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2025-03-26 04:25

Non c’è più Spazio nello Spazio

SPAZZATURA COSMICA

di: 
Matteo Onori e Carlotta Basili

Le orbite attorno alla Terra sono ormai sature: nuove mega-costellazioni di satelliti, frammenti di collisioni, veicoli spaziali in disuso. Proliferano anche linee guida per salvaguardare il futuro dell’uomo nello spazio, ma ancora manca uno impegno globale e sistematico per la sua pulizia. Il lancio di ClearSpace-1 nel 2025 cambierà le cose o sarà già troppo tardi?

Fonte: The Denver Post.

Il lancio in orbita dello Sputnik 1, avvenuto il 4 ottobre 1957 da un cosmodromo situato nel cuore della RSS Kazaka, dava ufficialmente il via alla corsa allo spazio. Lo Sputnik era un satellite rudimentale che ebbe vita breve, rientrando e bruciando in atmosfera dopo appena tre mesi dal suo lancio. Eppure, quella prima esperienza sovietica perfettamente riuscita dal punto di vista tecnologico e della propaganda, tanto da suggestionare l’opinione pubblica mondiale e da allarmare i più diretti avversari – fra tutti gli USA - nel quadro geopolitico già complicato della guerra fredda, era destinata a cambiare per sempre il rapporto tra uomo e spazio, dando un impulso decisivo per il progresso scientifico nei decenni successivi.

Benché possa sembrare che lo spazio sia ancora oggi una distesa vuota e sconfinata, da quel giorno ormai lontano sono stati lanciati un totale di 14450 satelliti, 9610 dei quali sono ancora in orbita. Di questi, 6800 sono i satelliti attivi, i restanti sono guasti o spenti [1]. In altre parole, il nostro pianeta è circondato da satelliti artificiali, pensati per applicazioni civili o scientifiche, che hanno assunto un ruolo imprescindibile nell’ambito delle telecomunicazioni, del telerilevamento, della meteorologia e della navigazione satellitare. Un numero così elevato che le collisioni tra satelliti, e la conseguente creazione di detriti spaziali, sono divenute con il tempo fenomeni sempre più frequenti, ponendo il tema della loro sostenibilità ambientale a lungo termine.

I detriti spaziali, intesi come l’insieme di oggetti di origine antropica che sono in orbita pur non svolgendo alcuna funzione, rappresentano quindi un problema reale per l'ambiente vicino alla Terra e per il futuro dell’uomo nello spazio. Tanto più che il numero di satelliti lanciati in orbita è aumentato vertiginosamente negli ultimi anni ed è destinato a crescere ulteriormente nei prossimi.

Uno dei fattori che ha determinato l’inizio di questa nuova corsa allo spazio, che vede protagoniste non solamente le superpotenze mondiali, ma anche e soprattutto aziende private spesso in competizione tra loro, è stata la disponibilità di nuovi satelliti più affidabili, compatti ed economici. Non più quindi poche costellazioni, ma numerose “mega costellazioni”, ognuna delle quali formata da migliaia di piccoli satelliti commerciali con un peso inferiore a 1000 kg [2]. Affollano soprattutto l’orbita terrestre bassa, la low Earth orbit (LEO), ad altitudini inferiori ai 2000 km dalla Terra, dove un alto numero di satelliti è indispensabile per garantire una migliore e una costante copertura del globo. Una vicinanza che consente anche di ridurre il tempo che le informazioni impiegano per raggiungere i dispositivi che utilizziamo quotidianamente, con un conseguente miglioramento delle prestazioni.

Evoluzione del numero degli oggetti per tipologia di orbita.
Fonte: ESA’s Space Environment Report 2022.

È il caso della più famosa di queste mega costellazioni, Starlink, operata da SpaceX e cuore dell’ambizioso progetto dell’imprenditore Elon Mask per la fornitura di una connessione internet satellitare ad alta velocità e a bassa latenza anche nelle aree più remote della Terra, con l’obiettivo ultimo di annullare il digital divide. Dal 2015, anno dell’annuncio di Starlink, sono stati lanciati un totale di 3000 satelliti, a fronte di una costellazione prevista di 12000 satelliti che eventualmente può essere estesa fino ad un massimo di 42000 unità [3]. Non solo Starlink: anche il progetto Kuiper di Amazon, che potrà contare su una flotta di 3236 satelliti, avrà lo scopo di fornire una connessione internet su scala globale [4]. E poi ancora OneWeb e TeleSat, aziende che stanno pianificando o già hanno avviato il lancio in orbita bassa delle loro mega costellazioni di satelliti [5,6].

Evoluzione del numero di lanci in orbita terrestre bassa (LEO) per tipologia di finanziamento, tipologia missione e classi di massa dei satelliti.
Fonte: ESA’s Space Environment Report 2022. 

Con uno scenario del genere, che secondo le stime potrebbe vedere il numero dei satelliti in orbita crescere fino a 100 mila unità entro il 2030 [7], è possibile aspettarsi un effetto a cascata, dove alla moltiplicazione delle collisioni seguirebbe un aumento esponenziale dei detriti spaziali. Un punto di non ritorno già teorizzato nella sindrome di Kessler, dal nome dell’astrofisico statunitense che la postulò nel 1978, secondo cui la formazione di una cintura di detriti sempre più densa avrebbe presto reso impossibile il lancio in orbita di nuovi satelliti e compromesso l’integrità di quelli già operativi [8,9].

E diverse collisioni avvenute nel recente passato sembrano testimoniare proprio l’inizio di questo processo. Tra quelle notabili, c’è quella che nel 1996 ha coinvolto il satellite miniaturizzato Cerise, di fabbricazione francese, e un frammento proveniente dall’esplosione del razzo Ariane [10]. E poi la prima collisione tra due satelliti in orbita, avvenuta nel 2009, quando l’Iridium 33 si scontrò con il Kosmos 2251 causando la completa distruzione di entrambi [11,12]. Si ritiene che l’impatto abbia generato almeno 2300 frammenti, alcuni dei quali sono già rientrati e bruciati in atmosfera, con altri che sono invece destinati a rimanere in orbita ancora per molti anni.

Scenari simulati sul numero cumulativo di collisioni in LEOIADC
Fonte: ESA’s Space Environment Report 2022

Eppure, secondo l’ultimo rapporto ufficiale stilato dallo Space Debris Office dell’ESA, organo che coordina le attività di analisi e modellizzazione della spazzatura spaziale, le collisioni rappresentano solo in minima parte la causa della formazione di nuovi detriti [13]. Nonostante una sempre più sistematica applicazione di strategie di passivazione, un terzo delle 636 frammentazioni documentate dall’inizio dell’era spaziale è ancora da ricondursi a guasti ai sistemi propulsivi o elettrici dei satelliti. E questa percentuale schizza alle stelle se dal conteggio si escludono tutti quegli episodi la cui natura è incerta. In sostanza, questo vuol dire che la gran parte dei detriti si è formata come diretta conseguenza del riuso di tecnologie e pratiche che già nelle missioni passate hanno dato problemi. È però chiaro come questi trend siano ormai destinati ad invertirsi, anche grazie alla progettazione di componenti più sicure e all’applicazione delle misure di mitigazione da una parte, ad un numero sempre maggiore di satelliti lanciati in orbita dall’altra.

Numero di eventi di frammentazione per tipologia.
Fonte: ESA’s Space Environment Report 2022.

Qualsiasi siano le ragioni che portano alla loro formazione, lo spazio è oggi saturo di detriti di tutti i tipi e dimensioni. Viti, bulloni e pezzi di lamiera, stadi di razzi, satelliti non più attivi, particelle di carburante, frammenti di vernice, di batterie, di pannelli solari o di serbatoi. Perfino attrezzatura perduta durante missioni spaziali, come il celebre guanto di Edward White o la macchina fotografica smarrita da Michael Collins. Episodi curiosi quanto pericolosi. Infatti, per mantenersi in orbita bassa, tutti gli oggetti spaziali viaggiano a circa 28 mila km/h, una velocità tale che una qualsiasi collisione, anche quella con un frammento di pochi centimetri, può avere effetti disastrosi. Sui satelliti, ma anche sulle persone. Ad esempio, sugli astronauti impegnati in attività extra-veicolari (EVA) nella stazione spaziale internazionale (ISS), che non raramente è costretta ad eseguire manovre di evasione per mettersi al riparo dal “traffico” dei detriti spaziali. L’ultima di queste manovre, chiamate Pre-Determined Debris Avoidance Maneuver (PDAM), ha allontanato la ISS dalla traiettoria di un frammento del Cosmos 1408, un vecchio satellite sovietico che nel 2021 era stato il bersaglio di un test missilistico dell’agenzia spaziale russa [14]. Ma non solo. Gli oggetti di dimensioni maggiori, come i vecchi satelliti o come gli stadi dei razzi utilizzati per lanciare in orbita nuovi satelliti, rappresentano un rischio nel caso di rientri incontrollati. Essi possono infatti sopravvivere all’attrito con l’atmosfera conservando una buona parte della loro massa iniziale, causando danni agli oggetti e alle persone quando giungono a terra [15].

Distribuzione dei detriti spaziali intorno alla Terra
Fonte: European Space Agency (ESA)

Ma quanti sono i detriti spaziali? Benché solo una minima parte sia regolarmente monitorata, nello spazio potrebbero esserci oggi 36500 detriti più grandi di 10 cm, 1000000 con una dimensione compresa tra 1 cm e 10 cm e più di 130 milioni di detriti tra 1 mm to 1 cm di grandezza [1].

Compito dei sistemi di sorveglianza e tracciamento (Space Surveillance and Tracking Systems) è quello di individuarli, catalogarli e monitorarli, nonché di studiarne e prevederne le orbite. Esempi sono lo Space Surveillance Network statunitense, il russo OKNO e lo EUSST, il sistema dell’Unione Europea a cui l’Italia aderisce dal 2015 con un’azione congiunta di ASI, INAF e Ministero della Difesa [16]. Processano le informazioni raccolte a terra da sensori come radar, telescopi ottici e stazioni di telerilevamento laser con l’obiettivo di aggiornare il catalogo esistente degli oggetti in orbita, prevedere potenziali collisioni e localizzare nuovi episodi di frammentazione. In ultima battuta, questi sistemi aiutano anche nella determinazione della durata dell’orbita degli oggetti nello spazio, nonché della data e della traiettoria di un loro eventuale rientro in atmosfera [17]. Una rete di monitoraggio che a livello globale traccia regolarmente più di 32000 frammenti di vario genere e dimensione, consentendo agli scienziati di eseguire per tempo le cosiddette manovre di Collision Avoidance, attraverso le quali i satelliti vengono momentaneamente spostati su orbite differenti per evitare potenziali collisioni con i detriti spaziali [18].

Radar del programma ESA Space Situational Awareness (SSA). (Santorcaz, Spagna)
Fonte: European Space Agency (ESA)

Lo sforzo messo in campo dai vari sistemi di sorveglianza e tracciamento risulta però insufficiente se si punta alla sostenibilità a lungo termine dell’ambiente spaziale. Un numero sempre maggiore di detriti affolla le orbite terrestri, da quelle più basse a quelle più alte, con migliaia di nuovi frammenti e collisioni che non sempre la tecnologia è in grado di individuare. È proprio con l’obiettivo di affrontare il problema dei detriti spaziali che vari enti ed agenzie governative sparse sul globo stanno cercando di stabilire e adottare misure efficaci di mitigazione. A questo scopo è stata fondata nel 1993 l’Inter-Agency Space Debris Coordination Committee, un Forum internazionale a cui aderiscono le principali agenzie spaziali di tutto il mondo [19]. Lo IADC, di cui anche l’ASI fa parte, è composto da uno Steering Group e da quattro Working Groups che coprono le aree di measurements, per il coordinamento tra le infrastrutture necessarie al monitoraggio dei detriti spaziali; environment and database, nel quale l’ambiente spaziale viene valutato anche in funzione delle azioni di mitigazione intraprese; protection, che lavora sui temi più critici relativi alla protezione dei satelliti dagli impatti con meteoriti e detriti spaziali. Il lavoro del mitigation, quarto dei gruppi di lavoro dello IADC, ha portato all’elaborazione di un documento che raccoglie un ventaglio di linee guida e di azioni ritenute necessarie per minimizzare la proliferazione dei detriti nello spazio. Lo Space Debris Mitigation Guidelines, stilato in una sua prima versione nel 2002, è destinato a tutte le organizzazioni o imprese che stanno pianificando missioni nello spazio o che già vi operano [20]. La prima misura indicata dal documento prevede la limitazione dei detriti spaziali, un obiettivo raggiungibile solo con una migliore progettazione dei satelliti e dei razzi che saranno lanciati in orbita. La seconda di queste misure è sulla riduzione delle rotture o delle esplosioni, soprattutto di quelle causate da fonti di energia residue, rimaste a bordo degli apparecchi anche dopo il completamento della loro missione. Queste, come visto, rappresentano ancora oggi la causa principale della generazione di detriti. In questo senso il documento consiglia di attuare la passivazione dei veicoli, un insieme di procedure che comprendono il venting o la combustione del propellente in eccesso e la scarica delle batterie [21]. Sono inoltre da evitare quelle tecnologie che in passato hanno già causato malfunzionamenti o che potrebbero causarne di nuovi; da evitare così come tutte quelle azioni di distruzione intenzionale di satelliti o stadi, se non condotte ad altitudini sufficientemente basse, laddove gli eventuali detriti durerebbero poco. Il tema dello smaltimento di satelliti e delle apparecchiature in disuso alla fine del loro ciclo vitale viene invece affrontato nella terza misura proposta nel documento. Per i veicoli spaziali in orbita geostazionaria (GEO), un’orbita situata a ben 35790 km dalla Terra, il rientro controllato in atmosfera è impraticabile. Li aspetta invece un’orbita cimitero, situata a circa 300 km di distanza dal loro usuale tragitto, dove non possono interferire con le attività dei satelliti ancora attivi. Per tutti i veicoli in orbita bassa, invece, dovrebbe essere predisposto un rientro controllato, con una valutazione preventiva dei rischi sugli oggetti e sulle persone a terra, ma anche sugli eventuali rischi ambientali dovuti alla presenza di sostante tossiche o radioattive. In alternativa, vale la “regola dei 25 anni”, il tempo massimo concesso ai satelliti in orbita bassa per rientrare in atmosfera al termine delle loro operazioni. Una serie di misure che in parte ricalca quelle previste dalla Federal Communications Commission (FCC) statunitense, responsabile della stesura delle Orbital Debris Mitigation Standard Practices [22], e per cui è imposta una percentuale di successo pari almeno al 90%, il limite minimo per provare a contenere una volta per tutte il proliferare dei detriti spaziali. E alle quali si aggiungono quelle definite dalla Commissione delle Nazioni Unite sull'uso pacifico dello spazio extra-atmosferico (COPUOS) [23].

Nel mondo della corsa allo spazio si sta già facendo qualcosa per venire incontro a queste misure, con percentuali sempre maggiori di satelliti, specialmente di quelli più piccoli, che aderiscono o aderiranno alle linee guida indicate dallo IADC. Pratiche virtuose che coinvolgono tanto i satelliti quanto i razzi, per cui negli ultimi anni sono stati predisposti rientri controllati in atmosfera con una frequenza mai ravvisata prima [13]. A queste si sommano iniziative per l’adozione di un approccio eco-friendly durante tutte le fasi di una missione spaziale, dalla progettazione dei veicoli al loro rientro in atmosfera. È il caso, ad esempio, del Clean Space, programma dell’ESA per un’industria europea dello spazio sempre più sostenibile [24].

Un risultato non da poco, benché ancora insufficiente, se si considerano le logiche prettamente imprenditoriali che muovono i nuovi protagonisti dello spazio. Progressi importanti che però sembrano voler mettere al sicuro soprattutto la fattibilità delle nuove missioni spaziali. E niente più di questo è lontano dalla sostenibilità di un ambiente, quello spaziale, per cui invece non si intravede ancora alcuna vera azione di pulizia su scala globale. Molte le possibili soluzioni ipotizzate finora. Tra queste l’idea di utilizzare satelliti con braccia robotiche per recuperare resti in disuso, oppure quella di direzionare raggi laser sui detriti per fargli cambiare traiettoria e costringerli al rientro in atmosfera [25]. Di iniziative concrete, al momento, ce ne sono poche, e tutte ancora in una fase embrionale. Il conto alla rovescia è partito per la missione ClearSpace-1, che prenderà il via nel 2025 con l’obiettivo di recuperare il cosiddetto VESPA, un adattatore di 100 kg parte di un razzo Vega lanciato dall’ESA nel 2013 [26]. Un progetto analogo è quello finanziato recentemente dall’agenzia spaziale del Regno Unito, che ha affidato ad Astroscale il compito di rimuovere dallo spazio due satelliti inattivi [27]

Ricostruzione delle manovre di recupero di ClearSpace-1
Fonte: European Space Agency (ESA), ClearSpace.

Missioni per ora solo dimostrative, con la speranza che facciano da apripista a nuove iniziative di pulizia dello spazio e che diano un impulso per la ricerca tecnologica verso l’individuazione di soluzioni più sicure, economiche e veloci. È iniziata una nuova corsa allo spazio che sta modificando radicalmente l’ambiente attorno alla Terra. La NASA afferma che se una percentuale di veicoli spaziali inferiore al 99% non deorbiterà a fine missione, allora non sarà possibile arrestare la proliferazione dei detriti [28]. Un traguardo che ad oggi sembra irraggiungibile. Se il nostro approccio non cambierà rapidamente, la profezia di Kessler potrebbe avverarsi molto presto. Se si vuole essere Amici della Terra, bisogna essere anche amici dello spazio.

 

Bibliografia

[1] https://www.esa.int/Space_Safety/Space_Debris/Space_debris_by_the_numbers

[2] https://www.esa.int/Enabling_Support/Space_Engineering_Technology/Techno...

[3] https://www.spacex.com/

[4] https://www.amazon.jobs/it/teams/projectkuiper

[5] https://www.telesat.com/leo-satellites/

[6] https://airbusonewebsatellites.com/

[7] https://astronomy.com/news/2021/06/the-future-of-satellites-lies-in-gian...

[8] Kessler, D. J., Cour-Palais, B. G., 1978. Collision Frequency of Artificial Satellites: The Creation of a Debris Belt. Journal of Geophysical Research: Space Physics, 83, pp. 2637-2646.

[9] Kessler D. J. et al., 2010. The Kessler Syndrome: Implications to Future Space Operations. Advances in the Astronautical Sciences, 137.

[10] Alby, F., Lansard, E., Michal, T., 1997. Collision of Cerise with Space Debris, Proceedings of the Second European Conference on Space Debris, ESA SP-393, pp. 589–596.

[11] Kelso, T. S., 2009. Analysis of the Iridium 33 and Cosmos 2251 Collision, Advanced Maui Optical and Space Surveillance Conference.

[12] Wang, T., 2010, Analysis of Debris from the Collision of the Cosmos 2251 and the Iridium 33 Satellites. Science & Global Security, 18, pp. 87-118.

[13] ESA Space Debris Office, 2022. ESA's Annual Space Environment Report. Available at: https://www.sdo.esoc.esa.int/environment_report/Space_Environment_Report...

[14] https://blogs.nasa.gov/spacestation/2022/10/24/space-station-maneuvers-to-avoid-orbital-debris/

[15] Byers, M., Wright, E., Boley, A. et al., 2022. Unnecessary risks created by uncontrolled rocket reentries. Nature Astronomy, 6, pp. 1093–1097.

[16] https://www.eusst.eu/

[17] https://www.esa.int/Space_Safety/Space_Surveillance_and_Tracking_-_SST_S...

[18] https://www.esa.int/Space_Safety/Space_Debris/Automating_collision_avoid...

[19] https://www.iadc-home.org/

[20] Inter-Agency Space Debris Coordination Committee. Space Debris Mitigation Guidelines, IADC-02-01, Revision 2, 2020. Available at: https://orbitaldebris.jsc.nasa.gov/library/iadc-space-debris-guidelines-...

[21] https://www.esa.int/Space_Safety/Clean_Space/Sending_a_satellite_safely_...

[22] U.S. Government Orbital Debris Mitigation Standard Practices, November 2019 Update. Available at: https://orbitaldebris.jsc.nasa.gov/library/usg_orbital_debris_mitigation...

[23] United Nations. Guidelines for the long-term sustainability of outer space activities (A/AC.105/C.1/L.366), 2019. Available at: https://www.unoosa.org/res/oosadoc/data/documents/2018/aac_1052018crp/aa...

[24] https://blogs.esa.int/cleanspace/

[25] Eckel, H-A., Göge, D., Zimper, D., 2016. Laser-Based Space Debris Removal: An Approach for Protecting the Critical Infrastructure Space. Joint Air Power Competence Centre Journal 22. Available at: https://elib.dlr.de/105165/1/Laser-Based%20Space%20Debris%20Removal.pdf

[26] https://clearspace.today/

[27] https://astroscale.com/missions/elsa-d/

[28] J.-C. Liou, J. et al., 2018. NASA ODPO’s Large Constellation Study”, Orbital Debris Quarterly News, 22 (3), pp. 4-7.

 

 

Altri riferimenti

B. Bastida Virgili, B. et al., 2016. Risk to space sustainability from large constellations of satellites, Acta Astronautica, 126, pp.154-162.

Boley, A., Byers, M., 2021. Satellite mega-constellations create risks in Low Earth Orbit, the atmosphere and on Earth. Scientific Reports. 11. 10642. 10.1038/s41598-021-89909-7.

Béal, S., Deschamps, M., Moulin, H., 2020, Taxing congestion of the space commons. Acta Astronautica, 177, pp. 313-319.

Bonnal, C., Ruault, J.-M., Desjean, M.-C., 2013. Active debris removal: recent progress and current trends, Acta Astronautica, 85, pp- 51-60.

Bradley, A. M., L. M. Wein, L. M., 2009. Space debris: Assessing risk and responsibility, Advances in Space Research, 43, Issue 9, pp. 1372-1390.

Priyant, M., Surekha, K., 2019. Review of Active Space Debris Removal Methods. Space Policy. 47, pp. 194-206.

Radtke, J., Kebschull, C., Stoll, E., 2017. Interactions of the space debris environment with mega constellations—Using the example of the OneWeb constellation. Acta Astronautica, 131, pp. 55-68.

Undseth, M., Jolly, C., Olivari, M., 2020. Space sustainability: The economics of space debris in perspective", OECD Science, Technology and Industry Policy Papers, 87, OECD Publishing, Paris.

United Nations. Convention on International Liability for Damage Caused by Space Objects, 1972.

United Nations. Convention on Registration of Objects Launched into Outer Space, 1974

https://sorvegliatispaziali.inaf.it/rifiuti-spaziali/

https://www.ucsusa.org/resources/satellite-database

ESA’s Space Debris User Portal. Available at:  https://sdup.esoc.esa.int/

Visualizzatore in real time delle costellazioni Starlink e OneWeb: https://satellitemap.space/

https://www.esa.int/Space_Safety/Clean_Space/ESA_commissions_world_s_first_space_debris_removal

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