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2024-12-08 17:08

I “Benefattori” della Terra Che Condannano gli Oceani

DEEP SEA MINING – 4

di: 
Giovanni Brussato

L’ultimo della serie di articoli sullo sfruttamento minerario dei fondali oceanici, pubblicati sulla Rete di Resistenza dei Crinali, tratta delle compagnie minerarie che operano sui fondali oceanici, della loro ambizione ad essere considerati salvatori del pianeta, dell’inadeguatezza del quadro giuridico internazionale a protezione dei fondali marini e delle carenze degli organismi Onu che governano le concessioni per lo sfruttamento minerario.

Secondo Gerard Barron, CEO di DeepGreen Metals, la compagnia mineraria che sta cercando di diventare l’apripista dello sfruttamento minerario dei fondali oceanici, il mondo non sopravvivrà se continueremo a bruciare combustibili fossili ed il passaggio ad altre forme di energia richiederà un massiccio aumento della produzione di tecnologie green. Su un pianeta con un miliardo di automobili, la conversione in veicoli elettrici richiederebbe molto più metallo di tutte le riserve terrestri esistenti e l'estrazione comporterebbe un pesante tributo ambientale e sociale. Pertanto, sostiene Barron, DeepGreen “non si ritiene un’industria mineraria ma piuttosto un'azienda nel business della transizione energetica: vogliamo aiutare il mondo a uscire dai combustibili fossili con il minor impatto ambientale possibile. Questo è il bene pubblico globale che speriamo di creare”.

Un altro benefattore, l’ex CEO di Nautilus Minerals, Mike Johnston, ha descritto lo sfruttamento dei fondali come “inevitabile (…) per recuperare le risorse essenziali dal fondo marino cioè i metalli necessari all’economia verde".

La Global Sea Mineral Resources (GSR), azienda specializzata sullo sviluppo di risorse minerali oceaniche sostenibili della società belga DEME, che fornisce servizi alle compagnie petrolifere, ha recentemente contattato alcune organizzazioni che lavorano sui cambiamenti climatici con la sua nota informativa: “Mentre lavoriamo per un'economia decarbonizzata, la domanda di minerali rari è aumentata in modo esponenziale ed inesorabile. Soddisfare questa domanda attraverso l'estrazione terrestre è insostenibile e danneggerà irreparabilmente il nostro pianeta (...) Il mare profondo rappresenta una valida alternativa a questo ".

La UK Seabed Resources, una consociata interamente controllata da Lockheed Martin, uno dei più grandi produttori di armi al mondo, ha spiegato il suo interesse per i fondali marini in termini di forniture sicure “per applicazioni dell’energia pulita come i veicoli elettrici”. Dispone di concessioni di esplorazione per circa 133.000 chilometri quadrati (poco meno della metà della superficie dell'Italia) nell'Oceano Pacifico dove ritengono essere presenti rame, nichel, cobalto e REE (rare earth elements). Davanti alla "Environmental Audit Committee"  del Parlamento Inglese la società ha ammesso che le "operazioni causerebbero l'estinzione, all'interno dell'area mineraria, di organismi primari nella catena alimentare, con il rischio di danni irreversibili e distruzione dell'habitat."

L'Institute for Sustainable Futures (ISF) ha affermato invece che “la transizione verso una fornitura di energia rinnovabile al 100% può avvenire senza estrazione mineraria sui fondali oceanici. Anche con una proiezione molto alta dei tassi di crescita della domanda di metalli, sotto gli scenari energetici più ambiziosi, l'aumento previsto della domanda cumulativa non richiede l'attività mineraria in alto mare". Il loro modello "One Earth Climate Model" lanciato nel 2019 non apre a nuove frontiere per l'estrazione di metalli o minerali, affidandosi al riciclaggio ed alla progettazione efficiente in termini di risorse. Analogamente, anche l'ONU ed il Deep Sea Conservation Coalition (DSCC) hanno anche rilevato che, per restare in linea con l'Agenda 2030, l'approccio globale dovrebbe essere fondato su riutilizzo, migliore progettazione del prodotto e riciclaggio dei materiali.

Questo focus su riprogettazione, riduzione della domanda e riutilizzo, piuttosto che sull'ulteriore consumo di metalli, contrasta con i tentativi dell'industria mineraria di restringere il dibattito ad una falsa dicotomia tra l'industria estrattiva terrestre, con i devastanti problemi ambientali e sociali che una parte del mondo ben conosce, e l'apertura di una nuova frontiera mineraria nell'oceano profondo. D'altra parte, sulla base di uno studio del 2019 secondo il quale solo il 20% dei quasi 50 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici prodotto ogni anno viene riciclato, il dibattito sull'estrazione in acque profonde non può essere separato da discussioni più ampie sull'uso e consumo delle risorse.
Ma facciamo un passo indietro e vediamo come è nata DeepGreen e come lo stesso Barron sia entrato nel business della transizione energetica.

 

Nautilus Minerals

 Nel 1993 Julian Malnic, l'editore australiano di Miner, una rivista del settore, scrisse un lungo articolo sullo scienziato australiano, il Dott. Ray Binns, e sulla sua scoperta di preziosi giacimenti minerari in prossimità dei camini idrotermali sul fondo del mare vicino alla Papua Nuova Guinea. Aveva detto, il dottor Binns ai media, che il contenuto di rame e oro intorno a questi "camini" era colossale. Ai prezzi odierni il valore dei soli depositi d'oro totali sul fondo dell'oceano è stato stimato all’astronomica cifra di 150.000 miliardi di dollari. Un funzionario delle Nazioni Unite ha descritto il valore dei depositi di minerali degli oceani come "sconcertante".

Malnic utilizzò i dati del dottor Binns all'insaputa dello scienziato e fondò la Nautilus Minerals Niugini Ltd, che presentò un'istanza sui diritti di esplorazione al Governo della Papua Nuova Guinea. Malnic scattò delle fotografie ai campioni di Binns ed alle carte nautiche che identificavano la posizione dei camini idrotermali. All'insaputa di Binns, Malnic persuase il governo della Papua Nuova Guinea ad assegnargli la prima concessione per esplorazione dei fondali marini. Era il 1997 ed a Nautilus Minerals Niugini Ltd veniva assegnata la prima licenza di esplorazione al mondo per solfuri polimetallici per il Sito Solwara 1.

Dopo essersi assicurato la licenza di esplorazione, Malnic si recò a Tonga, dove ottenne una concessione di 200.000 chilometri quadrati nella Zona Economica Esclusiva di Tonga, a fronte del ridicolo corrispettivo di 300 dollari tongani, sfruttando l’ingenuità e la disponibilità delle autorità locali, come raccontato dallo stesso Malnic all'Australian Broadcasting Corporation.

Nonostante avesse acquisito queste concessioni, tuttavia per Julian Malnic non fu facile raccogliere il capitale necessario per i costosi macchinari necessari alla prospezione mineraria e nel 2002 David Heydon, un australiano con un passato nel settore delle prospezioni, entrò in Nautilus acquisendone la maggioranza e divenendone il CEO. Nel 2004 Nautilus siglò un accordo con la società multinazionale di estrazione dell'oro Placer Dome per intraprendere la prospezione delle sue concessioni in PNG e nel 2006 attraverso la fusione con la società mineraria canadese Orca Petroleum riuscì ad ottenere la quotazione alla Borsa di Toronto (TSX), la più grande borsa valori del CanadaQuesto scatenò una corsa alle azioni di Nautilus: il colosso minerario Anglo American acquisì uno stock di azioni della compagnia e la compagnia mineraria canadese Teck-Cominco rilevò il 9.2% del capitale. Nel 2007 Nautilus venne quotata alla Borsa di Londra raccogliendo 100 milioni di dollari da azionisti pubblici. In quell’anno solo per la disponibilità delle concessioni minerarie in PNG e nel Pacifico Nautilus superò i 300 milioni di dollari di capitale.

I primi investitori in Nautilus hanno ottenuto ritorni significativi: l'amico di Heydon, Gerard Barron, ha investito in Nautilus, nel 2001, 226.000 dollari e ha studiato e sviluppato strategie per la comunicazione e la raccolta fondi: quando è uscito da Nautilus sei anni dopo, in coincidenza con il massimo della quotazione di mercato, il suo investimento iniziale si era rivalutato fino a 31 milioni di dollari, lo stesso Heydon è diventato ricco.

Nel 2008 Heydon, dopo aver creato due società controllate al 100% da Nautilus nelle isole del Pacifico di Tonga (TOML) e Nauru (NORI) ha rassegnato le dimissioni da CEO. Nell'aprile 2008 Tonga e Nauru hanno sponsorizzato presso l’ISA le licenze per le prospezioni nella CCFZ di TOML e NORI rispettivamente. TOML ha continuato le attività come filiale di Nautilus, mentre il controllo di NORI è passato alla nuova avventura di Heydon, DeepGreen Metals. Infatti nel 2011, come direttore di NORI, David Heydon ha firmato un contratto di esplorazione di 15 anni con l'ISA, per l’esplorazione e prospezione di minerali in un'area designata della CCFZ. Heydon ha quindi cercato di sfruttare la concessione di questa licenza per cercare nuovi investitori che fornissero il capitale necessario, stimato in quattro miliardi di dollari, per intraprendere la prospezione.

Anche questa volta, per la ricerca degli investitori in DeepGreen, Heydon si rivolse a Gerard Barron nominandolo CEO di DeepGreen e mantenendo per sé e suo figlio posizioni di rilievo nell'azienda. Un certo numero di persone che aveva già fatto parte di Nautilus, tra cui il responsabile delle operazioni (COO), passò in DeepGreen.

Nel 2012, DeepGreen ha stipulato un accordo con il gigante delle materie prime, Glencore, identificato come un potenziale catalizzatore per attrarre investitori, per l’acquisto del 50% della produzione di nichel e rame dalle concessioni di DeepGreen. Per chi non lo ricordasse, Glencore è stato di recente sotto i riflettori anche per le sue violazioni dei diritti umani nella miniera di Katanga, nella Repubblica Democratica del Congo.

Successivamente DeepGreen ha preparato e finanziato una richiesta all'ISA per una licenza di prospezione da parte della piccola e remota isola del Pacifico di Kiribati e, dopo averla ottenuta nel 2015, Kiribati ha sponsorizzato una compagnia statale, Marawa Research and Exploration Ltd che in cambio ha stipulato con DeepGreen un off-take agreement: un contratto con cui il produttore di una risorsa, in questo caso la Marawa Research and Exploration Ltd,  si impegna a vendere a un acquirente, DeepGreen, determinate quantità di prodotti a prezzi stabiliti e per un prefissato numero di anni.

Nell'aprile 2018 una spedizione esplorativa è stata lanciata da DeepGreen, in partnership con la compagnia di navigazione Maersk, per l'esplorazione della sua concessione nel Pacifico orientale.  La spedizione doveva fornire i dati per realizzare una Dichiarazione di impatto ambientale (EIS) che NORI / DeepGreen intende presentare all'ISA: un passaggio necessario per passare da una licenza di prospezione ad una di estrazione; questo sarà possibile, se l'ISA finalizzerà i regolamenti, cioè il Codice Minerario, abilitante lo sfruttamento dei fondali marini internazionali, previsto per il 2020. Al lancio della spedizione di ricerca hanno partecipato il presidente di Nauru, Baron Waqa, il segretario generale dell'ISA Michael Lodge e nel ruolo del CEO di DeepGreen, Gerard Barron.

E qui sorge qualche dubbio, sollevato da molte ed autorevoli associazioni ambientaliste, sull’effettiva imparzialità ed adeguatezza di Michael Lodge in quanto segretario generale dell'ISA e, più in generale, sul ruolo dell’ISA. Pare, infatti, che il Segretario generale di questo organo delle Nazioni Unite promuova attivamente gli interessi commerciali di un’azienda, la DeepGreen Metals Inc., in video pubblicitari dell'azienda e in interviste realizzate nelle riunioni dei leader politici delle isole del Pacifico.

Con una mossa che mette in dubbio l'integrità dell'ISA, l’amministratore delegato di DeepGreen, Gerard Barron, vista la stretta relazione con il presidente Baron Waqa di Nauru ha occupato il posto di Nauru durante la riunione dell’ISA del febbraio 2019 utilizzando questa opportunità per promuovere la sua azienda e per sollecitare l'ISA a completare il codice minerario.

Il segretario generale dell'ISA, Michael Lodge con il casco della Deepgreen.

Il governo di Nauru, credendo alle promesse di prosperità di DeepGreen, sta promuovendo la loro attività nei fondali marini del Pacifico. Il presidente di Nauru, Waqa, il segretario generale dell’ISA, Michael Lodge e DeepGreen hanno utilizzato la posizione di Nauru come presidente 2019 del Pacific Islands Forum per descrivere l’attività mineraria come la panacea economica per questa regione, trascurando - i primi due - i loro doveri di cura delle popolazioni e dell’ecosistema marino da cui tutti dipendiamo, a vantaggio degli interessi commerciali finanziariamente, socialmente ed ambientalmente rischiosi, del settore minerario e di DeepGreen.

 

La legge del mare

 Il quadro giuridico internazionale per l'estrazione dei fondali marini deriva dalla Parte XI della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (la "UNCLOS") e dall'accordo del 1994 relativo all'attuazione della parte XI del UNCLOS. Ci sono 166 Stati parti dell'UNCLOS.

L'UNCLOS conferisce agli Stati parte costieri diritti sovrani di esplorare, gestire e sfruttare le risorse situate all'interno delle rispettive scarpate continentali, che sono ampiamente definite, nell'articolo 76, come il fondo marino e il sottosuolo che si estende fino a 200 miglia nautiche dalla riva, noto come "Zona economica esclusiva" (EEZ). Di conseguenza, uno Stato parte costiero potrebbe sviluppare le proprie politiche per consentire e regolare l'estrazione dei fondali marini all’interno della propria giurisdizione nazionale. Ciò detto, l'articolo 235 dell'UNCLOS impone anche l’obbligo generale per tutti gli Stati parte di proteggere e preservare l’ambiente marino, sia all'interno che all'esterno delle aree di giurisdizione nazionale.

Il fondale oltre i limiti della giurisdizione nazionale, denominato “l’Area”, ed i minerali nel sottosuolo sono dichiarati dall'UNCLOS “patrimonio comune dell'umanità”. Di conseguenza, l'esplorazione e lo sfruttamento delle risorse dell'Area devono essere realizzate “a beneficio dell'umanità, intesa nella sua interezza". Sulla base di questa premessa, L’UNCLOSS ha istituito nel 1994 un organismo indipendente, l'Internazionale Seabed Authority ("ISA") per regolamentare e controllare le attività minerarie sul fondo marino nell'Area. I 166 Stati parte dell'UNCLOS sono diventati automaticamente membri dell'ISA.

In conformità alle disposizioni, regole e procedure del "codice minerario", previste dall’ISA e relative all'estrazione di fondali marini, nella zona dell'Area possono essere svolte solo attività di prospezione. Impegnarsi nella prospezione richiede da parte del Paese richiedente una garanzia da fornire all'ISA che il prospettore proposto si conformerà con l'UNCLOS e il codice minerario e accetterà la verifica di conformità da parte dell'ISA.

Esplorazione e sfruttamento possono essere effettuati solo in base a un contratto stipulato con l'ISA, che può essere aggiudicato ad agenzie statali e imprese minerarie private sponsorizzate da uno Stato parte dell'UNCLOS. L’elemento di sponsorizzazione statale è fondamentale in questa fase per garantire che la responsabilità ultima delle attività degli enti che stipulano contratti con l'ISA sia di uno Stato parte dell'UNCLOS.

 

L'inadeguatezza dell'ISA

Ora, le organizzazioni ambientaliste mettono in discussione che l'ISA, quale gestore delle risorse dei fondali marini e incaricata di sviluppare il codice minerario, sia in grado di servire gli interessi degli Stati membri e, soprattutto, di proteggere l’ambiente.

Infatti, la commissione legale e tecnica dell'ISA che redige il codice minerario è chiusa alla partecipazione della società civile, nonostante abbia ricevuto istruzioni dall'Assemblea ISA per incontrarsi in sessioni aperte. Le licenze d'esplorazione concesse dal Segretariato ISA a DeepGreen e anche ad altre società sono riservate, così come le relazioni annuali sull'attività di esplorazione che le aziende sono tenute a presentare all'ISA. Inoltre, non sono state accolte le richieste per l'istituzione di un comitato scientifico o ambientale e, pertanto, le considerazioni ambientali sono realizzate dalla Commissione Legale e Tecnica (LTC) formalmente controllata dai geologi, con solo tre dei suoi 30 membri che hanno anche competenze biologiche o ecologiche.

Nei suoi incontri a porte chiuse, l'LTC conserva le informazioni chiave sulle esplorazioni degli appaltatori come riservate, comprese informazioni su eventuali problematiche di conformità. L'ISA ha promesso da molto tempo che i dati ambientali verranno caricati in un database pubblico, ma questo non si è ancora verificato.

L'LTC è l'unica parte dell'ISA a disporre delle relazioni annuali degli appaltatori sulle loro attività di esplorazione e fornisce una sintesi di questi rapporti al Consiglio ISA, responsabile del processo decisionale. Tuttavia, questi riassunti sono generalmente estremamente stringati, condensati in poche righe e possono parlare vagamente di violazioni, ma non forniscono dettagli. I Membri del Consiglio si sono lamentati di aver bisogno di maggiori informazioni per sostenere un solido processo decisionale, soprattutto per non consentire agli appaltatori recidivi di farsi beffe dei regolamenti estrattivi in futuro. Questa mancanza di trasparenza comporta inoltre che i governi che detengono licenze di esplorazione potrebbero non venire a conoscenza se l'azienda contrattualizzata non si attiene alle regole e garanzie durante lo svolgimento delle attività di esplorazione.

Altre considerazioni riguardano il fatto che l'ISA non ha alcun mandato o competenza per proteggere gli ambienti marini profondi da stress cumulativi, come la pesca a strascico o minacce associate al cambiamento climatico e all'inquinamento da plastica, di cui è stata provata la presenza nella fossa oceanica più profonda. Infatti, la sostenibilità ambientale si basa sulla considerazione dell'influenza combinata su un ecosistema di molteplici attività, come ad esempio la posa di cavi e la pesca, a cui si aggiunge l'estrazione mineraria in alto mare.  Nemmeno il Regional Environmental Management Plans (REMPs) dell'ISA considera gli stress cumulativi e, l'anno scorso, la comunità scientifica, alla luce di nuove scoperte scientifiche sul mare profondo, ha dichiarato che il REMP è inadeguato dopo soli sei anni.

L'ISA indica le aree vietate all'estrazione mineraria designandole "Aree di particolare interesse ambientale" (API), tuttavia, la maggior parte delle zone API nella zona di frattura di Clarion-Clipperton (CCFZ) sono stati designate in zone che tendono ad evitare conflitti con contratti di esplorazione piuttosto che in quelle originariamente raccomandate dagli scienziati per la conservazione marina. Questi fatti e la concessione di più contratti di esplorazione in aree ad alta biodiversità, pongono notevoli dubbi sull'effettiva volontà dell'ISA di realizzare un sistema pienamente rappresentativo di aree ecologicamente coerenti vietate alle attività minerarie.

Infatti, l'ISA ha già concesso contratti di esplorazione che coprono alcune delle grandi meraviglie dell'oceano profondo. Il sito Lost City per esempio, recentemente apparso in Blue Planet II della BBC, una spettacolare serie di camini idrotermali attivi, è stato classificato Ecologically or Biologically Significant Marine Area (EBSA) ai sensi della Convenzione sulla Diversità Biologica (Convention on Biological Diversity), ed è stata identificato anche dall'UNESCO come conforme ai criteri del Patrimonio Mondiale, ponendola allo stesso livello delle Piramidi di Giza, Machu Picchu e della Grande barriera corallina.

Lost City Credits: NOAA

Eppure, nel febbraio 2018, questo sito è stato incluso in un’area della dorsale medio atlantica oggetto di una concessione di esplorazione concessa dall'ISA al governo polacco. Analogamente una concessione cinese di esplorazione include il South West Indian Ridge che soddisfa i criteri per essere classificato come EBSA e dove una spedizione di ricerca ha scoperto nuove specie animali che non sono presenti da nessun'altra parte sulla Terra. Ma gli EBSA non offrono una protezione legalmente vincolante e questi esempi dimostrano l'incapacità dell'ISA di coordinarsi con gli altri organismi internazionali per fornire una protezione ambientale efficace.

Nonostante le compagnie minerarie ed i funzionari dell'ISA facciano frequente riferimento ad un approccio precauzionale, il requisito dell'ISA per la prova del danno è stato criticato proprio perché contraddice il principio di precauzione, un principio centrale del diritto ambientale internazionale. Infatti, i regolamenti di esplorazione stabiliscono che "la prospezione non deve essere intrapresa se prove sostanziali indicano il rischio di grave danno per l'ambiente marino”, che inverte l'onere della prova precauzionale e manca di chiarezza nella definizione di ciò che costituisce "prova sostanziale" o "grave danno". In effetti, Michael Lodge ha una interpretazione flessibile della conservazione proattiva, che lo ha portato ad affermare che “la posizione predefinita è che il fondale marino è off-limits all'estrazione mineraria eccetto dove espressamente consentito dall’ISA che segue un rigoroso processo di approvazione”. Vale la pena notare che, ad oggi, l'ISA non ha mai rifiutato nessuna domanda di licenza.

L'autodichiarazione e l'autoregolamentazione del settore sono quindi il modus operandi prioritario: l'attuale progetto di regolamento permette che l’appaltatore, non l'ISA, abbia il compito di redigere e rivedere i propri documenti ambientali e di condurre le proprie valutazioni. Questa dipendenza dall'auto-segnalazione, in un settore dove l’intento primario è di ridurre gli elevati costi iniziali, è completamente inadeguata, in particolare dove le attività si svolgono migliaia di metri sotto la superficie. Il rapporto intimo dell'ISA con l'industria è risultato evidente in una riunione del Consiglio ISA nella primavera del 2019, quando due società sono state autorizzate a parlare a nome di governi: prima DeepGreen, parlando dal seggio di Nauru, poi il presidente di Global Sea Mineral Resources, che ha preso la parola a nome del Belgio.

Parlamentari britannici di tutti i partiti hanno sollevato preoccupazioni su “un chiaro conflitto di interessi” dell'ISA, come ente che dovrebbe regolamentare il settore e che nel contempo “ne trarrà vantaggio come entrate". Infatti, come lo stesso Michael Lodge ha dichiarato al Finacial Times, "le questioni ancora in discussione includevano il modo in cui le attività minerarie sarebbero state tassate dall'ISA". In che modo i proventi dell'attività mineraria porteranno benefici all'intera umanità, come richiesto dalla legge, è ancora irrisolto, nonostante la certezza dei rischi presentati dall'estrazione per questi ecosistemi unici che hanno un'elevata biodiversità endemica e che sono essenziali per limitare il cambiamento climatico.

Questo conflitto insito nell'ISA che agisce da “bracconiere e guardacaccia” sta sollevando domande su come possa essere imparziale un regolatore che, come ha fatto Lodge, sostenga che “l'attività mineraria ed i metalli sono essenziali per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile al 2030 delle Nazioni Unite (il Green Deal)”. Questo nonostante l'estrazione mineraria in alto mare pregiudichi il progresso all'SDG (Sustainable Development Goal), che mira a garantire un consumo e modelli di produzione sostenibili e a conservare e utilizzare in modo sostenibile le risorse degli oceani, dei mari e l'ambiente marino in generale.

Recentemente l’ISA è intervenuta in più sedi per difendere "il quadro giuridico esistente" sostenendo che le eventuali modifiche “potrebbero aprire più domande che risposte per l'efficace conservazione e uso sostenibile della biodiversità marina”. Naturalmente desta forti perplessità in chi scrive il fatto che sia poco chiaro il sistema e l’entità delle royalties che le compagnie minerarie dovrebbero pagare per i diritti minerari delle concessioni sui fondali oceanici. Si tratta di cifre enormi che, derivando da un patrimonio dell'umanità, sarebbe opportuno venissero gestite con criteri rigorosi e trasparenti. Anche per queste ragioni è necessario un forte Trattato Globale sull'Oceano sotto il negoziato dell'ONU per mettere la protezione degli oceani al centro della governance globale. Questo supererà il focus degli organismi settoriali esistenti, come l'ISA, sullo sfruttamento a breve ed a lungo termine degli ambienti oceanici.

 

La fine di Nautilus Minerals

Come abbiamo visto, alcuni dei primi investitori di Nautilus hanno lasciato la società al culmine del prezzo delle sue azioni, e grazie ai profitti realizzati hanno fondato DeepGreen. Tuttavia, Nautilus è ora sull'orlo del fallimento con numerosi piccoli azionisti, investitori ed appaltatori che stanno affrontando enormi perdite. 

Dal 2017 Nautilus è sopravvissuta grazie a un flusso discontinuo di prestiti ponte dai suoi due principali azionisti, la società mineraria russa Metalloinvest e MB Holding Company LLC del Sultanato dell'Oman. L'azienda, sotto il peso dell'opposizione concertata dalla società civile internazionale e dalla Papua Nuova Guinea e con l'avvio di una causa legale nel 2017 da parte di membri delle comunità locali, ha visto mettere a rischio il suo progetto di punta Solwara 1.  Inoltre, il disinvestimento nel 2018 della sua principale azionista rimanente, la compagnia mineraria Anglo American, e la perdita di personale chiave passato a DeepGreen hanno portato Nautilus, nel febbraio 2019, a presentare istanza per la tutela giudiziaria dai creditori. Nell'aprile 2019, il titolo è stato rimosso dal TSX. Come nota di cronaca, tra i finanziatori di Metalloinvest per il progetto Solwara 1 figurano anche due istituti di credito italiani: UNICREDIT per oltre 700 milioni di dollari ed Intesa San Paolo per oltre 32 milioni di dollari.

Nautilus per molti anni ha corteggiato il governo della Papua Nuova Guinea affinchè si impegnasse ad acquistare il Progetto Solwara 1. Quando il governo, valutati i rischi connessi, ha cercato di rinnegare un suo diretto coinvolgimento finanziario, Nautilus ha costretto il governo PNG, tramite un arbitrato condotto in Australia, ad acquistare una quota del 15% del progetto Solwara 1. Il governo della PNG si è rivolto alla sua banca nazionale per un prestito di 125 milioni di dollari per adempiere a questo obbligo tramite un'impresa statale e senza approvazione parlamentare. Il primo ministro O'Neill tentando di giustificare il suo investimento in questo impresa speculativa fallita ad una cittadinanza priva di assistenza sanitaria di base, scuole ed infrastrutture ha parlato di "un affare che non doveva succedere in questo paese”. Per i nove milioni di abitanti il costo sarà equivalente a un terzo del budget per la sanità del paese del 2018.

 

RIFERIMENTI

  • Deep Sea Mining Campaign, London Mining Network, Mining Watch Canada. 2019.
  • IN DEEP WATER The emerging threat of deep sea mining, Greenpeace International
  • Institute for Sustainable Futures, University of Technology Sydney, Responsible Minerals Sourcing for Renewable Energy  Dominish, E., Florin, N. and Teske, S.,2019