LA RELAZIONE DELLA CORTE DEI CONTI
“Scarso utilizzo delle risorse stanziate e inefficacia delle misure sinora adottate, di natura prevalentemente emergenziale e non strutturale”. È quanto afferma la Corte dei conti nella relazione sul Fondo per la progettazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico (2016-2018), che ha preso in esame le modalità di funzionamento e di gestione del Fondo, istituito con la legge n. 221 del 2015.
Dalla relazione emerge che le risorse effettivamente erogate alle Regioni rappresentano, negli anni oggetto dell’indagine, solo il 19,9% del totale di 100 milioni di euro in dotazione al Fondo, di cui l’80% destinato al Mezzogiorno. E questo a causa di procedure inadeguate, debolezza delle strutture attuative degli interventi, frammentazione e disomogeneità delle fonti dei dati sul dissesto, assenza di controlli e monitoraggi.
Infatti, scrive la Corte dei conti, il ministero dell’Ambiente ha erogato solo la prima tranche del 26% dell’importo richiesto da ciascuna Regione, mentre non è stata erogata la seconda tranche, pari al 47%, e ovviamente neppure la terza tranche, perché nessuna Regione ha completato le progettazioni oggetto del finanziamento.
I progetti sono 335, di cui 114 al Centro Nord e 241 nel Mezzogiorno, e il Fondo progettazione rappresenta una quota minima rispetto all'entità complessiva delle risorse necessarie a realizzare le opere, stimata in 2,4 miliardi di euro, di cui quasi 759 milioni destinati al Centro Nord e circa 1,6 miliardi al Mezzogiorno.
Ma la partenza non fa ben sperare. Infatti la relazione della Corte dei conti certifica il mancato raggiungimento dell’obiettivo per il quale era stato creato il Fondo e cioè favorire la progettazione e accelerare la cantierabilità delle opere e degli interventi di contrasto al dissesto idrogeologico, “a dimostrazione che la sola disponibilità di risorse in bilancio non sempre è sufficiente a garantire la realizzazione di interventi efficaci”.
La Corte dei conti invita a riflettere “sull’uso reiterato”, anche nel campo del dissesto idrogeologico, del ricorso ai commissari straordinari e sulla sua efficacia. La Corte ricorda di aver segnalato anche in altre occasioni “come la trasformazione dell’istituto del commissariamento in mezzo ordinario di soluzione di problemi organizzativi non abbia prodotto risultati significativi. Nel caso oggetto di questa indagine, l’analisi sulla gestione dei finanziamenti per il contrasto al dissesto idrogeologico, già a partire dalle esperienze commissariali precedenti all’istituzione del Fondo, conferma che le misure straordinarie e le deroghe delle norme non hanno garantito il raggiungimento degli obiettivi”.
Infatti, il cosiddetto “Decreto Competitività” (legge 116/2014) ha attribuito ai presidenti delle Regioni, in qualità di commissari di governo, la responsabilità della realizzazione degli interventi per la mitigazione del dissesto idrogeologico individuati negli Accordi di programma sottoscritti tra il ministero dell'Ambiente e le Regioni. I presidenti delle Regioni sono quindi responsabili dell’attuazione degli interventi sul territorio regionale, sia di quelli finanziati con risorse già stanziate sia di quelle programmate nel nuovo ciclo. Ma è evidente che questa soluzione non funziona.
Ad esempio, osserva la Corte, il fatto che dal 2017 ad oggi sia stata solo erogata la prima tranche del finanziamento e che i commissari di governo non abbiano ancora richiesto la seconda quota, “dimostra che il monitoraggio e il controllo non sono stati efficaci e tempestivi nel cogliere le problematiche e le soluzioni da adottare”.
Secondo la Corte dei conti, “non sembra ancora essere compiutamente definita una vera e propria politica nazionale di contrasto al dissesto idrogeologico, di natura preventiva e non emergenziale, coerente anche con una politica urbanistica e paesaggistica, rispettosa dei vincoli ambientali, con interventi di breve, medio e lungo periodo”.
Se l’evoluzione della normativa dimostra che c’è consapevolezza del problema, tuttavia “le riforme continue della governance, conseguenti alla necessità di trovare soluzioni straordinarie alle criticità via via emerse, le procedure lente di assegnazione delle risorse ed altre vischiosità procedimentali, hanno reso in larga parte inefficace l’intervento pubblico nazionale nel settore”.
Inoltre, le nuove normative intervengono prevalentemente dopo i disastri, come dimostrano il decreto Sarno e il decreto Soverato, senza un “carattere programmatico e preventivo, orientandosi verso interventi continui sulle strutture organizzative, con ciò producendo ritardi nell’attuazione”.
“La lenta approvazione dei progetti e le complesse procedure di messa in gara dei lavori, accompagnate dai cambiamenti geomorfologici dei territori, hanno determinato un allungamento dei tempi, molto spesso nemico della prevenzione almeno tanto quanto la mancanza di risorse finanziarie”.
A ciò si aggiunge la continua riforma delle autorità competenti a livello statale: prima il ministero dell’Ambiente, poi la Struttura di missione della Presidenza del Consiglio dei Ministri “Italia Sicura” e quindi di nuovo il dicastero dell’Ambiente, a cui corrispondo a livello regionale i commissari/presidenti di Regione, “che non dispongono di strutture tecniche dedicate”. Una struttura di governance in continuo cambiamento e inefficace, che “non ha prodotto sinora i risultati attesi”.
La Corte dei conti invita a uscire dalla logica emergenziale, osservando come il ripetuto ricorso alle gestioni commissariali dimostri “la difficoltà delle amministrazioni nazionali e locali di incardinare l’attività di tutela e prevenzione nelle funzioni ordinarie delle Regioni e dei Comuni, senza peraltro conseguire i risultati attesi. Il tema del contrasto al dissesto idrogeologico è strettamente legato alla sicurezza del territorio e dei cittadini e, come tale, dovrebbe rientrare tra le funzioni ordinarie svolte dalle amministrazioni locali anche dotandole di capacità tecniche e amministrative per la gestione dei progetti”.