolo scorso si sono uccise complessivamente il triplo delle balene catturate in tutto il secolo precedente.
Greenpeace con la sua mediatica e spettacolare azione a Vancouver sollevò una consapevolezza globale sul problema che portò a un trattato internazionale di divieto di caccia a balene e capodogli. Anche senza nulla togliere alla meritevole campagna dell’associazione ambientalista, va ricordato che in quegli anni veniva scoperta un’alternativa migliore e più economica del grasso di balena come emulsionante per l’industria alimentare: l’olio di palma.
Tornando alla minaccia che la decarbonizzazione accelerata pone ai mammiferi marini della costa est statunitense, è stata rilevata un’insolita strage di esemplari di balena franca nordatlantica a partire dal 2016, da quando si è intensificato il traffico di navi per l’attività di prospezione in preparazione dell’installazione degli aerogeneratori e relative infrastrutture di trasmissione davanti a Nantucket e Marta’s Vynard. Ogni anno muoiono in media 25 individui marini mentre l’anno scorso addirittura si è toccato il record di 83. Prima che venissero avviati gli studi geofisici ad alta risoluzione per mappare il fondo marino, non si superavano gli 8 decessi all’anno.
La balena franca nordatlantica è una famiglia di mammiferi marini a rischio che conta appena 350 esemplari e il cui habitat si sovrappone all’area dove si progettano i mega insediamenti di aerogeneratori offshore. La correlazione tra l’industrializzazione dell’habitat dei mammiferi marini e l’impennata di spiaggiamenti ha spinto i conservazionisti di Save the Rights Whales Coalition a investigare sull’aumento delle collisioni dei cetacei con le navi. Effettuando dei rilevamenti sull’inquinamento acustico sottomarino si è trovata conferma che l’eco sonar che le balene usano per navigare fosse disturbato da un forte umore di fondo di infrasuoni. A causarlo è lo spiegamento di strumenti di rilevazione a onde sismiche usati per lo studio geologico dei siti marini dove impiantare le fondamenta sommerse degli aerogeneratori.
L’idea che i parchi eolici possano in qualche modo contribuire alla morte delle balene viene decisamente respinta dalle agenzie governative per lo studio e la protezione dell’oceano, atmosfera e pesca come la National Oceanic and Atmospheric Administration Fisheries, NOAA Fisherie. Tuttavia, è trapelata una mail interna in cui il responsabile delle specie a rischio della NOAA, Dr. Sam Hayes, ne riconosce gli impatti oceanografici. A destare maggiore preoccupazione è la considerazione dello scienziato che sottolinea: “a differenza del traffico navale e del rumore, che possono essere mitigati in una certa misura, gli impatti oceanografici delle turbine installate e in funzione non possono essere mitigati per i 30 anni di vita del progetto, a meno che non vengano smantellate”. Ovvero, l’eolico offshore in quell’area significa una condanna all’estinzione della balena franca nordatlantica.
Per denunciare l’inerzia delle istituzioni, il disinteresse dei media e l’intreccio tra alcuni esponenti di organizzazioni no-profit per la tutela marina e la lobby dell’industria eolica, è stato realizzato il documentario Thrown to the Wind che solleva il coperchio di un vaso di Pandora sugli effetti della priorità accordata all’installazione di pale eoliche su ogni altro tipo di considerazione ed esigenza di tutela. Se lo visionate, preparatevi. La colonna sonora ripropone per buona parte dei 30’ di filmato il suono a cui sono esposti i cetacei. Davvero insopportabile: l’equivalente dell’esplosione di un obice da 155 millimetri.
*Patrizia Feletig è giornalista e divulgatrice