Oggi:

2024-03-28 20:48

Per Chi Non ci Dorme la Notte

CAMBIAMENTI CLIMATICI ED EVENTI ESTREMI

di: 
Gianluca Alimonti

Dalla Staffetta Quotidiana di qualche settimana fa, ripubblichiamo un contributo dell’autore, professore alla facoltà di Scienze e tecnologie dell'Università degli studi di Milano, e il corsivo con cui il direttore Masini lo ha chiosato. A noi preme sottolineare un ulteriore aspetto di questo scritto e dell’analisi scientifica sottesa: la lettura dei dati rilevati sugli eventi climatici estremi e le relative elaborazioni (anche quelle dell’IPCC) non consentono l’interpretazione a senso unico che ne viene data comunemente. Siamo preoccupati (non da oggi) che tesi precostituite possano condizionare il dibattito politico e, addirittura, oscurare quello scientifico.

Tempo fa il ministro per la Transizione ecologica prof. Cingolani, parlando della lotta ai cambiamenti climatici, si diceva stretto in una morsa tra catastrofe sociale e catastrofe ecologica al punto da non dormirci la notte: "accelerando troppo rischiamo la catastrofe sociale, se andiamo troppo lenti quella ecologica". Questo scritto è volto ad offrire elementi di sollievo al Ministro: alla luce di recenti valutazioni emerge infatti che non siamo sull'orlo del burrone della crisi climatica e vi è tempo per decidere azioni ponderate e mirate ad evitare entrambe le catastrofi, quella sociale e quella ecologica.

Come mostrato in recente articolo basato su osservazioni storiche, gli eventi estremi di origine climatica non mostrano la crescita che ci si aspetterebbe se fosse in atto la crisi climatica che, secondo molte fonti mediatiche, staremmo oggi vivendo. Un'attenta lettura dell'ultimo report dell'IPCC pubblicato la scorsa estate porta alla stessa conclusione, a differenza del messaggio catastrofista a cui siamo abituati.

I cambiamenti globali più consistenti negli estremi climatici si trovano nei valori annuali delle ondate di calore. L'intensità giornaliera delle precipitazioni e la frequenza delle precipitazioni estreme sono stazionarie nella maggior parte delle stazioni meteorologiche. L'analisi dell'andamento delle serie temporali dei cicloni tropicali mostra una sostanziale invarianza temporale e lo stesso vale per i tornado negli USA. Una conferma indiretta di tale diagnosi ci viene anche dall'analisi di alcuni importanti indicatori di risposta globale agli eventi meteorologici estremi, ovvero disastri naturali, inondazioni, siccità, produttività dell'ecosistema e rese delle quattro colture principali (mais, riso, soia e grano), tutti caratterizzati da trend oltremodo tranquillizzanti. Si deve inoltre ricordare che nonostante la crescita imponente della popolazione globale, che dal 1900 a oggi è passata da 1,5 a quasi 8 miliardi di individui, il numero di morti causati nel mondo da siccità, alluvioni, perturbazioni violente, incendi e frane è calato decisamente, passando da valori medi annui di oltre un milione a valori inferiori a 30.000 mila negli ultimi anni; inoltre, si osserva come i più mortali riguardano i Paesi poveri. Anche in termini di costi dei disastri da eventi legati ai cambiamenti del clima, normalizzati per il pil, dal 1990 la tendenza non sia verso un aumento, semmai verso una leggera riduzione.

Seguendo questa linea di pensiero, un numero crescente di scienziati e di studiosi sostiene che il passo più importante da compiere in questa fase è la lotta alla povertà. Più di una statistica mostra che il miglioramento delle condizioni di vita riduce il numero di morti e i danni provocati dall'innalzamento delle temperature, più di quanto possano fare gli investimenti volti a ridurre la concentrazione di CO2 in atmosfera. Per il nostro Paese ciò potrebbe tradursi nel ridurre la nostra vulnerabilità agli eventi meteorologici investendo sul territorio per porre rimedio al dissesto idrogeologico della nostra delicata geografia.

Fermo restando che il cambiamento climatico è reale, serio e necessita di politiche di adattamento, sulla base di queste evidenze che mostrano l'inesistenza della crisi climatica, quanto conviene lanciarsi in dispendiose ed economicamente dannose politiche di forzata ed accelerata transizione energetica piuttosto che affrontare le diverse problematiche in atto (energetiche, agro-alimentiari, sanitarie, ecc.) con uno spirito più̀ obiettivo e costruttivo, con l'obiettivo di giungere ad una valutazione ponderata delle azioni da intraprendere senza sprecare le limitate risorse a nostra disposizione in soluzioni costose e inefficaci?

Come recentemente sostenuto da una componente del board della BCE, le politiche contro il cambiamento climatico manterranno verosimilmente alti i prezzi dell'energia per un tempo lungo con il rischio concreto che ciò si traduca in ulteriori pressioni inflazionistiche, fatto, questo, che è già in atto in alcuni importanti paesi come gli USA. Inoltre, la necessità di accelerare la lotta al cambiamento climatico potrebbe implicare non solo che i prezzi dei combustibili fossili restino elevati ma che debbano ulteriormente aumentare se si vogliono centrare gli obiettivi dell'accordo di Parigi.

Dalla seconda guerra mondiale le nostre società sono progredite enormemente, raggiungendo livelli di benessere (salute, alimentazione, salubrità dei luoghi di vita e di lavoro, ecc.) che le generazioni precedenti non avevano nemmeno lontanamente immaginato. I poveri ed i sottonutriti sono diminuiti enormemente mentre sono cresciute le persone che hanno accesso all'elettricità ed alle basilari risorse energetiche. Oggi siamo chiamati a continuare sulla strada del progresso rispettando i vincoli della sostenibilità economica, sociale e ambientale con la severità dettata dal fatto che il pianeta sta per raggiungere i 10 miliardi di abitanti.

Paventare un'emergenza climatica senza che questa sia supportata dai dati significa alterare il quadro delle priorità con effetti negativi che potrebbero rivelarsi deleteri per la nostra capacità di affrontare le sfide del futuro, dilapidando risorse naturali ed umane in un contesto economicamente difficile e fattosi ancor più negativo a seguito l'emergenza Covid.

Dobbiamo ricordare a noi stessi che affrontare il cambiamento climatico non è fine a sé stesso e che il cambiamento climatico non è l'unico problema che il mondo sta affrontando. L'obiettivo dovrebbe essere quello di migliorare il benessere umano nel 21° secolo, proteggendo il più possibile l'ambiente in cui viviamo riducendo al minimo l'inquinamento dell'aria e dell'acqua ed il nostro impatto sul pianeta.

La transizione energetica non è in discussione ma è importante che le modalità ed i tempi siano in sintonia con gli obbiettivi per non generare altri, e forse più rilevanti danni.

 

Il corsivo del direttore della Steffetta Quotidiana

Il dibattito scientifico sul cambiamento climatico e sulle sue conseguenze poggia su alcuni punti fermi non contestabili, che sono l'aumento della concentrazione di CO2 nell'atmosfera per cause principalmente antropiche e il conseguente aumento delle temperature medie nell'ultimo secolo – e ancor più nei decenni più recenti. Negli ultimi anni la questione ha assunto il rilievo che merita anche nel dibattito pubblico, scalando le gerarchie e cambiando denominazione, passando da "riscaldamento globale" a "cambiamento climatico" fino all'odierna "emergenza climatica". È indubitabile la gravità delle conseguenze del fenomeno sulle attività umane e sulla sicurezza della popolazione. È anche indubbio che la questione climatica non può diventare un "assoluto": la politica ha il dovere di considerare tutte le dimensioni della sostenibilità: non solo quella ambientale ma anche quella sociale ed economica. Con un occhio anche alla considerazione dei rapporti internazionali. Se si perdono di vista questi aspetti, si rischia di offrire una rappresentazione monodimensionale della questione, un po' come accade nel film Don't look up – che resterà forse negli annali del dibattito sul clima ma non certo nella storia del cinema. (G.M).