QUEL CHE C’È DA SAPERE
Per quindici anni la Cina ha mentito sul proprio consumo di carbone, sottostimandone le quantità, al punto che i dati diffusi dal governo di Pechino relativamente al 2013 erano del 17% inferiore ai consumi reali. La notizia, destinata a complicare ulteriormente le trattative in vista della prossima Conferenza delle Parti (COP 21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si terrà a Parigi dal 30 novembre all’11 dicembre, è stata data il 4 novembre dal New York Times, che ha scoperto i dati reali in una pubblicazione dell’Agenzia statistica cinese, China Energy Statistical Yearbooks 2013 and 2014, la cui diffusione era avvenuta senza clamore, cadendo nella disattenzione generale.
La conseguenza di questa sottostima dei consumi di carbone da parte della Cina, che ne è il maggior utilizzatore a livello mondiale, è che anche le stime sulle emissioni di gas serra fornite da Pechino non corrispondono alla realtà. Secondo i primi calcoli, la Cina avrebbe emesso circa un miliardo di tonnellate di CO2 all’anno in più di quanto sinora stimato. Una quantità che da sola è maggiore delle emissioni annue da combustibili fossili della Germania. Secondo i nuovi dati, nel 2012 la Cina avrebbe consumato circa 600 milioni di tonnellate di carbone in più di quanto sinora dichiarato, il che equivale a oltre il 70% del consumo annuo di carbone degli Stati Uniti.
Ma c’è un altro problema nel calcolo delle emissioni di gas serra e nelle politiche per la loro riduzione, che il mondo scientifico indica da tempo, ma che a livello politico, dalla Banca Mondiale e nei negoziati per un accordo da sottoscrivere a Parigi viene costantemente ignorato. Si tratta del metano emesso dagli impianti idroelettrici, che vengono addirittura presentati come una soluzione di energia pulita a emissioni zero, a cui ricorrere nei piani nazionali di riduzione delle emissioni presentati da diversi paesi. Il metano è un gas a effetto serra 25 volte più potente della CO2 e uno studio su 85 laghi artificiali in varie parti del mondo, pari al 20% della superficie complessiva occupata dai laghi artificiali esistenti per la produzione idroelettrica, pubblicato quattro anni fa dalla rivista Nature Geoscience, ha evidenziato come i bacini idroelettrici siano emettitori di anidride carbonica e metano, in misura variabile a seconda delle latitudini, della temperatura e della vegetazione sommersa. Lo studio ha stimato le emissioni annuali di gas serra dell’idroelettrico in circa 48 milioni di tonnellate di anidride carbonica e 3 milioni di tonnellate di metano, un valore, quest’ultimo, pari al 4% delle emissioni mondiali di metano da parte delle acque interne. Un valore probabilmente sottostimato, avvertiva lo studio.
Dopo la presentazione di questo studio, Sergio La Motta, esperto ENEA di valutazione delle emissioni di gas serra, aveva osservato come i risultati della ricerca confermassero che, “non solo è necessario approfondire ulteriormente il problema delle emissioni di gas serra da parte dei laghi artificiali, ma è allo stesso tempo importante definire adeguate metodologie di quantificazione delle emissioni, da includere nelle procedure di valutazione dell’impatto ambientale delle centrali idroelettriche, senza dimenticare che anche gli inventari nazionali delle emissioni di gas serra ne devono tener conto”.
Ciononostante, in diversi piani nazionali per la riduzione dei gas serra, presentati dai vari paesi in vista della Conferenza di Parigi sul clima, l’idroelettrico è proposto come una delle fonti energetiche rinnovabili e pulite per concorrere al raggiungimento dell’obiettivo di riduzione. EcoWatch porta l’esempio di quattro paesi. La Cina, che sta realizzando decine di centrali idroelettriche l’anno, tra cui la più grande al mondo, dichiara di voler “promuovere attivamente lo sviluppo dell’idroelettrico, partendo dal presupposto della tutela ecologica e ambientale, e del reinsediamento degli abitanti”. L’India scrive che “con un vasto potenziale di oltre 100 GW, stanno per essere intraprese una serie di iniziative e azioni politiche per perseguire con decisione lo sviluppo dell’ampio potenziale idroelettrico del paese”. Il Giappone, che ha già decine di centrali idroelettriche in funzione, ne ha pianificate altrettante, con l’obiettivo di raggiungere il 9% di energia idroelettrica entro il 2030, come contributo al raggiungimento del suo obiettivo di riduzione delle emissioni. Il Costa Rica copre oltre l’80 per cento del suo fabbisogno attraverso l’energia idroelettrica e sta terminando la costruzione della più grande diga del Sud America, senza considerare mai le possibili emissioni di gas serra.