EROSIONE COSTIERA
L’erosione costiera, nonostante la natura peninsulare dell’Italia che rende le coste una parte fondamentale del territorio, è un aspetto del dissesto che spesso passa inosservato, persino nel PNRR. L’articolo ricostruisce l’attuale situazione di erosione delle coste italiane e il percorso normativo nazionale per tutelarle e ripristinarle.
Foto di Copertina: Adriano Zanni
L’erosione costiera è il risultato di una serie di processi naturali connaturati all’ambiente costiero (come le onde, la marea, le correnti marine, ecc.) e/o fattori antropici connessi alla forte urbanizzazione lungo la costa (come le opere marittime e le strutture abitative o ricreative) che modificano la morfologia dei litorali determinando una perdita di superficie del territorio emerso e sommerso, e quindi anche di volume di sedimento, in un dato intervallo di tempo rispetto al livello medio del mare.
L’equilibrio naturale delle coste vede bilanciarsi da una parte l’aggressione e l’inondazione degli arenili durante gli eventi di tempesta da parte del moto ondoso, dall’altra la modellazione e la ricostruzione della morfologia delle spiagge grazie alla continua movimentazione di sedimenti operata da maree e correnti litoranee attraverso l’apporto di sedimenti. L’urbanizzazione delle aree costiere ha, però, introdotto elementi che interferiscono con i processi naturali, modificano le caratteristiche geomorfologiche dei litorali e ostacolano il naturale flusso dei sedimenti. Questi cambiamenti dell’equilibrio e la conseguente carenza dei sedimenti comportano la riduzione dello spazio all’azione del mare e l’aumento dell’impatto sui territori retrostanti.
In Italia, dove le aree costiere sono territori fortemente occupati (nei comuni costieri vive circa il 30% della popolazione e la percentuale di suolo consumato è più del 50%), l’erosione ha provocato negli ultimi decenni un forte restringimento delle spiagge, provocando un arretramento delle stesse nell’entroterra e, in corrispondenza delle aree urbanizzate, l’aumento dell’esposizione dei beni presenti nell’immediato entroterra all’allagamento e agli effetti distruttivi degli eventi di tempesta.
Il problema dell’erosione costiera è, inoltre, ulteriormente aggravato dell'innalzamento, causato dei cambiamenti climatici, del livello del Mar Mediterraneo che, secondo un modello climatico messo a punto da ENEA nel 2022, mette a rischio inondazione 40 aree costiere italiane.
L’impatto di possibili allagamenti e inondazioni costiere potrebbe essere davvero importante, specie nelle città costiere, mettendo a rischio non solo il parco immobiliare e le infrastrutture turistiche (la cui costruzione spesso è avvenuta senza accorgimenti particolari), ma anche porti, strade, ferrovie e il patrimonio culturale e paesaggistico di queste aree.
Normativa per il contrasto all’erosione costiera
La norma europea mirata a mitigare gli effetti dell’erosione costiera è stata relegata a riferimenti vaghi all’interno di atti in materia di protezione ambientale fino al 2002, quando, con la Raccomandazione 2002/413/CE, è stata espressa chiaramente la necessità di adottare misure per prevenire e mitigare più efficacemente l’impatto negativo dell’erosione costiera, al fine di preservare o ripristinare la capacità naturale della costa di adattarsi ai cambiamenti e di ridurre al minimo gli effetti negativi sulle strutture esistenti in prossimità della costa.
A livello nazionale, la protezione delle coste rientra nella normativa per la difesa del suolo, definita prima con la Legge n. 183/89 e successivamente con il D.lgs. n. 152/2006 (il cosiddetto “Testo Unico Ambientale”). Il TUA prevede “attività di programmazione, di pianificazione e di attuazione” per “la protezione delle coste e degli abitati dall’invasione e dall’erosione delle acque marine ed il ripascimento degli arenili, anche mediante opere di ricostruzione dei cordoni dunosi” e per “la disciplina delle attività estrattive nei corsi d'acqua, nei laghi, nelle lagune ed in mare, al fine di prevenire il dissesto del territorio, inclusi erosione ed abbassamento degli alvei e delle coste”, affidando alle Autorità di Bacino Distrettuale la competenza sulle zone comprese nei bacini di rilievo nazionale.
La programmazione e la gestione degli interventi di difesa delle coste, così come i compiti di protezione e di osservazione delle zone costiere, sono conferiti dal D. Lgs. n.112/98 alle Regioni e agli Enti locali, mentre risulta compitodello Stato il definire gli indirizzi generali ed i criteri per la difesa delle coste.
Il Governo Renzi istituì, con DPCM del 27 maggio 2014, “ItaliaSicura” una Struttura di Missioneper prevenire i danni da dissesto idrogeologico. I lavori della Struttura condussero, nel 2017, alla produzione delle “Linee guida per le attività di programmazione e progettazione degli interventi per il contrasto del rischio idrogeologico” che fornivano uno strumento per la definizione degli aspetti progettuali per gli interventi contro il dissesto idrogeologico, tra cui anche l’erosione costiera.
Nel 2016, l’allora Ministero dell’Ambiente, del Territorio e del mare (oggi Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica), d’intesa con tutte le Regioni costiere e in collaborazione con ISPRA, ha istituito il Tavolo Nazionale per l’Erosione Costiera (TNEC) con l’obiettivo di definire indirizzi e criteri generali per la difesa delle aree costiere. Con il contributo delle Autorità di Bacino, il Tavolo ha elaborato le “Linee Guida per la Difesa della Costa dai fenomeni di Erosione e dagli effetti dei Cambiamenti Climatici” nelle quali si pongono a confronto le varie problematiche di erosione costiera con le possibili soluzioni di riequilibrio, protezione o adattamento tenendo conto anche degli effetti dei cambiamenti climatici.
Il Governo Conte smantellò la Struttura di Missione “Italia Sicura” nel 2018 con Decreto-Legge n.86/2018, trasferendo al Ministero dell’Ambiente i compiti in materia di contrasto al dissesto idrogeologico e di difesa e messa in sicurezza del suolo, e approvò successivamente, con DPCM 2 dicembre 2019, il Piano operativo per il dissesto idrogeologico che prevedeva “Interventi per la riduzione del rischio idrogeologico e di erosione costiera”.
Più recentemente, sebbene non si faccia riferimento in particolare all’erosione costiera, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) riserva laMisura 2 “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, Componente 4 “Tutela del territorio e della risorsa idrica” (M2C4) al rischio idrogeologico.
La situazione italiana in numeri
I dati sull’erosione costiera sono periodicamente raccolti dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) nel “Rapporto sul dissesto idrogeologico in Italia”, che fornisce un quadro di riferimento sulla pericolosità associata a tutti i fenomeni di dissesto per l’intero territorio nazionale, presentando anche indicatori di rischio relativi a popolazione, famiglie, edifici, aggregati strutturali, imprese e beni culturali. L’Edizione 2021 del Rapporto mostra che il 93,9% dei comuni italiani (7.423) è a rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera, circa 1,3 milioni di abitanti sono a rischio frane, mentre 6,8 sono a rischio alluvioni.
Le coste italiane si estendono per oltre 8000 km e, sebbene le aree costiere siano territori fortemente occupati da insediamenti abitativi (nei comuni costieri vive stabilmente circa il 30% della popolazione, con una densità doppia rispetto alla media nazionale), da infrastrutture di trasporto e da attività produttive, sono naturali e libere da strutture per circa il 90%. Le coste naturali sono divise in coste alte (2.660 km), che sono contabilizzate da ISPRA come stabili, e coste basse (oltre 4.700 km), per lo più litorali sabbiosi o ghiaiosi, i cui cambiamenti sono analizzati nel “Rapporto sul dissesto idrogeologico in Italia”.
Secondo i dati ISPRA, negli ultimi decenni l’erosione ha provocato un forte restringimento delle spiagge. Tra il 1950 e il 2000, circa il 46% delle coste basse ha subito cambiamenti superiori a 25 metri, di cui 1.170 km (24%) per erosione, con perdita di superfici marino-costiere e picchi di arretramento di centinaia di metri, particolarmente evidenti e profondi in corrispondenza delle foci dei fiumi. Tra il 2000 e il 2007, il 37% dei litorali ha subito variazioni superiori a +/-5 metri, con i tratti di costa in erosione superiori a quelle in progradazione (19% rispetto a 18%).
Per far fronte a questo problema, negli anni, Regioni e Autorità di Bacino hanno elaborato ed emanato piani di protezione per le coste, iniziando con programmi che prevedevano solo interventi su aree di crisi e arrivando, in quasi tutte le Regioni costiere, ad elaborare piani propriamente detti che comprendono l’intera area costiera della regione e una programmazione organica di interventi di protezione. Sono stati realizzati numerosi interventi (opere di difesa, trasversali, longitudinali o radenti alla riva, oppure, nei casi in cui l’arretramento sia stato tale da erodere gran parte della spiaggia, più drastici, quali ad esempio il ripascimento artificiale) per mitigare localmente l’erosione costiera e per proteggere abitazioni e infrastrutture da mareggiate e inondazioni. Questi sforzi sembrano aver condotto ad una mitigazione del dissesto costiero confermata dall’esame dei cambiamenti nel periodo2007-2019 : il 75% delle coste protette sono in condizioni di stabilità (51%) o in progradazione (24%).
Al 2021, circa il 16% delle coste, pari a 1291 km, è protetto con opere di difesa costiera. Tali opere sono diffuse lungo tutti i settori costieri del Paese, in particolare dove centri urbani, infrastrutture stradali e ferroviarie e attività socio-economiche si sviluppano lungo la costa. Tra il 2007 e il 2019, sono state realizzate nuove opere di difesa a protezione di 180 km circa di costa (Indicatore Costa protetta, pubblicato nell’Annuario dei Dati Ambientali - edizione 2021 di ISPRA, sezione Coste della macro area Idrosfera).
In generale, nel periodo 2007-2019 i rilievi dello stato delle coste hanno fatto emergere una lieve tendenza ad una maggiore stabilità dei litorali (59,5% della costa bassa risulta stabile), una diminuzione dei tratti di costa in arretramento (17,9%) e un incremento dei litorali in avanzamento (19,7%).
Tabella 1 – Lunghezza (km) e percentuale della costa bassa stabile e che ha subito cambiamenti superiori a +/-25m tra il 1950 e il 2000 e di +/-5m nel periodo 2000-2007 e 2007-2019 su base nazionale – DATI ISPRA
A livello regionale (Tabella 2, Figura 1) emerge un quadro più eterogeneo. Le regioni caratterizzate da lunghi tratti di costa bassa rocciosa o ciottolosa, per loro natura più stabili e con tempi evolutivi più lunghi rispetto all’intervallo di osservazionedei cambiamenti di 5-10 anni scelto da ISPRA (Sardegna, Sicilia, Puglia, Toscana, Campania, Liguria, Friuli-Venezia Giulia) presentano complessivamente litorali con caratteristiche di maggiore stabilità. Invece, in quelle regioni caratterizzate da litorali prevalentemente bassi e sabbiosi (Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Abruzzo e Molise, la Basilicata ionica, il Lazio e la Calabria) predomina l’instabilità, nonostante i numerosi interventi per la stabilizzazione dei litorali.
Le regioni con il maggior numero di chilometri di costa in arretramento sono Calabria, Sicilia, Sardegna e Puglia, e in Sardegna, Puglia, Lazio, Campania e Basilicata la costa in erosione è superiore a quella in progradazione (per Sardegna e Basilicata in misura doppia rispetto ai litorali in sedimentazione), mentre per le restanti regioni i tratti di costa in arretramento sono inferiori a quelli in avanzamento.
Tabella 2 – Costa e variazioni nel periodo 2007-2019 su base regionale – DATI ISPRA
Figura 1 –“Costa regionale e percentuale delle variazioni nel periodo 2007-2019 per erosione e avanzamento”–elaborazione Amici della Terra su dati ISPRA
Conclusioni
Per affrontare il problema dell’erosione costiera sono necessari fondi e programmazioni che dovrebbero essere gestiti da un unico soggetto competente, a livello statale, sia per avere uniformità degli interventi, sia per fornire il sostegno economico necessario alla realizzazione di progetti idonei a garantire la salvaguardia delle aree costiere. In tal senso, l’assenza nel PNRR di un riferimento esplicito all’erosione costiera appare come una mancanza piuttosto grave.
Nonostante ciò, alcune regioni hanno richiesto finanziamento nell’ambito del PNRR, per sostenere i propri progetti di azione contro l’erosione costiera. La Toscana, ad esempio, ha presentato ad ottobre dello scorso anno una proposta tecnica di “Masterplan” (da finanziare anche tramite PNRR) che prevede, tra l’altro, numerosi interventi per tutelare la costa. In attesa dei fondi per mettere in atto tutti gli interventi previsti dal “Masterplan” la Regione ha intanto deciso, con l’approvazione a marzo del primo stralcio del Documento operativo per la Costa 2023, di procedere a realizzare proprio quelli che possono consentire di limitare gli effetti dell'erosione, stanziando oltre 3 milioni di euro destinati a 13 interventi.
L’adozione di azioni volte alla difesa dei tratti costieri interessati da fenomeni erosivi però è ulteriormente complessa. Infatti, necessita di un’analisi caso per caso delle caratteristiche fisiche dell’unità fisiografica in esame, della dinamica litoranea e il suo bilancio sedimentario e la definizione delle cause che mettono in crisi il tratto di litorale. Scegliere la tipologia e l’insieme di opere che siano compatibili con le analisi realizzate e valutarne gli effetti indotti, sia dal punto di vista dell’efficacia che delle possibili conseguenze ambientali indesiderate, richiede l’utilizzo di strumenti modellistici idonei a supportare la comparazione, la scelta finale e l’ottimizzazione dell’opera.
A tal proposito, recentemente, un team di ricercatori CNR, ENEA e Università di Cagliari e di Sassari ha sviluppato un modello per comprendere la circolazione marina, in particolare del Mediterraneo, e individuare le cause dell’erosione costiera e l’evoluzione delle spiagge, tra cui quella di Stintino in Sardegna. La particolarità del modello messo a punto sta nel fatto di combinare analisi del vento e del moto ondoso, indagini subacquee, sensoristica, interpretazioni di foto aeree, ma anche scansioni del fondale con prospezioni geofisiche (come Side Scan Sonar, Sub Bottom Profiler e Multi Beam) e implementazione di modelli numerici ad alta risoluzione. Il modello consente, oltre alla comprensione del comportamento degli stretti marini, lo studiodella circolazione dei sedimenti in condizioni di basse oscillazioni di marea dove il regime dei venti, mutevole per effetto dei cambiamenti climatici, è il primo responsabile delle dinamiche ambientali.
Bibliografia: