QUEL CHE C’È DA SAPERE
La Commissione Ue ha deciso di estendere anche all'import di componenti per pannelli solari provenienti da Taiwan e Malesia i dazi antidumping già in vigore nei confronti di quelli cinesi. Infatti, un’indagine iniziata lo scorso maggio su segnalazione di un produttore europeo del fotovoltaico, SolarWorld AG, ha accertato che dai due paesi asiatici vengono esportati in Europa pannelli solari e loro componenti la cui provenienza originaria è in realtà la Cina, aggirando così i dazi antidumping e anti-sovvenzione imposti dall’Ue nei confronti delle esportazioni fotovoltaiche di Pechino. I nuovi dazi non saranno applicati a una ventina di produttori di Taiwan e a cinque della Malesia, che hanno dimostrato di non essere coinvolti nella frode.
Durante l’indagine, la Commissione europea ha registrato tutte le importazioni di moduli e celle solari provenienti da Taiwan e Malesia, e ora le autorità doganali degli Stati membri possono esigere retroattivamente i dazi non pagati dai produttori cinesi, a partire dalla fine di maggio 2015.
I dazi antidumping e anti-sovvenzione sui pannelli e i componenti fotovoltaici di provenienza cinese esportati nell’Unione europea furono imposti dalla Commissione Ue nel dicembre 2013, al termine di una lunga indagine, che aveva accertato come gli esportatori cinesi avessero violato le norme dell’Organizzazione mondiale del commercio, che vietano di usufruire di aiuti di Stato, come finanziamenti agevolati, sgravi fiscali, agevolazioni sull’acquisto delle materie prime e finanziamenti per aumentare la capacità produttiva.
Dopo aver deciso l’istituzione di dazi, la Commissione Ue accettò l’accordo proposto dalla maggioranza degli esportatori cinesi del fotovoltaico, stabilendo un prezzo minimo per ogni modulo e un tetto alla quantità di pannelli esportabili annualmente in Europa. L’accordo fu accettato da un centinaio di produttori cinesi, che coprivano circa il 75% del mercato europeo, mentre per gli altri furono applicati i dazi. Queste misure sarebbero dovuto durare due anni ma sono ancora in vigore e lo resteranno fino a quando la Commissione Ue non avrà completato un'indagine per valutare la revisione del provvedimento, cosa che non avverrà prima della fine dell’anno.