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2025-01-25 16:55

E Quindi Uscimmo a Riveder le Stelle

INQUINAMENTO LUMINOSO E RISPARMIO ENERGETICO

di: 
Carlotta Basili

La crisi energetica ha dato nuova risonanza all’idea di risparmiare sull’illuminazione pubblica, un’idea che viene ciclicamente riproposta ma che mai è stata attuata. Affievolire le luci cittadine suscita sempre forti e rumorose polemiche sulla sicurezza. Del tutto ignorato, invece, rimane il fenomeno dell’inquinamento luminoso di cui l’illuminazione pubblica è la maggiore responsabile e che, ora, potrebbe essere finalmente contenuto.

Il 6 settembre il Ministero della Transizione Ecologica ha reso noto il Piano nazionale di contenimento dei consumi di gas naturale che prevede misure, in parte già avviate, per la diversificazione della provenienza del gas importato e delle fonti energetiche, per il contenimento dei consumi nel settore riscaldamento e per l’avvio di una campagna pubblicitaria che promuova tra i cittadini l’uso efficiente dell’energia.

Il Piano, così come altre misure adottate a livello locale già dal mese scorso, è la risposta italiana alle indicazioni definite nel Regolamento (UE) 2022/1369 adottato il 5 agosto per aumentare la sicurezza dell'approvvigionamento energetico dell'Unione e per prepararsi a eventuali interruzioni delle forniture di gas dalla Russia.

Una delle voci di spesa sulle quali i Municipi potrebbero intervenire è quella dell'illuminazione pubblica, dallo spegnimento dell'illuminazione di monumenti, negozi e insegne luminose alla riduzione dell’illuminazione stradale.

 

L’inquinamento luminoso

Questa misura, presa in considerazione adesso per l’esigenza del risparmio, consente anche di intervenire su un tema mai preso seriamente in considerazione dalle istituzioni che è quello dell’inquinamento luminoso. Infatti, oltre ad essere un costo (e spesso uno spreco) in termini economici ed energetici per i Comuni, l’illuminazione pubblica è la prima responsabile del fenomeno, definito come “qualunque alterazione della quantità naturale di luce presente di notte nell’ambiente esterno e dovuta ad immissione di luce di cui l’uomo abbia responsabilità”.

L’inquinamento luminoso ha numerosi effetti negativi.  Basta guardare le immagini satellitari notturne del nostro Paese per comprendere il più evidente tra questi effetti, ossia l’eccesso di luminosità del cielo notturno che impedisce, soprattutto nelle aree abitate, la visione delle stelle e degli altri corpi celesti, isolandoci e alterando il rapporto con l’ambiente che ci circonda.

Foto Nasa - Stazione spaziale internazionale - 04/07/2022

Fauna e flora risentono fortemente di questo fenomeno che causa un’alterazione dei ritmi e dei cicli naturali (alterazioni ai processi fotosintetici e al fotoperiodismo, alterazione delle abitudini di vita e di caccia, disturbi alla riproduzione ed alle migrazioni) e anche l’uomo subisce danni, dall’alterazione dei ritmi circadiani, a possibili danni ai tessuti degli occhi.

 

La storia dei provvedimenti

L’idea di lavorare sull’illuminazione pubblica per agire sia sul fronte dello spreco energetico che su quello dell’inquinamento luminoso viene proposta -e abbandonata- in Italia da anni. Già nel 2012 il governo Monti approvò una legge di stabilità che includeva l’operazione “cieli bui”, ossia una serie di misure per razionalizzare e modernizzare l’illuminazione pubblica, tra cui anche l’eventuale spegnimento o affievolimento nelle ore notturne.

L’iniziativa nasceva dalla proposta dell’Associazione “CieloBuio”, che opera dal 1997 per la salvaguardia del cielo notturno promuovendo campagne di sensibilizzazione sul tema dell’inquinamento luminoso, e puntava a far risparmiare agli enti locali fino a un miliardo di euro limitando l'illuminazione.

L’operazione venne bocciata in Parlamento, dalla Commissione Ambiente della Camera. Il provvedimento era stato infatti criticato da partiti, associazioni di categoria e, soprattutto, amministratori pubblici che lamentavano le possibili implicazioni in termini di perdita di sicurezza legate allo spegnimento dell’illuminazione pubblica.

L’idea venne ripresa e rilanciata nel 2014 dal professor Carlo Cottarelli che, ai tempi dell'incarico come Commissario alla revisione della spesa con i governi Letta e Renzi, nelle sue “Proposte per una revisione della spesa pubblica”, elencò i risparmi ottenibili in termini di consumo e di spesa pubblica derivanti dallo spegnimento delle luci non necessarie. Cottarelli stimava risparmi per un totale di circa 300 milioni di euro in tre anni attraverso la combinazione della riduzione dell’illuminazione pubblica e investimenti in efficienza energetica, misure già adottate in altri Paesi europei che infatti presentavano consumi e costi per l’illuminazione pubblica nettamente inferiori a quelli italiani. Per rispondere al problema della sicurezza sollevato da molti, Cottarelli spiegò che non era necessario spegnere le luci urbane, ma che si poteva ottenere un notevole risparmio (fino a un miliardo per anno) sostituendo i punti luce che disperdono la luce verso l'alto, eliminando l'illuminazione eccessiva, utilizzando tecnologie LED (Light Emitting Diodes) a risparmio energetico e riducendo l'illuminazione di strade a scorrimento veloce, di aree ad uso industriale o artigianale e di zone urbanizzate non edificate. Anche in questo caso però l’idea venne abbandonata, probabilmente perché ritenuta troppo impegnativa in termini di investimenti iniziali e perché le critiche sulla sicurezza ebbero nuovamente la meglio.

Nel 2018, la Direzione Clima ed Energia dell’allora Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare definì i criteri ambientali minimi (CAM) che, ai sensi del D.Lgs. 50/20162, le Amministrazioni pubbliche debbono utilizzare nell’ambito delle procedure per l’affidamento del servizio di illuminazione pubblica[1]. Questo provvedimento però, come è stato evidenziato dallo stesso Cottarelli in un report[2] dell’Osservatorio Conti Pubblici Italiani (CPI), presenta diversi limiti. Infatti, non solo non prevede obblighi per i Comuni a raggiungere obiettivi di consumo più in linea con la media europea, ma i criteri favoriscono l’impiego di led bianchi a 4000K che sono sì efficienti, ma eccessivamente inquinanti rispetto ad altre tecnologie disponibili sul mercato. I LED bianchi sono infatti associati a un maggior inquinamento luminoso dato che emettono un’elevata quantità di luce blu che si diffonde maggiormente nell’atmosfera ed ha un importante impatto sulla salute umana e animale. Le sorgenti a LED calde, massimo 3000K, pur mantenendo un’efficienza quasi analoga, hanno invece una superiore qualità della luce ed eco-sostenibilità.

Fonte: NASA - Earth at Night (2016)

I costi dell’illuminazione pubblica

Secondo i dati di un nuovo report[3] dell'Osservatorio CPI, in Italia l’energia elettrica richiesta per l’illuminazione pubblica è pari a circa 6.000 GWh, ovvero circa il 10% dei consumi di elettricità complessivi per i servizi terziari. Inoltre, nel nostro Paese il consumo e la spesa di energia elettrica pro-capite per l'illuminazione pubblica sono largamente superiori rispetto agli altri paesi europei.

La ragione principale di questi valori elevati è l’elevato numero di punti luce e potenza installato che, rispetto ad assetti con numero di impianti adeguato all’esigenza, comporta costi maggiori non solo per consumo di energia, ma anche per realizzazione e manutenzione.

La soluzione adottata nell’ultimo decennio da circa il 60% dei Comuni per ridurre consumi e costi dell’illuminazione pubblica è stata la sostituzione degli impianti con luce al sodio con impianti a LED più efficienti in quanto sono in grado di convertire oltre il 50 per cento in più di potenza elettrica (watt) in luce (lumen) rispetto alle lampade al sodio.

Ma la diffusione di LED ha portato a risultati inferiori al previsto per almeno due ragioni: primo, la maggior parte dell’efficienza delle sorgenti a LED è data dal loro potenziale uso adattivo, ossia la possibilità di diminuire il flusso quanto e come si vuole, utilizzo non ancora diffuso in Italia (nonostante il nostro Paese sia all’avanguardia in questa tecnologia), secondo, il minor costo dei LED ha spinto gli amministratori all’installazione di nuovi punti luce e quindi ad un maggior consumo.

 

Strade buie e criminalità

Con l’aumento del costo dell'energia elettrica, il tema è tornato all’attenzione pubblica negli ultimi mesi e si è riacceso il dibattito tra sostenitori e detrattori dello spegnimento o affievolimento dell’illuminazione pubblica.

Belluno è stato tra i primi Comuni ad attuare un incisivo piano di risparmio in tal senso: infatti le luci pubbliche vengono completamente spente dalle 2:30 alle 5:00. Dopo questa iniziativa, molte associazioni come Codacons e Asaps si sono pronunciate contro la misura, denunciando, come in passato, i pericoli che la riduzione dell'illuminazione nei centri abitati nelle ore notturne potrebbe comportare per la sicurezza dei cittadini e del traffico veicolare, trovando nell’opinione pubblica molti sostenitori.

Ma l’idea che una maggiore illuminazione sia garante di maggiore sicurezza e deterrente per la criminalità, non è condivisa da tutti. Secondo l’Associazione “Cielo Buio” infatti la sicurezza aumenterebbe non con più illuminazione ma piuttosto con l’eliminazione di quei fenomeni di abbagliamento e distrazione dovuti, ad esempio, a proiettori mal orientati. Anche in un comunicato stampa del marzo scorso l’Associazione affermava che, stando agli studi più completi e recenti[4], la sicurezza stradale e contro i crimini, non cambia né riducendo i livelli di illuminazione, né spegnendo nelle ore centrali della notte, e nemmeno spegnendo per tutta la notte l’illuminazione stradale, ma che anzi ci siano possibili evidenze che luce troppo intensa comprometta la sicurezza.

Se dal punto di vista del risparmio energetico il tema torna nel dibattito quotidiano sembra invece sempre in sordina l’effetto inquinante delle luci notturne. Lo dimostra il fatto che, ad oggi, non esiste una legge a livello nazionale che regoli il fenomeno dell’inquinamento luminoso.

La norma più significativa è la cosiddetta UNI 10819, aggiornata nel 2021, che prescrive i metodi di calcolo e verifica per la valutazione del flusso luminoso disperso verso l’alto dalle fonti di luce artificiale dei sistemi di illuminazione nelle aree esterne. L’aggiornamento della norma, la cui versione precedente, risalente al 1999, era incompleta e in molti casi superata dalle leggi regionali, ha introdotto importanti novità nella valutazione dell’inquinamento luminoso.  

Un passo in avanti quindi per contrastare questo fenomeno e magari aumentare la consapevolezza dei suoi effetti negativi tra l’opinione pubblica. Combattere l’inquinamento luminoso significa modernizzare e riqualificare impianti obsoleti ed energivori, garantendo quindi anche risparmi in termini economici ed energetici. Non solo, impianti moderni significano anche un miglioramento del servizio di illuminazione pubblica in termini di sicurezza per la circolazione e per i cittadini.

L’illuminazione pubblica potrebbe essere un tassello importante per la transizione energetica, in questo momento storico in cui l’incertezza degli approvvigionamenti e gli obiettivi europei di decarbonizzazione richiedono soluzioni realistiche da applicare fin da subito, a partire dall’eliminazione degli sprechi di risorse ed energie che, se fino a poco fa erano insostenibili, adesso sono inaccettabili.

 

NOTE


[2] “Illuminazione pubblica: spendiamo troppo” a cura di Carlo Cottarelli, Carlo Valdes, Diego Bonata, Fabio Falchi e Riccardo Furgoni – maggio 2018

[3] “LED: una soluzione per l’illuminazione pubblica in Italia?” a cura di Diego Bonata, Fabio Falchi, Luca Favero, Emma Rosenfeld, Alejandro Sanchez – giugno 2022

[4] Steinbach R, Perkins C, Tompson L, et al.; “The effect of reduced street lighting on road casualties and crime in England and Wales: controlled interrupted time series analysis”. J Epidemiol Community Health 2015; 69:1118-1124
Marchant P, Hale JD, Sadler JP, “Does changing to brighter road lighting improve road safety? Multilevel longitudinal analysis of road traffic collision frequency during the relighting of a UK city”. J Epidemiol Community Health 2020;74:467-472.