Oggi:

2024-03-28 10:07

Non Solo Tecnologia per l’Innovazione Che Serve alle Imprese

EFFICIENZA ENERGETICA, DECARBONIZZAZIONE E NUOVI MESTIERI

di: 
Claudio Palmieri

L’autore, Energy Manager di Hera SpA, esamina le nuove esigenze delle imprese per innovare in coerenza con l’accelerazione delle politiche europee di decarbonizzazione. Efficiency First (o, come dicono gli Amici della Terra, #primalefficienza) si rivela una chiave di intervento indispensabile per trovare soluzioni – non solo tecnologiche - che abbiano un senso sia dal punto di vista energetico, sia ambientale, sia economico.

Il crescente interesse delle imprese per la decarbonizzazione 

Il preoccupante contesto internazionale attuale ci ha fatto comprendere come la transizione energetica dovrà procedere di pari passo con la sicurezza e la diversificazione degli approvvigionamenti, ma la strada verso la decarbonizzazione dei consumi finali di energia è ormai tracciata, e molte aziende cominciano ad avere, già oggi, la necessità di predisporre percorsi di medio/lungo termine credibili verso la carbon neutrality.  Questo interesse, latente già da parecchi anni, ha subito una fortissima accelerazione solo nel 2020, trascinato dal Green Deal europeo: un pacchetto legislativo documentale composto da regolamenti, direttive e strategie.  Alla fine del 2020 è stata poi varata, in ambito UE, le legge sul clima (Climate Law); questo provvedimento per la prima volta sancisce l’impegno dell’Unione per la carbon neutrality al 2050. Sempre nel contesto del Green Deal, viene poi emanato il pacchetto “Fit For Fifty -five”: una serie di provvedimenti per arrivare alla riduzione del 55% delle emissioni di CO2 al 2030, in modo da rendere credibile l’azzeramento netto al 2050. Rientrano nel pacchetto Fit for 55, ad esempio, le nuove proposte di direttive sull’efficienza energetica (EED) e sulle fonti rinnovabili (RED II), la modifica dello schema dell’Emission Trading (ETS) ed il Pacchetto Gas e H2 presentato lo scorso 15 dicembre dalla Commissione.

Affiancato al Green Deal europeo, con il suo contenuto di strumenti operativi, è stato poi prodotto il Next Generation EU, con tutta la serie di provvedimenti che ne sono seguiti, con il compito di fornire il supporto finanziario per il rilancio dell’economia europea in generale, ma anche per il percorso di decarbonizzazione al 2030 e al 2050. L’altro provvedimento più attuativo in coda al Next Generation EU, sempre europeo, è il “Recovery Fund”, sinonimo di “Dispositivo di Ripresa e Resilienza”, da quale poi deriva il provvedimento strategico italiano PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Ed è proprio l’annuncio dell’emissione di bandi, decreti e provvedimenti per il finanziamento della transizione energetica, spinti dalle risorse messe a disposizione dal PNRR, che ha contribuito non poco al crescere dell’interesse delle imprese, alimentando la corsa all’individuazione di business case sui quali provare ad intercettare le forme di finanziamento più adeguate.

Ma ovviamente l’interesse delle imprese per la decarbonizzazione va ben oltre alla disponibilità di risorse del PNRR, ed è trainato da un contesto più ampio che vede numerosi fattori congiunturali in azione, come ad esempio la sempre maggior attenzione della finanza internazionale per l’adesione volontaria delle imprese a modelli per la finanzia sostenibile (Environmental, Social and Corporate Governance - ESG), attestanti dell’applicazione del  concetto di sviluppo sostenibile all’attività dell’impresa. Questa richiesta da parte del mondo degli investitori è cresciuta molto lentamente, ma con costanza, a partire dal 2015, quando la Task Force on Climate-related Financial Disclosures (TCFD) è stata costituita dal Financial Stability Board - l'organismo che promuove e monitora la stabilità del sistema finanziario mondiale - con il compito di elaborare una serie di raccomandazioni sulla rendicontazione dei rischi legati al cambiamento climatico. L'obiettivo era di guidare e incoraggiare le aziende ad allineare le informazioni divulgate alle aspettative e alle esigenze degli investitori. Il 29 giugno 2017 la Task Force ha pubblicato un Final Report con 11 raccomandazioni articolate in quattro aree tematiche: governance, strategia, gestione dei rischi, metriche e target. Le raccomandazioni sono state sottoscritte da più di mille organizzazioni in tutto il modo. Ma l’interesse per le imprese per questi strumenti, principalmente le grandi multinazionali e le grandi aziende, ha subito un’accelerazione solo negli ultimi 2 anni, trainata anche da numerose “call to action” provenienti anche dalla finanza, dall’industria, oltre che dalla società civile, che hanno lasciato meno sola la voce delle Nazioni Unite.  

Vi è poi un ulteriore fattore di spinta, che si è imposto anch’esso solo di recente, e che è strettamente legato all’incremento dei costi della CO2 nel contesto del mercato regolamentato del carbonio (ETS). Anche trascurando la recente impennata dei prezzi dell’energia, confidando che non abbia caratteristiche strutturali, per alcune aziende energivore che operano su mercati internazionali molto competitivi – e dunque a forte rischio di delocalizzazione -, e per le quali il costo dell’energia rappresenta una percentuale significativa del costo di produzione, l’incremento del costo della CO2 nel mercato ETS diventa un problema molto serio. E se a questo aggiungiamo l’entrata in vigore della fase 4 dell’Emission Trading, che ha determinato, da un anno all’altro, per aziende che ricevevano il 100% di quote gratuite in quanto “carbon leakage” la necessità di dover acquistare almeno un 10% di quote onerose sul mercato dell’ETS,  si può comprendere come si stiano creando le condizioni per una tempesta perfetta; ed il tutto  in una prospettiva di progressiva contrazione delle allocazioni gratuite, e di rialzo tendenziale dei costi dei certificati EUA nel mercato secondario dell’ETS.

L’attenzione crescente delle aziende verso soluzioni per la decarbonizzazione è dunque dovuta a molteplici fattori, ed ogni azienda è sensibile in modo particolare ad uno o più di questi; potremmo in sintesi riassumerli come segue:

1) Interesse focalizzato su fattori legati all’immagine: in generale sono PMI di eccellenza o grandi multinazionali, che operano su prodotti ad alto valore aggiunto e con margini considerevoli, oppure su prodotti innovativi o ad alta tecnologia, con clienti internazionali sensibili al tema del cambiamento climatico. Sono aziende che sono disposte a sostenere anche costi aggiuntivi per la decarbonizzazione (alti valori di Green Premium), e che in genere puntano alla carbon neutrality in tempi rapidi.  

2) Interesse focalizzato su fattori di tipo finanziario: sono quasi esclusivamente grandi aziende, le quali hanno inserito nella loro mission obiettivi di decarbonizzazione in modo da attirare, o trattenere, azionisti sempre più sensibili agli obiettivi climatici, o sempre più spaventati dal rischio “stranded asset”, in particolare per le attività fortemente legate ai combustibili fossili. Per queste aziende non è importante un percorso rapido, ma dimostrare di essersi incamminati su una traiettoria credibile verso la carbon neutrality al 2050.

3) Interesse focalizzato su fattori economici indotti da adempimenti normativi: sono spesso le aziende con importanti consumi energetici, specialmente termici – e che dunque rientrano nello schema ETS -, con prodotti a scarso margine e basso valore aggiunto, e che sentono in modo molto forte la competizione sui mercati internazionali, in particolare con altre aziende che producono nei paesi in via di sviluppo. Per queste aziende anche un modesto incremento dei costi dell’energia, o dei costi della CO2, possono avere conseguenze drammatiche, proprio perché non hanno margini per scaricare l’incremento dei costi di produzione ai clienti finali, e per questa ragione possono accettare solo minimi incrementi di costi operativi legati alla conversione tecnologica necessaria per la decarbonizzazione. Queste aziende, dunque, sono si interessate a soluzioni per la decarbonizzazione, ma solo se prevedono l’utilizzo di tecnologie che permettono di eliminare le emissioni dirette (scopo 1, come vedremo meglio nel capitolo successivo), in modo da neutralizzare le quote onerose di certificati EUA nella borsa ETS. Per queste imprese la rapidità di decarbonizzazione delle emissioni dirette è strettamente legata alla rapidità con la quale crescerà il costo della CO2 o la quantità di quote onerose di certificati EUA a loro carico. Rientrano in questa categoria anche le società di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, anche se in questi casi si aggiungono aspetti legati anche al punto 1.

È importante sottolineare un aspetto della decarbonizzazione, o meglio della carbon neutrality, che molto spesso crea confusione impedendo un corretto approccio agli stabilimenti industriali per le aziende che offrono servizi energetici nel settore industriale: cioè la differenza tra mercato volontario, e mercato regolamentato del carbonio; un tema legato in modo indissolubile alle motivazioni che spingono le imprese a chiedere supporto specializzato per arrivare all’obiettivo finale.

 

Mercato volontario e mercato regolamentato del carbonio

I principali protocolli internazionali si basano su una suddivisione delle emissioni climalteranti che comprende le emissioni dirette (Scope 1), cioè le emissioni che vengono prodotte all’interno del perimetro dell’organizzazione attraverso i processi di combustione; le emissioni indirette (Scope 2), dovute ad esempio agli acquisti di energia elettrica od altri vettori energetici come calore o vapore. Tra le emissioni indirette sono comprese anche quelle definite “Scope 3”, cioè quelle che vengono generate dalla catena del valore dell’azienda. Per uno stabilimento industriale intenzionato ad avviare un programma di medio/lungo periodo per il raggiungimento della carbon neutrality, attualmente non esiste un unico percorso definito, dunque è possibile avere approcci differenti, con ampi spazi di manovra che possono debordare anche verso il greenwashing in modo più o meno marcato; ciò che realmente fa la differenza, è l’entità del ricorso ai meccanismi di compensazione, in rapporto agli interventi di riduzione diretta.

I principali protocolli di riferimento sono le norme ISO 14067 e 14064 (carbonfootprint di prodotto o di organizzazione), il protocollo inglese PAS 2060, e lo Science Based Target, gestito dalla Science Based Target initiative: una partnership tra CDP, WWF ed il Global Compact delle Nazioni Unite. Tutte queste linee guida hanno in comune che il programma deve essere validato da un’organizzazione indipendente di parte terza, generalmente un Ente di Certificazione accreditato. Un’altra cosa che hanno in comune è che tutti permettono il ricorso a meccanismi di compensazione per le emissioni indirette (Scope 2) senza particolari limitazione attingendo alle Garanzie di Origine (GO). Tranne al momento per lo Science Based Target, è consentita la compensazione anche per le emissioni dirette (Scope1), attraverso i crediti di carbonio, in questo caso però limitatamente alla percentuale residuale non decarbonizzabile in altro modo. Tuttavia, questa percentuale non è fissata, e lascia ampi spazi di discrezionalità agli Organismi di parte terza.

I meccanismi di compensazione delle emissioni complessive di un’azienda o di un prodotto, ed il loro utilizzo, cambia molto in funzione del fatto che l’azienda sia interessata ad operare all’interno del mercato volontario o del mercato regolamentato del carbonio. Facciamo un esempio: un processo produttivo energy intensive soggetto al meccanismo ETS, con costi energetici in crescita e contrazione delle allocazioni gratuite di certificati EUA, sarà interessato principalmente ad un percorso di decarbonizzazione delle emissioni dirette (cioè quelle dovute al combustibile bruciato all’interno dello stabilimento – scope 1), in grado di ridurre  progressivamente la necessità di comprare certificati EUA (European Union Allowances), cioè quote di emissione nel mercato regolamentato dell’ETS, ma per farlo non può utilizzare crediti di carbonio. Questo è un passaggio molto importante per comprendere le dinamiche di scelta delle imprese, e dunque il tipo di domanda sulle soluzioni per la decarbonizzazione. Attualmente, infatti, lo schema ETS non consente l’utilizzo dei Crediti di Carbonio per neutralizzare le emissioni dirette, e l’unico modo per farlo è quello di ridurle con interventi tecnologici diretti, come l’efficienza energetica, la sostituzione dei combustibili fossili con combustibili rinnovabili, o la cattura ed il sequestro della CO2. Sappiamo che lo schema ETS  è in corso di revisione, a livello europeo, e che questa situazione potrebbe cambiare, in particolare con la pubblicazione della revisione norma EN 16325 attraverso la quale saranno estese le procedure per l’emissione di garanzie di origine anche per i gas verdi come il biometano e l’idrogeno;  tuttavia ad oggi, per ridurre le emissioni dirette con finalità utili per l’ETS  sostituendo il gas metano per usi energetici nell’industria, l’unico modo – almeno in Italia -  è quello di produrre o trasportare questi gas verdi all’interno del perimetro dello stabilimento. 

Facciamo viceversa l’esempio di un’azienda non soggetta all’Emission Trading System, e che comunque sia interessata ad intraprendere un percorso di decarbonizzazione principalmente per motivi di immagine, o di tipo strategico in quanto fornitrice di prodotti per i quali la riduzione dell’impronta di carbonio ha un valore molto importante per poter competere con la concorrenza: un caso tipico sono le aziende che producono semilavorati intermedi che rientrano nella carbonfootprint di prodotto dell’azienda acquirente. Ebbene, questa azienda sarà certamente interessata all’acquisto di Crediti di Carbonio certificati per la neutralizzazione delle emissioni dirette residue, una volta adottate tutte le soluzioni applicabili nel rispetto del protocollo di riferimento, proprio per il fatto che, non essendo soggetta agli obblighi dell’ETS, opera nel “mercato volontario del carbonio”, all’interno del quale i meccanismi di compensazione possono essere utilizzati nei limiti delle regole previste dal protocollo di riferimento scelto, e dal percorso concordato con l’Organismo di Certificazione.  

Dagli esempi esposti, risulta chiaro come la domanda di servizi di supporto alla decarbonizzazione dell’azienda soggetta all’ETS, e dunque a soluzioni che permettono di produrre effetti sul mercato regolamentato del carbonio (emissioni Scope 1), sia differente – o richieda una focalizzazione su priorità differenti – rispetto all’azienda che è interessata a certificare l’impronta di carbonio complessiva (Scope 1 e scope 2), che richiede la fornitura di soluzioni con effetto sul mercato volontario del carbonio, all’interno del quale meccanismi di compensazione come le Garanzia di Origine od i Crediti di Carbonio giocano un ruolo molto importante.

 

Un approccio alla carbon neutrality centrato sul principio “Efficiency First”

Le aziende in sostanza richiedono sempre più un’offerta di servizi energetici integrati, non più finalizzati solo al risparmio energetico o alle fonti rinnovabili, ma centrato su un supporto allargato per accompagnare l’impresa lungo un percorso che la porterà alla carbon neutrality. Come abbiamo già visto questo supporto deve contenere, nella cassetta degli attrezzi, molti più strumenti rispetto ai tradizionali servizi energy; strumenti che, tuttavia, devono essere utilizzati con differenti gradi di priorità per far sì che il percorso proposto per la decarbonizzazione rimanga un percorso coerente anche dal punto di vista energetico, evitando ad esempio il massiccio ricorso a strumenti di compensazione, senza fare nulla (o quasi) con interventi di riduzione diretta attraverso l’efficienza energetica o le fonti rinnovabili direttamente utilizzabile presso il sito.

Il percorso proposto dovrebbe mantenere il baricentro sul principio “Energy Efficiency First”; principio introdotto nel contesto europeo dall’art. 2 del regolamento sulla governance il quale prevede “… di tenere nella massima considerazione, nelle decisioni di pianificazione energetica, misure alternative di efficienza energetica efficienti in termini di costi…in particolare per mezzo di risparmi negli usi finali dell’energia…”. Con il fine di evitare che questo obiettivo prioritario rimanga un principio astratto, nella proposta di nuova Direttiva sull’Efficienza Energetica (EED), inviata di recente dalla Commissione al Consiglio ed al Parlamento europeo, è stato integrato all’interno dell’art. 3 l’obbligo per gli Stati Membri di relazionare alla Commissione le modalità con le quali questo principio sarà declinato all’interno delle politiche energetiche nazionali. 

Lo scopo è proprio quello di seguire una logica di approccio all’efficienza energetica che abbia un senso sia dal punto di vista energetico sia dei costi. Seguendo questo principio,  prima di fare qualunque altra cosa si dovrebbe fare tutto il possibile per migliorare l’efficienza energetica sia ottimizzando al massimo gli apparecchi che utilizzano combustibili fossili, sia attraverso le così definite “modifiche comportamentali” le quali, nel contesto industriale,  comprendono  una serie articolata di azioni ad ampio spettro che vanno dalla modifica del modo di produrre attraverso lo sviluppo di nuove procedure operative di lavoro, alla modifica del layout impiantistico delle linee, fino all’implementazione di forme di automazione avanzata con  l’utilizzo di nuovi strumenti come il machine learning e l’intelligenza artificiale. Tuttavia, solo con l’efficienza energetica è difficile ridurre le emissioni dirette (Scope 1) oltre percentuali del 15 – 20%, ed è proprio a questo punto che dovrebbe essere schierata l’artiglieria pesante dei gas verdi come biometano, metano di sintesi ed idrogeno. Biometano e metano di sintesi ottenuto da biomassa, sono soluzioni interessanti per le imprese, in quanto possiedono il grande vantaggio di permettere la decarbonizzazione senza nessuna modifica degli apparecchi di utilizzazione finale, ma hanno limiti di filiera, almeno in relazione ai grandi volumi che servirebbero ed agli ostacoli determinati dall’attuale regime regolatorio il quale, come già detto, non permette l’utilizzo delle garanzie di origine per neutralizzare le quote ETS se non – almeno per il momento - bruciando il combustibile verde direttamente all’interno del sito di utilizzo. 

L’idrogeno verde (cioè quello prodotta da fonti rinnovabili) suscita molto interesse nelle imprese soggette all’ETS in quanto, pur avendo lo stesso problema di dovere essere utilizzato direttamente presso il sito per la neutralizzazione dei certificati EUA onerosi, ha tuttavia  meno problemi rispetto al biometano in quanto può essere teoricamente prodotto in grandi quantità, senza le strozzature costituite dai limiti della filiera della biomassa, tramite elettrolisi in impianti centralizzati, e poi trasportato; ma soprattutto perché può essere prodotto in notevoli quantità anche all’interno del sito produttivo, consentendo di spingerne la decarbonizzazione molto avanti anche senza dover ricorrere alla realizzazione di cabine elettriche in alta tensione, cosa che si rende necessaria quando  la potenza dell’elettrolizzatore si avvicina ai 10 MW. Per l’idrogeno gli ostacoli sono dovuti principalmente alla sostenibilità economica ed alla necessità di conversione degli apparecchi di utilizzo finale, almeno oltre determinate percentuali di miscelazione con il metano. La forza dei gas verdi, dunque, risiede nel consentire di aggiungere a quel 15 - 20% di decarbonizzazione raggiungibile con l’efficienza energetica un altro 20 – 30%, permettendo di ridurre o azzerare i costi legati all’ETS lungo un percorso credibile di medio/lungo periodo in grado di neutralizzare fino ad un 50% le emissioni dirette (Scope 1). Questo è di grande importanza anche per le aziende interessate al solo mercato volontario del carbonio, visto che possono così dimostrare una consistente neutralizzazione delle emissioni dirette, tale da consentire il ricorso ai meccanismi di compensazione (Crediti di Carbonio) per la decarbonizzazione delle emissioni residuali nel rispetto degli indirizzi dei protocolli internazionali adottati. Nel contesto di questo percorso graduale e progressivo, l’idrogeno verde può essere inizialmente miscelato in percentuale fino al 5 – 10% con il metano evitando – in generale – la necessità di dover intervenire sugli apparecchi di utilizzo finale; questo consente al sito di sperimentare l’infrastruttura di produzione di idrogeno su piccole taglie con investimenti più contenuti, per poi incrementare progressivamente la miscelazione via via che la tecnologia degli apparecchi di utilizzazione potrà essere convertita al funzionamento con percentuali di idrogeno crescenti.

Più semplice risulta essere la decarbonizzazione delle emissioni indirette (Scope 2) costituite dagli acquisti di energia elettrica, prima di tutto perché queste non rientrano nell’ETS, e poi perché possono essere neutralizzate nel mercato volontario del carbonio attraverso le Garanzie di Origine. Anche in questo caso, tuttavia, le aziende più serie preferiscono attingere alle GO solo dopo aver installato tutta la potenza FER utilizzabile all’interno del sito, in funzione ad esempio alla superfice utile per impianti fotovoltaici. Molti grandi Gruppi internazionali sono sempre più interessate anche alla partecipazione diretta allo sviluppo di impianti eolici o fotovoltaici in siti remoti, attraverso la stipulazione di contratti di lungo periodo con un soggetto esterno produttore (PPA), ed utilizzare le GO solo per la parte residuale. 

Come si comprende, la competenza multidisciplinare richiesta oggi alle società che offrono servizi energetici è molto cambiata, collocandosi su un livello di professionalità più elevato, e lo stesso approccio alle imprese deve essere in grado di mantenere la sua credibilità attraverso l’ingaggio progressivo degli strumenti più idonei senza perdere di vista la coerenza energetica; ed è anche per questo che il percorso deve essere centrato sulla priorità agli interventi di efficienza energetica, in quanto strumento più vantaggioso anche dal punto di vista economico. Ma l’essere centrati su “Efficiency First”, non solleva le società di servizi energetici dalla necessità di offrire soluzioni per la decarbonizzazione in grado di supportare le imprese con un’offerta più ampia la quale,  oltre a contenere la fornitura di tecnologie classiche come la cogenerazione, i sistemi di refrigerazione industriale, gli impianti di produzione del vapore, gli impianti di illuminazione, aria compressa ecc, non può prescindere dal comprendere tutte le nuove soluzioni come l’utilizzo di gas verdi - l’idrogeno e il biometano -  per il graduale switch di combustibile fossile, oppure strumenti finanziari di “compensazione” come i Crediti di Carbonio e le Garanzie di Origine per la decarbonizzazione della parte di emissioni non neutralizzabili in nessun altro modo.

All’interno di questo “arsenale” per la carbon neutrality trovano un ruolo crescente anche nuovi modelli contrattuali di lungo periodo, per l’acquisto di energia verde, come i PPA (Power Purchase Agreement).   Queste competenze devono estendersi anche a comparti emergenti,  completamente nuovi ed inediti per gli esperti di servizi energetici, come quello ad esempio dell’economia circolare: vista sia sotto il profilo del supporto per l’individuazione delle metriche adeguate per misurare l’impatto sulle emissioni, sia in termini di capacità di organizzare l’infrastruttura necessaria per scaricare a terra progetti concreti per il recupero di materia di scarto, e per la sua trasformazione  in materia prima riutilizzabile all’interno del processo produttivo (materia prima/seconda). Sono i nuovi mestieri di domani, con i quali però le figure dell’Energy Manager e dell’Esperto in Gestione dell’Energia sono costretti a fari i conti già oggi, e a reinventare in tempi record il loro ruolo.

 

“Efficiency First” anche per le policy incentivanti

L’Energy Manager rappresenta, e rappresenterà anche in futuro, un attore fondamentale sulla scena della carbon neutrality, proprio perché detiene le competenze necessarie per un approccio equilibrato verso la decarbonizzazione, aiutando l’impiego degli strumenti e delle risorse lungo un percorso che veda sempre  l’efficienza energetica con il livello più alto di priorità rispetto a tutte le altre soluzioni;  la lotta al cambiamento climatico richiede che ogni strumento a disposizione  debba essere utilizzato in una sequenza logica e coerente, proprio per evitare la dispersione delle limitate risorse disponibili, se paragonate alla portata della sfida.  In questa logica anche il quadro normativo deve fare molta attenzione a non perdere di vista la coerenza energetica racchiusa, appunto, nel principio “Energy Efficiency First””: principio, tra l’altro, introdotto nel contesto europeo dall’art. 2 del Regolamento sulla Governance dell’Unione.  

Un passo importante nella giusta direzione lo ha fatto di recente la Commissione Europea con la proposta di nuova Direttiva sull’Efficienza Energetica (EED), inviata al Consiglio ed al Parlamento europeo, nella quale è stato integrato all’interno dell’art. 3 l’obbligo per gli Stati Membri di relazionare alla Commissione le modalità con le quali questo principio sarà declinato all’interno delle politiche energetiche nazionali.  Lo scopo è proprio quello di seguire una logica di approccio all’efficienza energetica che abbia un senso sia dal punto di vista energetico sia dei costi, contribuendo a radicare il processo di decarbonizzazione delle imprese lungo un percorso che mette l’efficienza energetica in cima alle priorità. Anche la conferma ed il rafforzamento del regime d’obbligo, introdotto agli articoli 8 e 9 della bozza di nuova direttiva, vanno nella direzione di consolidamento dello strumento che ha dimostrato la miglior efficacia in tutti i paesi nei quali è stato applicato.

Il regime d’obbligo, infatti, è qual meccanismo che permette agli Stati Membri di allocare  obblighi di conseguimento di risparmio energetico in capo ai distributori o ai venditori di energia, ed è proprio il sistema sul quale, ormai 14 anni fa, il Governo italiano ha  costruito il meccanismo dei certificati bianchi, facendolo diventare una best practice europea per quantità di efficienza energetica generata (oltre 30 Ml di TEP), per innovazione e per capacità di penetrazione nel settore industriale. Come sappiamo questo sistema ha incontrato negli ultimi anni momenti di forte destabilizzazione, ma con il decreto 21 maggio 2021 il Governo ha introdotto misure di rilancio di notevole lungimiranza in grado, riteniamo, di fare uscire dalla risacca questa importante policy di sostegno, dotandola degli strumenti necessari per un rilancio credibile. Infatti, l’introduzione di un meccanismo di stabilità, che ricalca lo spirito del market stability reserve dell’ETS, sarà in grado nel futuro di scongiurare il ripetersi delle forti destabilizzazioni del prezzo degli scambi in borsa dei TEE grazie alla possibilità, per il Regolatore, di intervenire tempestivamente modulando la domanda, anche senza dover intervenire sulla normativa primaria. Inoltre, è in corso di preparazione un ulteriore decreto parallelo, che permetterà di affiancare il funzionamento della borsa sui TEE con un meccanismo ad aste in grado di introdurre nuova liquidità sul mercato grazie alla possibilità di intercettare, con aste dedicate, tecnologie che richiedono, per essere adeguatamente incentivate, contributi più adatti per interventi “capital intensive”.

Di fondamentale importanza sarà la capacità di integrare in modo sinergico il sistema ad aste con la borsa regolamentata, in modo poter riversare in borsa, attraverso un meccanismo di “compensazione per differenza”, tutta la nuova liquidità intercettata dalle aste, evitando l’errore di creare due sistemi antagonisti che farebbero necessariamente naufragare il meccanismo, e la scommessa di un rilancio degli scambi in borsa verso volumi in grado di aumentarne la stabilità e la resilienza del sistema.  In merito a come disegnare uno schema che veda come obiettivo il funzionamento sinergico tra le aste e la borsa regolamentata, è stata già inviata al MiTE una proposta articolata predisposta dal CESEF (Centro Studi Economia e Management dell’Efficienza Energetica), alla stesura della quale hanno collaborato anche Utilities, ESCO e Associazioni.

 

Qualche preoccupante contraddizione al principio di efficienza, a cui rimediare.

Ma la nuova bozza di direttiva EED contiene anche alcune misure che paradossalmente appaiono antitetiche rispetto al principio “Efficiency First”. Più precisamente, con  la finalità di incoraggiare gli Stati Membri a investire le proprie risorse soltanto in “future-proof, sustainable technologies”, la proposta  prevede che dal 1° gennaio 2024 non saranno più contabilizzati, ai fini del rispetto degli obblighi di efficienza energetica, i risparmi energetici derivanti da misure che contemplano l’utilizzo diretto di combustibili fossili: “Energy savings as a result of policy measures regarding the use of direct fossil fuel combustion in products, equipment, transport systems, vehicles, buildings or works shall not count towards the fulfilment of energy savings obligation as from 1 January 2024”.

Altro elemento di attenzione riguarda il titolo dell’allegato V, dove si fa riferimento proprio alle misure agli articoli 8, 9 e 10, che descrivono proprio le forme di incentivazione attraverso il regime d’obbligo, all’interno del quale trova collocazione anche il meccanismo dei TEE. Ciò potrebbe comportare l’esclusione dal riconoscimento di Titoli di Efficienza Energetica (TEE) per tutti gli interventi di efficienza energetica; a tal proposito, non si comprende per quale ragione, se vi sono ancora dei margini di efficientamento nei settori in cui sono utilizzate le fonti fossili, tali risparmi non possano essere valorizzati. La cosa appare poco comprensibile anche rispetto alla relazione di accompagnamento della direttiva, nella quale si sottolinea in più punti come le misure d’obbligo siano state lo strumento più efficace, e che ha portato il maggior quantitativo di efficienza energetica a livello europeo.

Si fatica a comprendere la coerenza di questi passaggi con il principio generale di spingere al massimo prioritariamente gli interventi di efficienza energetica, e come sia possibile fare efficienza energetica senza ridurre i consumi degli apparecchi alimentati a gas metano.  Speriamo che alcuni emendamenti già inviati da più parti, riescano a dare maggiore coerenza ed un documento nel complesso valido e ricco di misure convincenti.

 

Serve anche innovazione, ma innovare non significa solo nuove tecnologie

Abbiamo visto come l’efficienza energetica, ed i servizi correlati, debbano trovare un nuovo ruolo all’interno della domanda emergente proveniente dal mondo produttivo, con l’obiettivo di consentire la decarbonizzazione delle imprese senza salti nel vuoto, e lungo un percorso coerente anche dal punto di vista energetico. E’ necessario prendere consapevolezza del fatto che, nell’arco di pochissimi anni, il classico approccio per l’offerta di servizi energetici alle imprese è stato stravolto: non tanto perché risultino superate le soluzioni tecnologiche – ancora in gran parte attuali -, ma per la comparsa di un nuovo attore - la decarbonizzazione -, che si è affacciato in modo dirompente sulla scena, imponendosi sul mercato con una velocità sbalorditiva, e che di fatto oggi traina gran parte della domanda di consulenza che caratterizza l’offerta di servizi energetici lungo tutta la catena del valore. 

Non si tratta dunque di un problema tecnologico, ma unicamente di “approccio”, in quanto è la domanda associata alle stesse tecnologie ad essere cambiata; abbiamo già detto come le imprese, oggi, siano chiamate ad affrontare l’efficienza energetica, e gli stessi adempimento normativi ad essa associati, in una prospettiva più ampia nella quale il driver dominante non è più – o non più solo - la riduzione dei costi energetici di produzione, o il rispetto di obbligo di diagnosi energetica, ma l’esigenza di predisporre un percorso verso la “carbon neutrality”, pianificato sul medio-lungo periodo, all’interno del quale le tecnologie per l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili sono solo uno dei tasselli che compongono il  puzzle. Dunque, non tanto, o non solo, innovazione tecnologica, ma soprattutto necessità di nuovi modi di fare le cose, anche con tecnologie in gran parte già disponibili oggi. Certo, la crisi climatica per essere superata richiederà nuove tecnologie, molte delle quali non sono nemmeno ancora state pensate, ma le potenzialità derivanti da combinare assieme, nel migliore dei modi, tecnologie e discipline diverse, rappresenta senza dubbio una frontiera dal potenziale ancora tutto da esplorare.  

“Qualunque piano globale per il clima deve basarsi su molte discipline diverse; la climatologia ci dice perché dobbiamo affrontare questo problema, ma non come affrontarlo, ed è per questo che servono la biologia, la chimica, la fisica, le scienze politiche, l’ingegneria e altre discipline.” Bill Gates ritorna spesso, nel suo ultimo libro sul cambiamento climatico, su questo punto per sottolineare come sfide globali richiedono lo sviluppo di approcci innovativi per affrontarli. Continua su questo aspetto ricordando come quello di cui la Microsoft aveva bisogno ai suoi albori era ciò di cui adesso abbiamo bisogno per affrontare il cambiamento climatico, ossia un approccio che consenta a molte discipline diverse di metterci sulla strada giusta, e come nel campo del software ed in ogni altra impresa sia un errore pensare all’innovazione soltanto nel senso tecnologico. Innovare non significa solo inventare una nuova macchina o un nuovo procedimento, ma significa anche sviluppare nuovi approcci a modelli imprenditoriali, mercati e politiche che aiuteranno le nuove invenzioni a diventare realtà a diffondersi su scala globale. “L’innovazione consiste tanto in nuovi approcci che in nuovi modi di fare le cose”.

 

Riferimenti Bibliografici

  • Proposte Fit for 55 Package (luglio e dicembre 2021)
  • Hydrogen Strategy, Commissione EU
  • Renewable Energy Directive – RED II
  • Strategia Nazionale Idrogeno Linee Guida – Ministero dello sviluppo Economico
  • Carbonsink Report per il Gruppo Hera – I Crediti di carbonio: principali caratteristiche – Milano, 2021
  • Stefano Clerici – Il Mercato dell’Efficienza Energetica: rapporto annuale 2021 – AGICI Finanza d’Impresa, Milano 2022
  • Daniele Pernigotti – Carbon Footprint: calcolare e comunicare l’impatto dei prodotti sul clima – 2015 Edizioni Ambiente Milano
  • Bill Gates – How to Avoid a Climate Disaster: The Solutions We Have and the Breakthroughs We Need – 2021 Bill & Melinda Gates Foundation
  • Jeremy Rifkin – The Green New Deal – 2019 by Jeremy Rifkin