Oggi:

2024-10-07 00:35

L’Acciaio Può (e Deve) Stare nel Futuro Sostenibile di Taranto

STRATEGIE INDUSTRIALI E AMBIENTALI

di: 
Angelo Spena

Chi l’ha detto che la produzione di acciaio debba continuare a rappresentare un vulnus ambientale per la città e il suo territorio e non una grande opportunità? L’autore, professore emerito nell’Università di Roma “Tor Vergata” e presidente del GME, avanza sulle pagine dell’Astrolabio una proposta che amplia la visione strategica dal polo siderurgico al terziario, alla città e al suo territorio. E sostiene che, per un simile progetto capace di coniugare ambiente, economia, tecnologia e occupazione, sarebbe possibile mobilitare grandi investimenti.

Non solo industria
Taranto è oggi la realtà d’Italia in cui convergono tutte le potenziali trasformazioni indotte dalla transizione: ambientale, occupazionale, tecnologica, energetica, economica. Sostiene Confindustria che la città e la Puglia non possono fare a meno di una infrastruttura così importante, anche alla luce del nuovo scenario energetico internazionale: l'acciaio alimenta catene e filiere strategiche dell'economia italiana, dalla farmaceutica all’edilizia all’automotive[1]. Non solo: “l’acciaio prodotto con gli altoforni non sarà più sostenibile a livello economico a causa dei costi correlati alla produzione di CO2 che esploderanno dal 2026” ammonisce il Presidente Federacciai Antonio Gozzi[2]. L’introduzione dell’idrogeno nel ciclo industriale dei settori “hard to abate” è tuttavia impegnativa: non sarà immediata, e potrebbe richiedere una fase transitoria basata sul gas naturale. E infatti il miliardo di euro per l’impianto Direct Reduction Iron (DRI) si è dovuto sottrarre ai tempi-capestro del PNRR, la cui scadenza ultima è al 2026.

Intanto il costo dell’energia e i nodi della logistica incidono sulla vita dei cittadini, delle imprese, dell’indotto; ora che lo Stato è partner di AdI-Acciaierie d'Italia, quei territori non devono più – dichiarò il Ministro Fitto già nell’agosto 2022 [3] - esser lasciati soli a pagare il prezzo economico e sociale della insostenibilità ambientale dell'impianto. Leve e perno di una governance sinergica tra Governo e le due amministrazioni locali (comune di Taranto e regione Puglia) possono essere un accordo di programma, e le risorse sia del Fondo Sviluppo e Coesione FSC, che del Contratto Istituzionale di Sviluppo CIS, del RepowerEU, del Just Transition Fund JTF; quest’ultimo (800 milioni di euro) concepito, come ha recentemente sottolineato la commissaria UE per la politica regionale Elisa Ferreira in visita a Taranto, proprio “per dare un supporto a lungo termine a una strategia di sviluppo sostenibile” [4].


Coinvolgere i settori civile e terziario
È questo il punto da cogliere: non ci si può limitare al perimetro della acciaieria, o a una pioggia di interventi urbani da manuale generalista. Così non se ne esce. Occorre una progettualità sistemica specializzata alla unicità del polo di Taranto, il quale offre oggi una ricchezza di opportunità irripetibile [5] ben al di là della mera neutralizzazione delle fonti inquinanti: dalla riconversione industriale, urbanistica ed economica dell'area, alla tutela e riqualificazione dei lavoratori che in ogni caso, anche col passaggio graduale dagli altoforni del ciclo integrale ai forni elettrici, saranno in esubero perché un forno elettrico richiede da un terzo a un quarto del personale di un altoforno. Sono già oltre 1.600 gli operai, rimasti alle dipendenze della ex-Ilva in amministrazione straordinaria, da 5 anni in cassa integrazione; e i sindacati temono, se il programma dovesse sostanzialmente ridursi alla chiusura dell'area a caldo - la più impattante sull’ambiente, ma anche parte sostanziale dell'acciaieria - un tracollo occupazionale.


Riconfigurare il nesso tra acciaieria e abitato
Sappiamo bene che ogni pur auspicato partenariato pubblico-privato si delinea sempre oggettivamente problematico in assenza di una visione strategica, “senza un chiaro piano industriale che segni da subito un percorso di rilancio e arresti il declino” come affermava il ministro Urso nel dicembre 2022 [6]. A Taranto è una storia ormai annosa. Ma a Taranto senza investimenti nel civile e nel terziario non c’è un futuro industriale.

Più precisamente, senza: i) la risolutiva costruzione di un nuovo quartiere lontano dall’acciaieria con nuovi edifici a consumo energetico zero, costituiti in comunità energetica, che sia un modello non astratto ma concreto per l’intera Europa; ii) la riqualificazione professionale delle maestranze in esubero dalla acciaieria e la loro formazione per la acquisizione di competenze specialistiche della più avanzata edilizia green; iii) il raccordo e l’integrazione logistica dei nuovi insediamenti abitativi con AdI, con l’esistente tessuto urbano, con il nuovo indotto.
Riconfigurare il nesso tra acciaieria e abitato, nato male e cresciuto peggio [7]. Solo così si potrà oltretutto aiutare Taranto a superare il paradigma della città polarizzata - con condizioni di vita cioè nettamente diverse tra centro e periferie – e a rigenerarsi con mobilità sostenibile (autobus green, riqualificazione o nuove tramvie/ferrovie locali, ecc) in modo policentrico. Dimostrando possibile la casa efficiente non privilegio di pochi, ma condivisibile su larga scala, anche per il social housing. E soprattutto liberando ogni eventuale ulteriore revamping della acciaieria [8] che possa essere suggerito da future valutazioni di politica industriale, dall’ipoteca del rischio di ricadute sul tessuto urbano.


Suolo, rendere disponibili i beni pubblici
Al fine di non offrire sponda alla speculazione su suoli privati, prodromica e insieme decisiva sarà una capillare ricognizione di tutti i possibili terreni del Demanio, in particolare marittimo, della Difesa, o comunque pubblici resi beni disponibili, idonei alla nuova urbanizzazione green. Anche perché la demolizione del rione Tamburi consentirà la realizzazione su quel suolo, una volta bonificato (ma comunque inopportuno per usi antropici) di un grande impianto fotovoltaico utility scale in grado di contribuire con alta efficienza al fabbisogno energetico della zona industriale fino ad azzerare il saldo netto delle emissioni di CO2 di parti essenziali della acciaieria; centrale da dedicare in particolare alla alimentazione dei forni elettrici, del previsto rigassificatore, di un nuovo impianto di produzione di idrogeno verde.

Tutto quanto sopra senza pregiudicare, per quanto possibile, già prospettate iniziative urbanistiche come il piano per i Giochi del Mediterraneo o la forestazione urbana (green belt), o industriali come lo scambio AdI-Falck Renewables e Blue Float Energy di fornitura di energia da fonte rinnovabile con l’uso di un'area del terminal container [9]; o come il Tecnopolo [10], nella misura in cui possa accompagnare l’allargamento e la diversificazione dell’indotto coinvolgendo imprese, ricerca e Università.
Solo questi interventi sul terziario possono - una volta sottratta ogni scelta, con la riqualificazione degli addetti e dell’indotto, a vincoli occupazionali interferenti con le scelte collettive - aprire la strada alla piena riconfigurazione e rilancio della acciaieria con massime e incondizionate garanzie ambientali.


Tempi e risorse
Nel prospettato scenario di economia circolare, un cronoprogramma coerente di rigenerazione urbana, risanamento ambientale e riconversione industriale potrebbe essere delineato come appresso:

A) ricognizione urbanistica demaniale, approfondimenti, permitting, progettazioni per le fasi successive. Tempo: 1 anno

B) riqualificazione professionale delle maestranze in esubero dalla acciaieria e loro formazione per la acquisizione di competenze specialistiche nella più avanzata edilizia sostenibile e nelle nuove tecnologie: da un minimo di 3.000 a un massimo di 7.000 addetti. Tempo: 2 anni (spesa dell’ordine di 10 milioni di euro)

C) costruzione di un nuovo quartiere lontano dalla acciaieria, su terreni demaniali o pubblici resi beni disponibili, con edifici a consumo energetico zero e costituito in comunità energetica (è verosimile una potenza fotovoltaica sulle coperture dell’ordine di 25 MWp, per una produzione fin di 35 GWh/anno) [11]: nuova volumetria edificata complessiva, tra abitazioni e servizi, di 2,5 milioni di mc (minimo 2 milioni di mc), su un’area attrezzata dell’ordine di 125 ha (minimo 100 ha). Tempo: 3 anni (spesa dell’ordine di 1,5-2,0 miliardi di euro)

D) demolizione del rione Tamburi, con bonifica dei suoli e risanamento ambientale finalizzato a investimenti comunque industriali per rinnovabili e decarbonizzazione: ca. 125 ha. Tempo: 1 anno

E) realizzazione di una centrale fotovoltaica sul suolo bonificato del rione Tamburi demolito, con pannelli piani in silicio monocristallino di ultima generazione o equivalenti [12], della potenza fin di 180 MWp per una producibilità di oltre 240 GWh/anno, con accumulo in batterie per complessivi 270 MWh. Tempo: 1 anno (spesa dell’ordine di 180 milioni di euro) [13]

F) riqualificazione, revamping, piena decarbonizzazione della acciaieria con incondizionate garanzie ambientali, ripristino della capacità produttiva almeno ai 6 milioni di t/anno previsti dal Piano industriale di AdI, e ottimizzazione (senza alcuna preclusione di ulteriori aumenti) dei processi produttivi tra forni elettrici e altoforni del ciclo integrale (area a caldo). Tempo: almeno 3-4 anni
G) mobilità sostenibile in chiave green, nuove tramvie/ferrovie locali per l’integrazione logistica dei nuovi insediamenti abitativi nel tessuto urbano, per un minimo di 3-4.000 utenti. Tempo: 2-3 anni (spesa dell’ordine di alcune decine di milioni di euro).

L’intero cronoprogramma potrebbe articolarsi, come sintetizzato in figura, su una tempistica dell’ordine di almeno 6 anni, mantenendo sempre, per ragioni sia occupazionali che industriali, più attività in parallelo.

Cronoprogramma di massima


 

NOTE


[1] Intervista a Sergio Fontana, Presidente Confindustria Puglia, Il Sole24Ore, 13 agosto 2022.

[2]Sofia Fraschini, “Senza interventi subito, all’ex-Ilva non resta che chiudere i battenti”, Il Giornale, 7 ottobre 2023.

[3]Domenico Palmiotti, “Rilancio dell’ex-Ilva, per la politica è l’ultima chiamata”, Il Sole24ore, 13 agosto 2022.

[4]Domenico Palmiotti, “Taranto, dai fondi UE la scommessa per il rilancio”, Il Sole24ore, 6 ottobre 2023.

[5]Domenico Palmiotti, “Ex Ilva, il Ministro Urso conferma l’accordo di programma a Taranto”, Il Sole24Ore, 21 febbraio 2023.

[6]Intervista al Ministro Adolfo Urso, Il Sole24Ore, 16 dicembre 2022.

[7]Cosider, “Centro Siderurgico di Taranto”, Bollettino Tecnico Finsider n. 217, Genova, 1965.

[8]Ancora nel 2005 la produzione si attestava a 10 milioni di t/anno.

[9]Per costruzione e assemblaggio di aerogeneratori per il parco eolico off-shore al largo di Otranto.

[10]Già finanziato nella legge di Bilancio del 2019 con i primi 9 milioni di euro.

[11]Da circa 250.000 mq lordi di coperture per una potenza media parametrica di 100 Wp/mq (Ispra ha nel 2022 stimato 93 Wp/mq ma su edilizia esistente non dedicata), per 1350 ore/anno equivalenti.

[12]Assumendo una potenza nominale parametrica media di 142,5 W/mq lordo di suolo (180 Wp/mq di pannello con fattore di schiera 1,2 e fattore d’uso del suolo 0,95) su 125 ettari.

[13]Di cui 125 milioni di euro per i pannelli e 55 milioni per gli accumuli.