SNPA NEL RECOVERY PLAN
L’autore, storico esponente dell’Unione Italiana degli Esperti Ambientali - UNIDEA, interviene nel dibattito aperto dall’Astrolabio sull’astrusa previsione, nel PNRR, di un nuovo servizio di prevenzione ambientale/sanitaria che non appare utile ad ampliare i servizi ai cittadini ma ad alimentare la confusione, le difficoltà dell’SNPA e lo spreco. Ci aspettiamo che il nuovo Governo corregga.
Nella bozza di Piano nazionale di ripresa e resilienza predisposto dal Governo Conte e che – si spera – il Governo Draghi dovrebbe riscrivere, il Sistema Nazionale di Protezione Ambientale (ISPRA e le 21 Agenzie regionali e provinciali) non è affatto nominato nella Missione 2 - Rivoluzione verde e transizione ecologica. Viene invece solo citato in queste poche righe dell’Intervento 2- Salute ambiente e clima. Sanità pubblica ecologica in relazione ad un nuovo misterioso soggetto: “Il progetto è finalizzato a rafforzare la capacità, l’efficacia, la resilienza e l’equità del Paese di fronte agli impatti sulla salute, attuali e futuri, associati ai rischi ambientali e climatici, attraverso un piano di riforme e investimenti che istituisce, sul piano normativo e di dotazioni di infrastrutture e risorse, la rete del “sistema nazionale di prevenzione salute-ambiente e clima, SNPS”, articolata a livello centrale regionale e territoriale, per la piena integrazione con l’esistente Sistema Nazionale per la Protezione ambientale (SNPA)”.(1)
Ma da dove arriva questo SNPS, in modo così estemporaneo e indefinito? Sembra una sorta di sarchiapone riempito in fretta e furia con qualche termine relativo agli obiettivi del Recovery fund, scimmiottando nella sigla un’organizzazione, l’SNPA, costituita attraverso un percorso complesso e con un trentennio di esperienza. Facciamo di seguito qualche ipotesi sugli ambienti associativi e i settori d’interesse che hanno ispirato questo progetto (e relativa previsione di spesa).
“Ambiente & salute: un nesso spezzato dal nefasto referendum del 18 aprile 1993! In tempi di Covid-19 e di crisi climatica i nessi fra ambiente e salute si rivelano sempre più cruciali, ed è importante richiamare l’attenzione su un punto di svolta che determinò la nefasta scissione fra competenze sanitarie ed ambientali: questa sciagura fu determinata dall’esito di un referendum popolare che si svolse esattamente 27 anni fa, il 18 aprile del 1993. Riteniamo assolutamente necessario che chi si impegna per il potenziamento di quello che resta del SSN e progetta la proposizione di un referendum si ponga anche questo problema: senza prevenzione primaria non c’è tutela della salute!”
Ad un lettore distratto, il titolo e la chiusura del testo farebbero pensare alla reazione stizzita di chi, a ridosso del referendum del 1993 - quello promosso dagli Amici della Terra che portò all’istituzione delle Agenzie per l’ambiente - non ne avesse accettato l’esito. Ma, il lungo articolo è stato riportato lo scorso aprile sul sito di Medicina Democratica ed è a firma del vicepresidente dell’associazione che continua a rivendicare, dopo 27 anni e due riforme in linea col referendum citato, in nome di una prevenzione unilaterale ed esclusivista, da medico onnisciente e suprematista, il diritto “divino” di gestire anche la tutela e la conservazione dell’ambiente.
In piena pandemia e di fronte al fallimento conclamato delle strutture sanitarie territoriali – i Servizi Igiene e Sanità Pubblica – spesso confuse dai mezzi di informazione e dall’opinione pubblica con i medici di base che non sono dipendenti del SSN ma operano in convenzione, si va cercando un referendum per la rimedicalizzazione dell’ambiente…
Ci si domanda perché, in questi anni, MD (o altre associazioni come la potentissima SITI) non si siano ribellate alla ospedalizzazione, spesso privatistica, della sanità che ha fatto strame della prevenzione primaria annullando di fatto nella maggior parte delle Regioni il ruolo, in termini di uomini e risorse, dei Dipartimenti di Igiene e Prevenzione (DIP) e, al loro interno, dei SISP che si dovrebbero occupare anche di profilassi delle malattie infettive e parassitarie secondo gli articoli 7bis e 7ter del D.Lgs. 229/99.
Nel frattempo, la quasi totalità delle Agenzie continua ad impegnare a livello analitico risorse logistiche, tecnologiche e umane per la sicurezza degli alimenti e dei cosmetici ma anche per la loro qualità merceologica con l’attivazione di panel test per olio, vino e caffè. E nulla è stato fatto per eliminare questa commistione.
Se la legge 61/94 non poteva che assicurare la continuità del supporto tecnico analitico delle Agenzie alle richieste dei DIP delle USL (Art. 03 comma 4), appare sorprendente che, dopo ventidue anni, la legge 132/2016 (che ha riformato e consolidato il Sistema delle Agenzie per l’ambiente) si sia limitata a ribadire per le Agenzie ambientali tale attività di servizio.
La riforma avrebbe dovuto almeno indicare un percorso di progressiva diminuzione dell’impegno dei laboratori ambientali con la parallela individuazione di laboratori di sanità pubblica che fossero in grado di soddisfare le esigenze analitiche dei servizi dei DIP (alimenti, ambienti di lavoro, etc.). Tuttavia, se siamo rassegnati alla disattenzione dei legislatori – nazionali e regionali – ci riesce difficile accettare il silenzio e il non intervento, ormai trentennale, dei ministri dell’Ambiente e, più di recente, delle Agenzie (AssoARPA e CNS). Rassegnazione? Va bene così?
A questa trascuratezza aggiungiamo l’interesse, la velleità o la dichiarazione esplicita, di alcune Agenzie, con tanto di medici in organico, di voler giocare un ruolo nella valutazione epidemiologica o tossicologica degli impatti ambientali con l’alibi/pretesto/giustificazione della generale e manifesta scarsa competenza specifica degli interlocutori sanitari dovuta a carenze strutturali nei programmi degli Istituti di Igiene delle università considerati da sempre le cenerentole delle facoltà di medicina. Vedi a questo proposito le recenti “rivendicazioni” programmatiche di Giuseppe Bortone, DG di ARPAE Emilia-Romagna e presidente di AssoARPA in una eccellente intervista su Ambienteinforma di dicembre che inserisce tra le competenze che il Sistema può mettere a disposizione la “capacità di analisi di epidemiologia ambientale.“ E non sono da trascurare, pur in una situazione di obiettiva emergenza, le dichiarazioni del DG Angelo Robotto nel comunicare, sul sito dell’Agenzia, l’attività di ARPA Piemonte per le analisi dei tamponi rapidi sostenendo che “ L’occasione permetteva inoltre di ampliare la visione strategica delle Agenzie per la protezione ambientale…dando nuove funzioni all’Agenzia.”
Se sono questi gli obiettivi e le visioni del SNPA – ne vorremmo conferma formale dal Consiglio nazionale del Sistema, – risulta evidente anche la difficoltà di sbrogliare la matassa sindacale ruolo sanitario/dirigenza recentemente acuitasi e che rende sempre più problematico l’inquadramento di figure professionali all’interno delle Agenzie. Anche questo conflitto, certamente paralizzante per le finanze e per l’organizzazione delle 21 Agenzie, può essere risolto soltanto con un riordino delle competenze e delle funzioni delle strutture ambientali e sanitarie in collaborazione e non in conflitto, senza confusioni e sovrapposizioni.
Ammesso che la nostra sommaria analisi sia corretta e che non stia montando un ripensamento sull’esito del referendum del 1993 o un revanscismo professionale becero, proviamo a proporre un’ipotesi di soluzione che progressivamente aiuti i due interlocutori, dal livello centrale a quello periferico, a realizzare un obiettivo che dovrebbe essere comune.
Questa battaglia deve essere condotta insieme e in parallelo in una sorta di alleanza che, nella pari dignità e nel reciproco rispetto dei ruoli e delle funzioni, utilizzi l’opportunità delle risorse messe a disposizione dal Recovery Fund e/o dallo European Stability Mechanism. Se, invece, l’SNPS dovesse riguardare solo gli attuali SISP, magari per infastidire l’SNPA sarebbe un’operazione miope e cialtronesca.
La prevenzione e i suoi operatori, dopo decenni di vessazioni, hanno un’occasione unica per avere finalmente un ruolo preminente nella difesa della salute rispetto alla cura dandosi un’organizzazione dal livello centrale a quello regionale e locale. Ma ciò è possibile solo se il progetto riguarda tutti i servizi e le funzioni dei Dipartimenti di Prevenzione. È in questa ottica che proviamo a delineare un progetto che coinvolga le istituzioni sanitarie e ambientali.
L’ex DG di ARPA Puglia Giorgio Assennato, medico e docente di epidemiologia occupazionale e ambientale, in un convegno a Brindisi del 1994, affermava che: “L'integrazione funzionale tra istituzioni ambientali e sanitarie è assolutamente necessaria e deve essere realizzata quanto prima;” aggiungendo che: “la criticità cronica nella gestione della tematica ambiente-salute deve indurre i ministeri competenti ad adottare provvedimenti che definiscano linee guida per tutti gli stakeholder.” Condividiamo ancora questa dichiarazione e cerchiamo di calare nella realtà anche parte delle proposte che UN.I.D.E.A. aveva avanzato fin dal 1994, dando soltanto alcuni spunti senza la pretesa di esaurire le implicazioni o dare carattere di sistematicità, organicità e sequenza agli stessi.
I Ministeri della Salute e dell’Ambiente devono predisporre, nell’ambito del Recovery Plan, un progetto per il riordino, il rilancio e l’integrazione delle due reti di strutture territoriali con la finalità di dare piena attuazione, dopo 42 anni, alla visione della innovativa L. 833/78.
Per la parte sanitaria, i tre servizi - Igiene e sanità pubblica, Igiene degli alimenti e nutrizione, Prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro - devono essere implementati in termini di personale, prevedendo diverse figure professionali e tecnologie da campo. Devono avere una maggiore dignità in campo sanitario e più visibilità nei confronti dei cittadini. Devono essere in grado di affrontare tutti i problemi derivanti da situazioni simil Covid (epidemiologia, tracciamento, diagnostica, vaccinazione) che, a detta degli esperti, potrebbero caratterizzare le emergenze sanitarie del futuro. Nel campo specifico di cui ci stiamo occupando – impatto dell’ambiente sulla salute – dovranno essere previsti esperti di epidemiologia e tossicologia ambientale, se non in tutti i DIP della regione almeno in alcuni la cui numerosità dovrà essere correlata alla presenza e tipologia degli impianti del territorio.
Ma tutti e tre i Servizi hanno comunque la necessità di una rete regionale di laboratori di supporto da sviluppare progressivamente a partire dai sopravvissuti Laboratori di Sanità Pubblica mentre per gli alimenti e le bevande sarà indispensabile perfezionare l’integrazione con gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali il cui rapporto con i Servizi Veterinari è ormai consolidato. Un caso a parte rappresenta l’ambiente di lavoro con i Servizi che hanno dovuto quasi abbandonare o ricorrere alle università o ai privati o alla autocertificazione da parte delle imprese per gli accertamenti sugli inquinanti negli ambienti e per i residui, metaboliti e indicatori specifici nei liquidi biologici di soggetti professionalmente esposti.
A regime, tale operazione, certamente complessa e progressiva, non soltanto libererà risorse umane, tecnologiche e logistiche finora dedicate dalle Agenzie ambientali al supporto tecnico delle strutture sanitarie, ma renderà spuntate le motivazioni alla base delle richieste sindacali e ordinistiche che impediscono alle stesse Agenzie di assumere le professioni sanitarie inquadrandole nel comparto e non nella dirigenza.
Da questo potrebbe discendere una maggiore disponibilità dell’Aran ad un diverso inserimento contrattuale del personale delle 21 Agenzie ambientali sorelle e, infine, diventerebbe più coerente raggiungere l’obiettivo fondamentale della non dipendenza finanziaria dalla Sanità e la costituzione di un Fondo Ambientale Nazionale.
A parte questo mero trasferimento di attività, è indispensabile che, nelle situazioni di collaborazione/integrazione tra strutture ambientali e sanitarie sia fatta chiarezza una volta per tutte su chi fa cosa. Competenze tecniche e limiti di intervento devono essere oggetto di norme regolamentari e protocolli rigorosi. Ad esempio, nel caso di valutazione dell’impatto di nuovi insediamenti produttivi – o di loro modifiche – e di emergenze, quali debbono essere i ruoli e le relative responsabilità?
La conoscenza e la trasparenza in questo campo sono dovute ai cittadini e alle imprese ma anche agli amministratori per i provvedimenti e ai magistrati per le indagini. Alla base deve esserci lo scambio permanente e bidirezionale delle informazioni strutturate e funzionali per le relative attività con la completa e compatibile informatizzazione di entrambi gli interlocutori.
Se la prevista integrazione funzionale dei due Sistemi sarà regolata da rigorose definizioni delle aree di intervento e protocolli operativi che rispettino le competenze, i ruoli e le responsabilità di ciascuno senza confusioni, invasioni di campo e posizioni preminenti, possono esserci positivi elementi di discussione e approfondimento.
È di tutta evidenza che il Ministero dell’Ambiente e il SNPA, coinvolgendo gli 11.000 operatori, dovranno seguire e vigilare attentamente la stesura dei documenti e i lavori parlamentari affinché siano assicurati i presupposti alla base del referendum del 1993 e della storia delle Agenzie per l’ambiente. D’altra parte, anche il SNPA ha bisogno, ritrovando la sua identità di Sistema, di un rilancio e di un potenziamento attraverso un “tagliando” della L. 132/2016. Ad aprile si chiudono i giochi per il Recovery Plan, speriamo senza danni e con un’evoluzione positiva.
*Responsabile editoriale BEA - Rivista di ricerca applicata alla conoscenza e alla gestione del territorio e degli ecosistemi – Organo ufficiale di UN.I.D.E.A.
NOTE
(1) #Next Generation Italia – Missione 6. Salute, Componente 1. Assistenza di prossimità e telemedicina – p.163 Bozza del 12 gennaio 2021