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2024-03-19 05:43

Con o Senza Fiamma: È Pur Sempre Combustione

GLI OSSICOMBUSTORI DI GRILLO

di: 
Francesco Capone*

L’autore, fra i più attivi animatori di Daje!, il comitato romano pro termovalorizzatore, spiega perchè l’ossicombustione, presentata da Beppe Grillo come la scoperta del secolo, non sia una tecnologia sufficientemente sperimentata ed efficiente, non sia ancora competitiva sul mercato impiantistico e non sia nemmeno una scoperta. Tuttavia, essa presenta un interessante risvolto politico perché costituisce un decisivo passo avanti nella comprensione del ciclo dei rifiuti da parte dei grillini.

La recente esternazione di Beppe Grillo sul suo blog con la quale ha promosso la tecnica dell’ossicombustione per il trattamento dei rifiuti solidi urbani segna una grande novità nel panorama dei “contrari a prescindere” alla termovalorizzazione. Questa parola, da sempre avversata dal mondo dei “no a qualcosa”, torna oggi prepotente a far capire il suo valore e la forza insita al suo significato. Termovalorizzare significa conferire valore a materia di scarto attraverso un trattamento termico grazie al quale si ricavi energia ed altra materia. Gli anglofoni, del resto, meravigliosamente definiscono il termovalorizzatore come un impianto “waste to energy”.

Orbene, sentire da chi ha detto che i rifiuti erano riciclabili al 100% e parlava di un mondo immaginario dove la differenziazione, il riciclo ed il riuso erano gli unici metodi per una corretta gestione dei rifiuti, che oltre alle pratiche virtuose già indicate serve anche un impianto per la valorizzazione dei rifiuti funzionante ad ossicombustione è un bel passo avanti. È, in effetti, lo sdoganamento della termovalorizzazione da parte della fazione politica più avversa a tale soluzione.

L’ossicombustione - dove il protagonista è l’ossigeno, elemento fondamentale del processo - la gassificazione - dove è protagonista la mancanza di ossigeno - e la combustione con utilizzo dell’aria - dove la protagonista è l’aria che respiriamo - sono tutte tecniche, diverse, di una medesima procedura: la termovalorizzazione.

Benvenuto quindi Beppe Grillo nel mondo reale dove si comprende che, senza questa tecnica, l’unica alternativa è la vecchia, inquinante discarica.

Peccato però che questo ennesimo “cambio di fronte” del padre fondatore del principale movimento populista italiano (no TAP, sì TAP; no TAV, sì TAV; no qualcosa, sì qualcosa) sia stato servito, attraverso il suo blog, nella consueta maniera tipica di quella fazione: un orrendo mescolamento tra fake-news e verità. Si chiama “infodemia” ed è un neologismo (perché un mondo nuovo vuole parole nuove come, appunto, termovalorizzazione) che descrive proprio l’intasamento della pubblica opinione con tale mix di notizie, attraverso una diffusione artatamente organizzata per ingenerare, nelle persone che ascoltano, sostegno alla tesi che l’estensore vuole far passare.

Il più significativo esempio, in questo caso, è che Grillo non scrive - si dimentica? non pone attenzione? - al fatto che una tecnologia che lui sostiene da più di 15 anni è stata bocciata dalla Giunta Raggi nel 2019. A causa di quella proposta, un intero Consiglio di amministrazione di AMA ed un Assessore all’ambiente furono rimossi dalla Sindaca grillina. Ma andiamo con ordine.

Grillo non scrive mai il nome del procedimento. Lo lascia nel vago. Gli scarti vetrificati li producono sia i gassificatori che gli ossicombustori. Che si tratti di un ossicombustore lo capiamo dal fatto che solo quest’ultimo produce una CO2 di grande qualità che è possibile stivare con relativa facilità.

Perché tacere il nome della sua proposta? Forse perché il suo nome comprende la parola combustione?

Parla d’informatori. Ma chi sono questi informatori? Agenti segreti sguinzagliati per scoprire i lati oscuri della gestione dei rifiuti o che? Hanno una competenza, sono professori universitari o sedicenti professori come quel Montanari che parlava delle nano polveri che mutavano il DNA umano? Non lo dice. Le sue esternazioni, come sempre, non hanno neanche un fondamento scientifico di tipo divulgativo, sono asserzioni alle quali “devi” credere perché lo dice lui.

Afferma che: “…La Comunità Europea l’ha consacrata European BAT…” e questo è vero (anche se la “Comunità Europea” ha ormai lasciato il passo alla Unione Europea da qualche decina di anni). Ma tale consacrazione è fatta nello stesso documento che “consacra” come BAT il termovalorizzatore classico (Industrial Emissions Directive 2010/75/EU) e Beppe Grillo nemmeno fa cenno al fatto che l’impianto da lui sostenuto è presente in una direttiva che parla della famigerata “Waste Incineration”. Come al solito si tende a distorcere il compito d’indirizzo dell’Unione Europea attribuendo ad essa decisioni e norme che l’Unione non ha mai emesso o approvato.

Sui costi di costruzione poi e, specialmente di gestione, passiamo al comico. Ma questo è normale trattandosi di un comico che parla. Diffonde numeri senza spiegare come nascano questi numeri e sui costi di gestione sembra più un imbonitore venditore di pentole che il leader innovatore e pragmatico che spera di interpretare.

Per finire, la castroneria di una supposta possibilità di un “servizio distribuito”: tanti piccoli impianti (magari uno a Piazza Venezia?) al posto di un sito definito “infernale”.

Non voglio parlare della solita Copenaghen, parliamo dell’opera d’arte dell’impianto viennese o del moderno impianto bresciano, gradevoli anche alla vista e connotati da una caratteristica che accomuna tutti gli impianti che trattano rifiuti: per essere sostenibili devono essere abbastanza grandi perché trattano materiale di scarto che, come è intuitivo capire, deve essere tanto perché ha un valore altrimenti troppo basso per generare altro valore.

Ma, fatta questa critica ragionata sulle affermazioni di Beppe Grillo, adesso diciamo una cosa che sia ben chiara: la tecnologia di cui parla è una valida tecnologia di trattamento dei rifiuti, che gli esperti ambientali non rifiutano e sulla quale nutrono concrete speranze. Ma è una tecnologia sperimentale, una tecnologia che ha visto alterni successi, fatta di una storia che ha evidenziato problemi di gestione non indifferenti per gli elevati costi del trattamento che si ripercuotevano sulla tariffa di conferimento del rifiuto.

A Roma non possiamo permetterci esperimenti, non possiamo permetterci fallimenti (come ci ha insegnato il gassificatore di Malagrotta). A Roma possiamo usufruire di una tecnologia presente nello stesso documento che Grillo “non” cita che è una tecnologia che funziona e che non inquina. Quando, probabilmente tra 20 anni, avremo impianti ad ossicombustione sperimentati, funzionanti e proporzionati per le esigenze di Roma, essi potranno competere sul mercato impiantistico.

Per ora: benvenuto Beppe Grillo tra i sostenitori della termovalorizzazione e Daje! termovalorizzatore di Roma.

 

*Dirigente Azienda Ambientale

I leoni da tastiera di Twitter

Un signore che ha badato bene a non rivelarsi mi ha accusato su Twitter di essere un "sedicente" Dirigente Aziendale e di aver scritto un articolo che, nella sua testa e soltanto nella sua era stato smontato preventivamente da un Deputato dei 5 Stelle che aveva scritto un pezzo sul Blog del fatto Quotidiano insieme a Virginia Raggi.
Ho risposto punto per punto e mi sembra corretto riproporvi ciò che ho scritto:Premetto che quanto contenuto nell’articolo di Marco Bella, dal punto di vista scientifico e teorico e per quanto in riferimento al procedimento di ossicombustione non trova, da parte mia, alcuna obiezione. Di seguito riporto integralmente l’articolo dell’On. Bella al quale aggiungerò delle chiose, in rosso, per evidenziare il mio intento pragmatico e concreto e la profonda influenza ideologica che mina le conclusioni del Deputato e Ricercatore:
“Un recentissimo articolo sul blog di Beppe Grillo ha fornito uno spunto interessante su alternative moderne e sostenibili alla costruzione di un mega inceneritore per Roma. La chiusura del ciclo dei rifiuti è un tema di cui si dibatte molto, soprattutto quando, a causa del deficit impiantistico, i rifiuti rimangono in terra nelle città, sono visibili, maleodoranti e creano malcontento e disagi.
La soluzione proposta in modo prevalente è quella del “termovalorizzatore” (neologismo coniato anni fa per rendere più tollerabile il termine “inceneritore”)” che brucia i rifiuti ricavando, tuttavia, una minima percentuale di energia e produce anche ceneri e inquinanti volatili. Se l’intento dell’autore è quello di sostenere l’innovazione ed il progresso tale intento non può essere confinato soltanto alle tecnologie ma deve essere riferito anche alla lingua. Un neologismo, infatti, nasce quando la lingua corrente non può descrivere una cosa “nuova” che prima non esisteva e deve coniare una parola nuova. Ogni lingua, poi, trova il modo e la maniera per descrivere tale cosa. L’inglese, ad esempio, è una lingua sbrigativa, che utilizza in maniera massiccia acronimi e frasi idiomatiche, è una lingua molto concreta che non si preoccupa di utilizzare parole ritenendole “maledette” per definizione. È quindi normale che gli anglofoni continuino a definire i termovalorizzatori “inceniretor” ma è altrettanto normale che negli ambiti tecnico scientifici quelli che noi chiamiamo termovalorizzatori siano definiti “waste to energy plant”. Il neologismo non nasce per “rendere tollerabile” una parola “brutta” ma per descrivere qualcosa di nuovo. L’efficienza energetica di un termovalorizzatore, inoltre, sommando l’energia elettrica ed il calore prodotto arriva anche al 95%. Tale efficienza non può essere definita “una minima percentuale di energia”. Questo è falso.
Il processo di combustione è rimasto sostanzialmente immutato negli ultimi 30 mila anni. Si bruciano dei materiali trasformandoli in cenere, fumi, acqua e anidride carbonica che, come è noto, è un gas climalterante, ossia contribuisce all’effetto serra. La fiamma, che tutti conosciamo, ha diversi colori perché la combustione avviene a temperature diverse in punti diversi del combustibile e perché produce polveri sottili, visibili ad occhio nudo e alla temperatura di fiamma, insieme a una miriade di composti chimici. Tra questi ci sono le diossine, che non sono una sola molecola ma una classe di composti.
Oggi, tuttavia, a differenza di 30mila anni fa, la tecnologia fa passi da gigante e molti scienziati, chimici, fisici, ricercatori e aziende sperimentano soluzioni innovative che possano davvero chiudere il ciclo dei rifiuti. Tra queste, troviamo l’ossicombustione che può essere applicata in tanti campi inclusi i rifiuti (si veda ad esempio un articolo scientifico qui). In questo nuovo processo le sostanze non vengono “bruciate” nel senso in cui lo intendiamo. Per prima cosa, il processo di combustione non avviene in atmosfera di aria (come negli inceneritori) ma in presenza di solo ossigeno (prodotto nell’impianto), ad una pressione di 5-6 bar e ad una temperatura di circa 1430°C. In queste condizioni si parla di un processo “senza fiamma”, perché a differenza della combustione la “fiamma” è incolore, in quanto non c’è produzione di particolato e sostanze solide (vedi figura). Tutto vero ma il colore della fiamma non conta, si tratta di combustione ed è quello che affermo nel mio articolo: “Orbene, sentire da chi ha detto che i rifiuti erano riciclabili al 100% e parlava di un mondo immaginario dove la differenziazione, il riciclo ed il riuso erano gli unici metodi per una corretta gestione dei rifiuti, che oltre alle pratiche virtuose già indicate serve anche un impianto per la valorizzazione dei rifiuti funzionante ad ossicombustione è un bel passo avanti. È, in effetti, lo sdoganamento della termovalorizzazione da parte della fazione politica più avversa a tale soluzione.
L’ossicombustione - dove il protagonista è l’ossigeno, elemento fondamentale del processo - la gassificazione - dove è protagonista la mancanza di ossigeno - e la combustione con utilizzo dell’aria - dove la protagonista è l’aria che respiriamo - sono tutte tecniche, diverse, di una medesima procedura: la termovalorizzazione.
Benvenuto quindi Beppe Grillo nel mondo reale dove si comprende che, senza questa tecnica, l’unica alternativa è la vecchia, inquinante discarica”.
Che poi la fiamma abbia un colore o sia incolore non credo che cambi molto. Che si discuta di termovalorizzazione, ovvero di recupero energetico attraverso un trattamento termico non c’è dubbio, né dal punto di vista tecnico, né da quello giuridico tant’è che la UE ha inserito l’ossicombustione tra le BAT riferite ai procedimenti di termovalorizzazione (o, se preferite, alla incineration).
Così, le sostanze organiche sono ossidate totalmente (bruciate con l’ossigeno) producendo, per quanto riguarda le sostanze organiche, anidride carbonica e acqua e, per le sostanze inorganiche, un materiale che è a tutti gli effetti vetro.
Mentre l’incenerimento produce ceneri tossiche (poiché composte dal residuo di tutti i materiali conferiti nell’impianto) e fumi inquinanti (anche qui, di cui si disconosce l’esatta composizione per quello che si diceva sopra), l’ossicombustione produce invece anidride carbonica pulita e materiale vetroso inerte che può essere utilizzato ad esempio come materiale da costruzione.
La cenere prodotta degli inceneritori è un materiale insidioso che può rilasciare facilmente i metalli o altre sostanze organiche nocive in esso contenute e infatti deve essere smaltita in discariche speciali. Al contrario, il vetro da ossicombustione è un materiale chimicamente inerte. Come esempio si pensi al bicchiere di cristallo che tutti abbiamo a casa e tiriamo fuori per le grandi occasioni: forse non tutti sanno che è composto da vetro e fino al 40% in peso di ossido di piombo. Quando si rompe si frantumerà eventualmente in altri mille pezzi; tuttavia, non rilascerà i metalli che ha intrappolato se non nel giro di millenni. Qui c’è un altro falso. Il termovalorizzatore “classico” produce due generi di ceneri. Quelle di letto dette “ceneri pesanti” che rappresentano ciò che rimane dal processo di combustione e quelle dette “ceneri leggere” che effettivamente sono un rifiuto pericoloso contenente sostanze potenzialmente tossiche. Siccome l’autore più avanti parlerà dei fumi, che sono quelli che contengono le ceneri leggere, in questo caso si deve presumere che parli delle ceneri pesanti. Ebbene è falso che contengano un qualcosa di tossico e sono riciclabili al 100%. È altresì falso che si disconosca l’esatta composizione di quello che l’On Bella chiama fumi inquinanti la composizione dei fumi è esattamente conosciuta elemento chimico per elemento chimico e viene monitorata e controllata in continuo.
Proprio perché il vetro è inerte, i recipienti nei laboratori chimici sono tutti fatti di vetro, che resiste ad acidi concentrati e altre sostanze anche molto corrosive. Per attaccare il vetro servono condizioni davvero particolari (idrossido di sodio molto concentrato, acido fluoridrico) che non si realizzano in natura ma solo in laboratorio.
Parliamo adesso dei fumi, che sono l’aspetto più problematico degli inceneritori. Buona parte dell’impianto di incenerimento è costituita da sistemi di abbattimento degli inquinanti prodotti nei fumi, come diossine, ceneri volatili e ossidi di azoto. I filtri, più o meno complessi, intrappolano solo una parte degli inquinanti presenti nei fumi e diventano anche loro un rifiuto speciale, per il quale non c’è davvero altro utilizzo se non una discarica speciale. Al contrario, gli impianti di ossicombustione non hanno nemmeno un camino perché sono impianti “chiusi”. Le sostanze volatili prodotte sono solo anidride carbonica e acqua. L’acqua si condensa e riutilizza nel processo; l’anidride carbonica, essendo particolarmente pura a differenza di quella degli inceneritori, si immagazzina in bombole e viene venduta. Teniamo presente che per quando assurdo possa sembrare, l’anidride carbonica per uso industriale (usata ad esempio negli estintori, come ghiaccio secco, nelle serre e come gas inerte per conservare gli alimenti) si produce bruciando combustibili fossili e ha un prezzo sul mercato di circa 100 euro per tonnellata. Nei termovalorizzatori classici la depurazione dei fumi occupa circa i 2/3 dell’impianto. Tale cura per l’ambiente e l’intento di “non inquinare” viene in questo caso assolutamente tralasciato. Le diossine vengono “bruciate” anche nei termovalorizzatori classici, i metalli pesanti e gli altri elementi chimici pericolosi vengono intrappolati dalle cosiddette ceneri leggere che vengono inertizzate e sono quindi innocue. È vero che vanno in una discarica per rifiuti pericolosi appositamente predisposta ma rappresentano il solo 4/5% del totale dei rifiuti sottoposti a trattamento (nel caso di Roma ammonterebbero a 30.000 tonnellate a fronte delle 600.000 trattate).
Infine, gli impianti di ossicombustione sono piccoli: uno da 15 megawatt tratta 50-100.000 tonnellate di rifiuti l’anno, costa circa 40-50 milioni, si costruisce nel giro di un paio di anni e costa meno rispetto agli inceneritori, che per funzionare con un minimo di efficacia hanno bisogno di trattare grandi volumi. Un inceneritore con recupero di energia può costare invece centinaia di milioni: quello di Copenaghen (500.000 ton/rifiuti anno) è costato quasi 700 milioni. In ogni caso, bruciamo i rifiuti per liberarcene piuttosto che per ricavare energia, che è un risultato utile, limitato e comunque secondario: bruciando tutte le 30 milioni di tonnellate di rifiuti italiani prodotti ogni anno, forse produrremmo solo il 4% dell’energia di cui necessitiamo. E quanti ossicombustori dovremmo fare per Roma? Almeno 6. E dove? E quanto costerebbe, non tanto la costruzione, quanto la gestione? A questo ci ha pensato l’On. Bella?
Inoltre, ripetiamo, mentre l’impianto di ossicombustione reimmette nel ciclo produttivo tutto ciò che si ricava alla fine del processo, perché vende sia l’anidride carbonica che la pasta vetrosa, l’inceneritore (o termovalorizzatore) ha ancora bisogno di discariche speciali per contenere le ceneri tossiche e i filtri sporchi. Semplicemente, non chiude il ciclo dei rifiuti! Premesso che i filtri a manica non vanno in discarica, che le ceneri pesanti sono totalmente riciclabili, che sono in corso studi avanzati per il recupero della CO2 dei termovalorizzatori classici, nessuno ha mai detto che il termovalorizzatore chiuda il ciclo. Sosteniamo da sempre che però, al momento, è un elemento fondamentale.

Quella dell’ossicombustione è una nuova tecnologia davvero promettente, validata da un impianto dimostrativo da 5 Megawatt a Gioia del Colle, anche se al momento non c’è ancora alle spalle una ampia casistica di impiego. Occorre però riflettere sulle nostre esigenze e su come questa tecnologia potrebbe soddisfarle in modo ottimale e con un opportuno progetto industriale per la città.
Giusto segnalare anche delle potenziali criticità. Per raggiungere la temperatura di 1430°C a cui si innesca il processo di ossicombustione, c’è comunque una fase di avviamento. In questa fase (circa 30 ore) l’impianto deve essere alimentato con metano o gasolio. La produzione di energia dai rifiuti, dedotta la quantità auto-consumata per produrre l’ossigeno e per recuperare l’anidride carbonica, è minore rispetto a quella da un cosiddetto “termovalorizzatore”, ma lo scopo di questi impianti è piuttosto di eliminare quella frazione di rifiuti che non si riesce a ridurre, riusare e riciclare, piuttosto che produrre energia.
Insomma: questa tecnologia sembra davvero promettente e andrebbe valutata, piuttosto che sposarne senza se e senza ma una vecchia – come si vorrebbe fare a Roma – come gli inceneritori che già sappiamo avere limiti ambientali enormi. Per questo invitiamo gli scienziati, i cittadini e i decisori politici ad approfondire il processo di ossicombustione, che può rappresentare il futuro rispetto all’incenerimento che è invece il passato. Meglio camminare un po’ più lentamente nella direzione giusta piuttosto che correre sulla strada che sappiamo essere sbagliata, cioè la strada degli inceneritori, l’esatto contrario della transizione ecologica.
Insomma: lo stesso On. Bella ammette che la ossicombustione è sperimentale, ammette l’esistenza di talune criticità, ammette che non esiste un’ampia casistica di impiego, salvo poi affermare, certamente per dovere di partito, che è meglio camminare un po’ più lentamente. Un po’ più lentamente? A Roma? Dove il problema dei rifiuti ha proporzioni gigantesche?
Vi è poi una considerazione conclusiva importante. L’On. Marco Bella boccia il termovalorizzatore, io nel mio articolo non boccio l’ossicombustione e affermo: “Ma, fatta questa critica ragionata sulle affermazioni di Beppe Grillo, adesso diciamo una cosa che sia ben chiara: la tecnologia di cui parla è una valida tecnologia di trattamento dei rifiuti, che gli esperti ambientali non rifiutano e sulla quale nutrono concrete speranze. Ma è una tecnologia sperimentale, una tecnologia che ha visto alterni successi, fatta di una storia che ha evidenziato problemi di gestione non indifferenti per gli elevati costi del trattamento che si ripercuotevano sulla tariffa di conferimento del rifiuto”.
Concludo con le stesse parole che ho utilizzato nel mio articolo: A Roma non possiamo permetterci esperimenti, non possiamo permetterci fallimenti (come ci ha insegnato il gassificatore di Malagrotta). A Roma possiamo usufruire di una tecnologia presente nello stesso documento che Grillo “non” cita che è una tecnologia che funziona e che non inquina. Quando, probabilmente tra 20 anni, avremo impianti ad ossicombustione sperimentati, funzionanti e proporzionati per le esigenze di Roma, essi potranno competere sul mercato impiantistico.