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2024-10-07 00:41

Il Paesaggio e le Strade, un Libro Speciale

RECENSIONE

di: 
Enzo Siviero*

Per i tipi di Baldini+Castoldi è uscito il libro del nostro amico Oreste Rutigliano che ci invita a considerare le strade storiche come monumenti del paesaggio italiano. La prefazione è di Sgarbi e la postfazione di Siviero. E’ alle emozioni di quest’ultimo, espressione dell’originale punto di vista di un costruttore di ponti, progettista rispettoso dei luoghi e della memoria, che abbiamo deciso di affidare la recensione dell’Astrolabio.

Se l‘800, dalla seconda metà in poi, è caratterizzato dall’avvento della ferrovia, il ‘900 sarà ricordato per l’impetuoso irrompere delle automobili e il XXI secolo per la spettacolare diffusione dei mezzi aerei e per l’incredibile sviluppo dell’Alta Velocità. La modernità prima e la contemporaneità oggi, rappresentano dunque il motore sociale per un cambio di paradigma della mobilità. È così che i trasporti di massa hanno integralmente modificato il nostro modo di vivere.

Tuttavia, a ben vedere, il paesaggio ha subito preoccupanti modificazioni tanto da snaturare gli ambiti della tradizione a partire dalle strade romane soprattutto in Italia. Certamente le distanze, ormai misurate in termini di tempi di percorrenza, hanno facilitato lo sviluppo economico, ma che dire della perdita di memoria di interi pezzi della nostra storia?

Oreste Rutigliano con questo suo pregevole volume, frutto di decenni di intenso lavoro e di infinita passione, ci riporta non tanto e non solo ad un irripetibile “Amarcord”, quanto alla consapevolezza del piacere dello sguardo non effimero di cui si sta malauguratamente perdendo la memoria. Oserei dire che si tratta di un viaggio nella stessa memoria.

Personalmente, lo ammetto, in questa lettura mi sono davvero emozionato. Richiamare alla mente e allo sguardo le Strade e i Ponti, i Cippi e i Muri, e le Opere di protezione idraulica, mi ha riportato indietro di 70 anni, forse addirittura di un secolo. Invero, sono tornato ai racconti epici di mio nonno Agostino, che negli anni ‘20 del secolo scorso, aveva costruito strade in Calabria e gallerie ferroviarie in Liguria. Un’epopea pionieristica i cui esiti sono ancora ben visibili nella loro straordinaria bellezza capace di esibire il “fare” colto e sobrio, sempre attento a non violare la natura dei luoghi. Una straordinaria sensibilità nell’inserimento dei manufatti nel luogo evocandone, se possibile il “genius loci”.

Non ci sono parole per descrivere tutto questo, perché le pietre parlano e ci raccontano il loro rivivere come opera dell’Uomo per l’Uomo. Basta immergersi nei luoghi, saperli ascoltare, annusare, assaggiare, toccare con mano ciò che l’Uomo ha saputo fare nei secoli e nei millenni con la sua sapienza costruttiva. Quella, per intenderci che si trova ormai sepolta, o quantomeno negletta, nei vecchi manuali che invece avrebbero ancora tanto da insegnare.

Ma non basta. Il racconto dell’autore si fa storia e cronaca, suggestione ed emozione allorché ci riporta agli antichi percorsi stradali ormai abbandonati. Le antiche vie consolari svettano per una loro bellezza intrinseca di un passato assai glorioso a fronte di un presente che di certo non ci fa onore. Basterebbe guardarci attorno e mettere a confronto le nuove “porte delle città” con quelle non troppo lontane nel tempo, che caratterizzavano gli accessi. Un disorientamento pervade il nostro sentire. L’omologazione delle infinite tangenziali che segnano una contemporaneità senza anima né identità. Possibile che si sia arrivati a tanto sfregio del nostro habitat paesaggistico e perciò stesso culturale? Ci si chiede se è questa l’Italia che ci meritiamo. Nell’indifferenza pressoché generalizzata, anche nel campo delle strade abbiamo perso la nostra italianità. Come spesso amo ripetere, sempre meno “italiani” e sempre più “italioti”.

Il nostro autore ce ne offre una testimonianza continua, anche negli esiti progettuali assai discutibili soprattutto in prossimità di strade storiche considerate un “residuo” di nessun valore! Ecco la necessità di un vincolo intelligente. Al pari di altri monumenti, di rilevanti complessi storici, di borghi medievali che fanno parte della nostra cultura, anche le Strade e i Ponti vanno annoverati come Patrimonio Culturale da preservare e valorizzare. In tal senso si auspica una decisa presa di posizione ufficiale da parte dei vari ministeri preposti.

Ma queste pagine, che si leggono con grande interesse, sorprendono anche per un aspetto per nulla marginale. Esse richiamano alla memoria ricordi del passato per chi, come me e lo stesso autore, ha avuto l’opportunità di vivere gli anni del secondo dopoguerra. Ma non può non destare curiosità anche nei più giovani che, possono così ritrovare lo spirito dei genitori e dei nonni. Pertanto, penso che il valore di queste pagine e delle splendide immagini di corredo vada ben al di là della mera documentazione. Esse toccano il cuore, l’anima e lo spirito del nostro passato.

Io stesso ne sono rimasto colpito e affascinato, spingendomi all’esplorazione della mia personale memoria, ritrovandovi non pochi momenti felici. Tra tante, voglio qui citare alcune mie esperienze a partire dagli anni ‘50 allorché da fanciullo, con l’intera famiglia ci si metteva in viaggio da Padova a Firenze. Era la classica occasione di quando arrivava in casa l’auto nuova. Incontrare il cugino famoso Rodolfo Siviero (il “monument man” italiano). Raggiunta Bologna ci si inerpicava sul Passo della Futa con i suoi interminabili tornanti. Si aveva modo di spaziare nei paesaggi collinari con i saliscendi segnati dalla piacevole sinuosità del tracciato stradale. E ancora il Passo della Porretta per raggiungere Montecatini dove il nonno trascorreva le sue vacanze alle relative terme. E poi, il Passo della Cisa, passaggio obbligato per raggiungere La Spezia e le Cinqueterre per ritrovare le vecchie conoscenze risalenti agli anni ‘20, passando con il treno, per l’appunto, nella galleria tra Riomaggiore e Manarola. Un pezzo della mia famiglia era lì, tra quelle pietre ben tagliate per formare le splendide arcate dei relativi imbocchi.

A ben vedere, un presagio per il mio futuro professionale ed accademico ? I miei ricordi di allora li ho rivissuti appieno proprio grazie a questo libro. Anche da ciò la mia gratitudine all’autore. E ancora, nell’età dell’adolescenza, quei Passi li avrei lentamente ripercorsi assieme a mio fratello, anche lui di nome Agostino, entrambi con la Vespa, a non più di 50-60 km/h lasciandoci tutto il tempo per immergerci nel paesaggio circostante. Strade amene e dense di umanità dove intercettare le vecchie case cantoniere, i paracarri di pietra, i muretti di protezione, i ponti più o meno importanti, ma tutti rigorosamente ad arcate spesso multiple. Era un continuo meravigliarsi che ha lasciato tracce profonde nella nostra vita. Nel tempo avrei anche imparato che l’arco è la figura statica per eccellenza. Una doppia debolezza che diventa fortezza e che, straordinariamente, sembra non dormire mai... Quante volte l’avrei ripetuto ai miei studenti di Architettura allo IUAV di Venezia. E successivamente ripreso nelle mie conferenze sull’armonia dei ponti, anche commentando i miei stessi progetti.

E che dire delle soste per rifocillarci con il classico panino, salame e formaggio, il pane fresco ancora caldo e un ottimo bicchiere di vino rosso (la birra non era ancora così diffusa). Ricordi indelebili forse addirittura inebrianti per la loro genuinità. La stessa che traspare nelle pagine del nostro autore. Era, quella, l’epopea delle Mille Miglia e delle corse in salita che tanto ci attiravano. Di queste ho ancora qualche flash. La Stallavena Bosco Chiesanuova a Verona. La Treponti Castelnuovo a Padova a pochi chilometri da casa. I tornanti di Teolo sui Colli Euganei. Il rombare delle Abarth (ne avrei avuta una anch’io ... la 595...) e delle altre vetturette più o meno “truccate”. Di lì a poco tutto sarebbe finito perché la sicurezza del pubblico e degli stessi piloti non era sufficientemente garantita. Altri tempi, altra mentalità, altro modo di vivere, certamente meno vorticoso e per questo più genuino dove con poco ci si divertiva molto. Tuttavia, un paio di decenni dopo sarei ritornato in quegli stessi luoghi con la mia moto BMW. Una passione che ho coltivato da giovanissimo ma soddisfatta solo con la maturità, dopo i 30 anni e poi durata per oltre tre decenni.

E qui si innestano altri paesaggi, altre storie, altre emozioni. Il Passo dello Stelvio in primis! Una incredibile teoria di tornanti che mai sembrava aver fine. Meravigliosa e incredibile opera dell’Uomo. Stupendo il colpo d’occhio, guardando dal basso in alto e poi dall’alto al basso! Davvero straordinario! Nel tempo, avrei poi percorso quasi tutti i Passi delle Dolomiti, forse alla ricerca delle strade perdute? Non lo so, certo inconsapevolmente sentivo dentro di me il desidero incontenibile di appagare la sete di conoscenza assorbendo le suggestioni di quella trasformazione dei luoghi così armoniosa e ben inserita non solo nel paesaggio territoriale ma ancor più evidente nel paesaggio umano.

Più di recente, questa volta al Sud, altri momenti topici. Reduce da Favignana, per una splendida vacanza di Capodanno, ho percorso l’intera Sicilia all’interno, guidato da mia moglie di origine messinese. Un continuo riscoprire i tesori della natura, ancora pressoché incontaminati, solcati da vecchie strade capaci di segnare la cultura dei luoghi. Carrettiere trasformate in strade adagiate ai lembi delle montagne per raggiungere luoghi impervi dove la vita sembra essersi fermata per riflettere su sé stessa e ridare un senso alla nostra stessa esistenza. L’Etna, le Gole dell’Alcantara, i Peloritani... un continuo stupirsi per il come l’Uomo ha saputo dare ristoro alla sete del movimento senza con ciò compiere il sacrilegio della violenza iconoclasta di oggi. E poi, qualche anno dopo, a Caltavuturo, ospite di un carissimo amico di Palermo, mi sono ritrovato nel rally delle Madonie, memore della mitica Targa Florio. Le bellissime auto storiche erano ormai parte ineludibile delle strade storiche quasi a mimare i mobili antichi delle antiche dimore. La nostra storia che non può e non deve essere dimenticata dai giovani.

E ancora un miracolo! Sembrava impossibile ritrovare a Bova, in Calabria, la strada che il nonno aveva costruito negli anni ‘20. L’avevo sentita raccontare. L’avevo immaginata. L’avevo sognata. E ora la stavo percorrendo. Dalla costa jonica inerpicandomi sull’Aspromonte, mi beavo di quel paesaggio per me quasi famigliare. Ho visto ponti e ponticelli, cippi, muretti e paracarri. Forse gli ultimi ancora “in vita”. Ne sentivo la struggente mancanza anche nel rilevarne la solidità intrinseca, pur nello stato miserevole cui erano relegati per la mancanza di manutenzione. E mi sono chiesto il perché di tutto questo. Il Sindaco di Bova, saputo di questo mio interesse mi ha anche donato copia della documentazione progettuale reperita e che conservo gelosamente come un prezioso cimelio di famiglia.

Pochissimi mesi dopo, d’incanto, Oreste Rutigliano mi invia il manoscritto del suo bellissimo volume e qui si chiude la mia lunga parentesi personale. Con il piacere di trasmettere ai lettori questo mio sentire e condividere il perché si sente la necessità di non perdere nulla più di questo Patrimonio Culturale delle nostre Strade anzi, se possibile, riprendere le fila della storia e farne una testimonianza dell’essere per nuovi ineludibili sentieri della Conoscenza.

 

*Prof. Enzo Siviero - Bridge Builder 
Rector University eCAMPUS Novedrate Como Italy
Vice President SEWC (Structural Engineers World Congress) 
Deputy Secretary General EAMC (Engineering Association of Mediterranean Countries)