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2025-01-22 12:51

L’interrimento degli invasi: cause, effetti e rimedi

LA VALORIZZAZIONE DELL’IDROELETTRICO

di: 
Fiorenzo Fumanti e Leonello Serva

Interventi di rimozione dei sedimenti accumulatisi nei bacini sono non solo possibili per migliorare la produttività del patrimonio idroelettrico, ma in certi casi addirittura necessari per la sicurezza. Ci sono tuttavia condizioni da rispettare e valutazioni più complessive da condurre caso per caso.

Una delle maggiori problematiche nella gestione degli invasi artificiali, siano essi ad uso energetico o irriguo, è rappresentata dall’interrimento, cioè dal progressivo accumulo di sedimenti che riduce la capacità d’invaso e che può limitare la sua funzionalità, sino a precluderla totalmente. Risulta pertanto necessario che la sedimentazione negli invasi sia controllata e limitata, per non rischiare di perdere risorse di elevato interesse economico ed ambientale.

Le cause. La costruzione di un’opera di sbarramento lungo un corso d’acqua altera profondamente il bilancio tra l’afflusso e il deflusso di sedimenti, creando un’area caratterizzata da basse velocità della corrente e da una elevata capacità di intercettazione dei sedimenti stessi.

L’interrimento dell’invaso è legato alla sedimentazione delle particelle di suolo e roccia erose nel bacino idrografico a monte dello sbarramento e trasportate dalle acque affluenti.

L’erosione idrica del suolo è un fenomeno del tutto naturale, parte dei processi morfogenetici che determinano l’evoluzione del paesaggio, ed in quanto tale ineliminabile. E’ quindi un fenomeno strettamente dipendente dalle condizioni geologiche, pedologiche, geomorfologiche, climatiche e vegetazionali del bacino sotteso dall’invaso. Tuttavia tale processo può essere accelerato e reso più intenso dalle azioni antropiche condotte a monte. I disboscamenti, le pratiche agricole non rispettose dei principi di conservazione del suolo, l’asportazione dei suoli o la loro copertura con materiali impermeabili, legata ai processi di urbanizzazione, sono azioni che determinano, con grado diverso, l’incremento della quantità, velocità e erosività delle acque di ruscellamento superficiale con aumento del trasporto solido in sospensione nel reticolo idrografico.

Inoltre, l’entità e la velocità di accumulo nell’invaso non sono costanti nel tempo ma variano in funzione delle fluttuazioni del regime fluviale legato alle condizioni meteoclimatiche che, in condizioni particolarmente avverse, possono anche innescare movimenti gravitativi di versante (frane s.l.) con apporto nei collettori di altre, ingenti, quantità di materiali solidi.

Gli effetti. I danni provocati dall’erosione, comprendendo anche le frane, vengono generalmente classificati come danni manifesti nei luoghi in cui il fenomeno avviene (danni on-site: perdita di suolo e di fertilità, danni alle colture e agli abitati, ecc.) e danni che si verificano in aree distanti da quelle in cui il fenomeno erosivo è avvenuto (danni off-site) che si traducono in diminuzione della capacità dei fiumi e della funzione laminatrice degli invasi con incremento delle alluvioni, danni alle infrastrutture, inquinamento delle acque superficiali dovuto al trasporto di inquinanti a mezzo delle acque di scorrimento superficiale ecc.

L’interrimento rappresenta quindi un tipico danno off-site. La deposizione dell’elevato contenuto solido ha una incidenza diretta, oltre che sulla capacità di invaso del bacino, sulla manutenzione, sul costo e sull’efficacia delle opere idrauliche e dei dispositivi meccanici dei serbatoi artificiali. L’accumulo di sedimenti incrementa le sollecitazioni sul corpo diga e può determinare anche problemi nella stabilità della struttura. L’interrimento può inoltre generare problematiche anche serie sui corsi d’acqua affluenti ed effluenti, nonché sulla qualità delle acque stesse e dei relativi ecosistemi.

Le problematiche generate dell’interrimento e dalla conseguente diminuzione del volume di invaso sono schematizzate in tab. 1. (CISL, 2008; Bazzoffi e Vanino, 2010; Di Silvio, 2004)

Problemi economici e sociali

  • riduzione della vita utile della diga
  • riduzione quantitativa e qualitativa delle utilizzazioni (idroelettrica, irrigua, ecc.)
  • riduzione della possibilità di usi ricreativi di laghi e corsi d’acqua

Problemi idraulico-ambientali

 

  • diminuzione della capacità di regolazione dei deflussi e di laminazione delle piene
  • erosione dei litorali, dovuta alla modifica del bilancio dei sedimenti e conseguente riduzione di apporti solidi verso i litorali
  • abbassamento generalizzato dell’alveo a valle della diga con possibili erosioni localizzate, e pericoli per la stabilità delle infrastrutture quali ponti, arginature e opere di presa
  • riduzione battente idrico
  • modifiche dell’alveo a monte
  • riduzione della pendenza della foce dell’immissario ed elevazione della superficie libera

Problemi energetici

  • riduzione producibilità dell’impianto idroelettrico eventualmente presente (proporzionale al prodotto tra il volume dei materiali deposti e il salto geodetico)

Problemi ecologici-ambientali

  • qualità dei sedimenti, presenza di possibili inquinanti
  • impatto su flora e fauna
  • effetti negativi sulla qualità delle acque dei corpi idrici
  • danni agli ecosistemi acquatici quali le zone umide, che possono minacciare la produttività e la biodiversità (scomparsa di specie vegetali e riduzione del patrimonio faunistico)

Problemi geotecnici-strutturali

  • spinta dei materiali solidi accumulati contro il paramento di monte e conseguente aumento delle sollecitazioni sulla diga e possibili erosioni localizzate al piede della stessa
  • modifica della risposta sismica della diga

Problemi gestionali

  • gestione operativa degli organi di scarico
  • ostruzione e perdita di efficienza degli scarichi di fondo e degli organi di presa, filtraggio e derivazione
  • abrasione delle opere civili (sfioratori, gallerie) e dispositivi elettromeccanici (turbine e paratoie)
  • criteri e attuabilità del possibile riutilizzo dei materiali sedimentati

Tab. 1 – Problemi generati dai processi di interrimento degli invasi artificiali

 

La situazione in Italia

Le grandi dighe. Secondo i dati del Registro Italiano Dighe, attualmente sono presenti sul territorio nazionale 541 grandi dighe di competenza statale (volume d’invaso maggiore di 1.000.000 m3, altezza maggiore di 15 m), e migliaia di piccole dighe di competenza regionale e locale. Delle grandi dighe, ad ottobre 2013, 31 erano fuori esercizio e 13 in costruzione. La loro età media è prossima a 60 anni, ed è maggiore nell’arco alpino-appennino settentrionale rispetto al meridione/isole. L’utilizzazione prevalente è quella idroelettrica (58%) ed irrigua (26%), la restante percentuale è ripartita tra uso potabile (7%), industriale (3%), laminazione ed altro. La capacità d’invaso è di circa 14 km3 (Pascucci & Tamponi, 2013).

Fig. 1 – Distribuzione delle grandi dighe sul territorio nazionale

Il Comitato Nazionale Italiano per le Grandi Dighe (ITCOLD) ha effettuato una stima dell’entità complessiva dell’interrimento dei serbatoi italiani utilizzando le informazioni di 285 serbatoi (52% del parco totale), suddivisi per due macro-aree (Alpi e Appennini) e corrispondenti ad un volume complessivo di invaso potenziale di 7,35 km3, pari a circa il 55% del volume totale di accumulo potenziale di tutte le grandi dighe italiane (Bizzini et al., 2010).

Più della metà dei serbatoi analizzati (53%, 151 su 285) risultano interriti (variazione del volume di invaso superiore al 5% del volume originario di progetto) (Tab. 2, Fig. 2). La riduzione media del volume di invaso è del 47%. In generale gli invasi che presentano i maggiori problemi sono quelli localizzati alle quote inferiori a 1000 m.

 

 

SERBATOI

ESAMINATI

Interrimento > 5%

Interrimento < 5%

 

Quota m.s.l.

Numero

Serbatoi

Numero

Volume d’invaso

m3

Volume interrato

m3

Serbatoi

Numero

Volume d’invaso

m3

ALPI

>2000

26

3

4,40E+07

4,67E+06

23

2,65E+08

>1000

47

16

1,22E+08

1,32E+07

31

4,18E+08

<1000

50

38

3,33E+08

7,41E+07

12

3,31E+08

APPENNINI

>1000

16

8

4,18E+08

3,37E+07

8

1,61E+08

<1000

146

86

3,84E+09

2,11E+09

60

1,44E+09

TOTALE

285

151

4,75E+09

2,24E+09

134

2,62E+09

Tab. 2 - Interrimento dei serbatoi analizzati nello studio ITCOLD suddivisi per macro-aree e altitudine

Fig. 2 – Serbatoi con interrimento > 5% in funzione della quota suddivisi per macro-aree omogenee (sx); Distribuzione delle frequenze del grado di interrimento dei serbatoi analizzati (dx) (da Bizzini et al., 2010)


Le piccole dighe

Per quanto riguarda i serbatoi artificiali delle “piccole dighe”, utilizzati soprattutto ad uso irriguo e idropotabile, non esiste ancora un censimento nazionale, ma il loro numero è sicuramente notevole. Il numero dei piccoli invasi, secondo differenti stime, è compreso fra quasi 9.000 e oltre 15.000, con capacità potenziale di invaso complessiva dell’ordine di 300 milioni di m3 (Bazzoffi, 2008).

Costruiti in buona parte nella seconda meta del ‘900, grazie anche ai finanziamenti che tendevano ad incentivare la produzione agricola in area collinare, oggi, molto spesso, non vengono più utilizzati dai gestori (Uzzani, 2012). La perdita di interesse per la risorsa idrica immagazzinata fa sì che molti di questi serbatoi versino in condizioni di abbandono, anche se a queste risorse vengono oggi riconosciute altre funzioni socio-ambientali come la difesa antincendio, gli aspetti ricreativi e paesaggistici, l’incremento della biodiversità e l’eventuale regimazione delle piene in ambito locale.

Le problematiche sono però le stesse dei grandi invasi, cui si somma la scarsità dei controlli su opere che dovrebbero essere conservate in condizioni di sicurezza per il territorio. Anche se di dimensioni relativamente piccole gli impatti di eventuali incidenti non vanno assolutamente sottovalutati (da ricordare, ad esempio, la catastrofe della Val di Stava del 19 luglio 1985, con 284 vittime, per il crollo dei bacini di laveria di una miniera dismessa).

 

Le modalità d’intervento per il problema dell’interrimento.

Le modalità con le quali è possibile intervenire per mitigare le problematiche generate dall’interrimento possono essere suddivise in due categorie:

- Riduzione del materiale d’entrata nel bacino (metodi preventivi)

- Rimozione dei materiali accumulati nel bacino (metodi curativi)

Poiché l’invaso è un opera che entra a far parte di un contesto geomorfologico dinamico, evitare l’interrimento è praticamente impossibile e la rimozione dei materiali accumulati può essere considerata un intervento risolutivo solo nel breve periodo. I sedimenti continueranno a fluire verso l’invaso che si interrerà nuovamente in un tempo dipendente dalle caratteristiche del bacino idrografico sotteso. Per limitare gli interventi “curativi” ed i relativi costi è quindi necessario cercare di ridurre gli afflussi di sedimenti tramite metodi “preventivi”.

 

Metodi preventivi

Sono costituiti da tutti quei provvedimenti che consentono, sia in fase progettuale, sia in corso d’opera, di minimizzare gli effetti dell’interrimento sul bacino artificiale.

Nel caso di nuove costruzioni, in fase progettuale il bacino idrografico deve essere caratterizzato in tutti gli aspetti fisici-naturalistici-antropici sulla base dei quali devono essere valutati i tassi di erosione dei suoli e delle rocce affioranti, anche in un’ottica di variabilità climatica e di possibili cambiamenti di uso del suolo, tenendo in debita considerazione gli eventi meteorologici estremi solitamente accompagnati di notevoli flussi di sedimenti. E’ necessario, cioè, cercare di collocare l’opera in una posizione in cui l’afflusso di sedimento sia naturalmente limitato.

Per serbatoi già esistenti la riduzione dell’apporto solido può essere perseguita tramite l’adozione di politiche di sistemazione del bacino montano finalizzate al controllo dei fenomeni erosivi. Questi comprendono sia sistemazioni idraulico-forestali, sia l’adozione di pratiche agricole mirate alla conservazione del suolo.

È interessante notare che, secondo gli attuali criteri costruttivi, i progettisti devono tenere in considerazione la spinta sulla struttura dovuta all’interrimento, ma non è richiesto alcuno studio finalizzato alla prevenzione del fenomeno.

 

Metodi curativi: interventi per la rimozione dei materiali.

Per quanto detto in precedenza, in diversi dei bacini artificiali esistenti, con periodicità variabile a seconda dei casi è necessario attuare interventi di rimozione del materiale d’interrimento attraverso procedure specifiche che determinino il rilascio totale o parziale di detto materiale.

La scelta delle diverse metodologie da adottare per la rimozione è funzione delle dimensioni del serbatoio, della quantità del materiale, delle caratteristiche fisico-chimiche, del grado di accessibilità dell’area d’intervento, dei vincoli normativi e anche dell’aspetto economico.

La normativa vigente (di cui si dirà nel seguito) prevede un Progetto di Gestione che disciplini le operazioni di svaso, sfangamento e sghiaiamento.

Con il termine svaso si intende lo svuotamento totale o parziale dell’invaso mediante l’apertura degli organi di scarico o degli organi di scarico e di presa mentre lo sfangamento/sghiaiamento rappresenta l’operazione di rimozione del materiale fine/grossolano sedimentato nel serbatoio.

Lo sfangamento è quindi un'operazione volta all'eliminazione parziale o completa del materiale accumulato nel serbatoio, e può essere eseguita attraverso:

- spurgo

- fluitazione

- asportazione di materiale a serbatoio pieno

- asportazione di materiale a serbatoio vuoto

Attraverso lo spurgo viene trasportato a valle, sotto battente idrico, il materiale solido sedimentato, trascinato o disperso nella corrente idrica, attraverso gli organi di scarico e, eventualmente, di presa. Con la fluitazione il materiale sedimentato viene trasportato a valle trascinato dalla corrente idrica attraverso gli scarichi di fondo, prevalentemente in condizioni di bacino vuoto.

Sono metodi relativamente economici, al netto della produzione persa (vedi nel seguito), che però provocano un notevole impatto sull'ecosistema del fiume a valle (che può essere anche positivo se considerato nel lungo periodo), e viene adottato nei casi in cui è possibile controllare i parametri del materiale fluitato.

Per l’asportazione di materiale a serbatoio pieno vengono utilizzati sistemi di pompaggio o di dragaggio attraverso apparecchiature posizionate su piattaforme galleggianti: il materiale asportato, se ricadente nella normativa rifiuti, deve essere stoccato, trasportato e conferito in discarica. Questa operazione presenta costi elevati, pertanto viene usata dove esistono vincoli ecologici-ambientali insormontabili a valle dello sbarramento. Tra gli aspetti negativi bisogna sottolineare che questa pratica riduce la restituzione di quote di sedimenti sottratte nel tempo dallo sbarramento al fiume.

L’asportazione di materiale a serbatoio vuoto prevede lo svaso totale del serbatoio, ed il successivo utilizzo di macchinari atti alla rimozione del materiale sedimentato.

In genere i gestori eseguono, dopo lo svaso completo, lo spurgo o sghiaiamento per fluitazione quando esiste una sufficiente portata dell’immissario a monte dell’invaso che permette di ripulire dai sedimenti l’interno del bacino per azione erosiva del corso d'acqua, mantenendo lo scarico di fondo aperto. Questa operazione è considerata quella di maggior efficacia e, spesso, di maggior impatto sul tratto di corso d’acqua a valle del bacino. L'asportazione meccanica di sedimenti sicuramente si presenta come una scelta di minor impatto a carico del corso d'acqua, ma apre scenari diversi connessi alla caratterizzazione, classificazione e destinazione temporanea e finale dei materiali, nonché di mancato apporto di sedimenti nella dinamica fluviale e costiera (ARPAT, 2009).

Considerando che nel corso degli eventi di piena sono trasportati naturalmente quantitativi anche enormi di materiali, una possibile modalità d’intervento a basso impatto ecologico-ambientale è quella dello svaso in coda di piena che permette di restituire gradualmente i sedimenti al corso d’acqua durante fasi in cui il contenuto solido è già naturalmente elevato. Si tratta, cioè di svasi parziali per fluitazione da effettuare al termine dell’evento di piena e precedentemente alle operazioni di svaso totale. Il quantitativo di materiale in uscita durante lo svaso parziale può essere definito monitorando, in diverse condizioni di piena il contenuto solido trasportato naturalmente dal corso d’acqua affluente.

 

I costi d’intervento.

ITCOLD, nel già citato rapporto (Bizzini et al., 2010) propone una stima ampiamente orientativa sui costi connessi con le operazioni di rimozione dei materiali depositati nei serbatoi artificiali. Si tratta di costi comunque elevati, dovuti sia direttamente all’intervento, sia alla mancata produzione.  Il metodo meno economico appare la fluitazione, il cui costo è però legato soprattutto alla produzione perduta, parametro che risulta fortemente dipendente dalla situazione locale e pertanto variabile. Fortemente variabili, da bacino a bacino appaiono anche i costi relativi alla rimozione di eventuali sedimenti inquinati. Vanno anche valutati possibili utilizzi dei fanghi, qualora rientranti nei limiti di legge, ed esempio, come ammendanti agricoli.

D’altra parte il ripristino dei volumi degli invasi tramite asportazione dei sedimenti, consentirebbe in certi casi di recuperare una produzione significativa. Queste stime impongono chiaramente che gli interventi siano valutati con molta attenzione ed effettuati a fronte di un bilancio costi-benefici favorevole o quando siano necessari per la salvaguardia dell’opera e la sicurezza del territorio.

 

La normativa di riferimento

Prima della L.10 maggio 1976 n. 319 (Legge Merli). Fino all’entrata in vigore della legge 319/76 il controllo dell’interrimento era normalmente effettuato dai gestori tramite rimobilizzazione dei sedimenti depositatisi ed il loro rilascio a valle diga (erosione, fluitazione e spurgo).

La Legge Merli fu emanata con l’obiettivo di porre un limite al crescente ed incontrollato inquinamento dei corpi idrici, legato soprattutto agli scarichi industriali, tramite l’imposizione di valori limite di concentrazione dei parametri caratterizzanti i liquidi scaricati nel corso d’acqua recettore. Tale normativa era però applicabile “…agli scarichi di qualsiasi tipo, pubblici e privati, diretti e indiretti, in tutte le acque superficiali e sotterranee.”. In questo quadro erano pertanto compresi anche gli scarichi di fondo delle dighe che non potevano più essere azionati in quanto la torbidità dell’acqua ed i solidi sospesi non rispettavano, all’uscita dallo scarico, quasi mai i limiti molto cautelativi imposti dalla legge (De Vita & La Barbera, 2006). Per la torbidità la legge fissava un valore limite del liquido allo scarico di 80 mg/l che di fatto era incompatibile anche con i valori che solitamente si riscontrano durante le piene naturali dei corsi d’acqua.

L’interruzione delle pratiche di evacuazione dei depositi per non incorrere in sanzioni ha determinato danni notevoli sia in termini economici (perdita di capacità utile), sia in termini di sicurezza a causa della perdita di funzionalità degli organi di scarico che, in alcuni casi, ha indotto l’organo di vigilanza sulle grandi dighe (Registro italiano Dighe) ad imporre pesanti limitazioni alle quote di invaso (De Vita & La Barbera, 2006; Bizzini et al., 2010).

Per diversi bacini, i grandi quantitativi di sedimenti depositati sono, pertanto, in buona parte frutto dell’applicazione restrittiva di una legge che è stata di cruciale importanza per la tutela delle acque.

Dal DLgs 152/1999 al Dlgs 152/2006 – Il Progetto di Gestione. La Legge 319/76 è stata abrogata del D. Lgs. 152/99 “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento” in cui viene riconosciuto che gli scarichi delle dighe non devono essere assoggettati alla disciplina degli scarichi industriali e che le operazioni di svaso, sghiaiamento e sfangamento sono finalizzate ad “assicurare il mantenimento della capacità di invaso”. Ai Gestori viene attribuita la possibilità di evacuare i sedimenti anche attraverso gli organi di scarico sulla base di un “Progetto di Gestione” approvato dalle Regioni.

Con il D.M. 30/06/2004 vengono emanati i “Criteri per la redazione del Progetto di Gestione degli invasi…”. Il Progetto di Gestione (PG), predisposto dal gestore ed approvato dalle regioni, previo parere preventivo dell‘amministrazione competente a vigilare sulla sicurezza dell'invaso e dello sbarramento, “..è finalizzato a definire il quadro previsionale delle operazioni di svaso, sfangamento e spurgo connesse con le attività di manutenzione dell'impianto, da eseguirsi anche per stralci, per assicurare il mantenimento ed il graduale ripristino della capacità utile, propria dell'invaso e per garantire prioritariamente in ogni tempo il funzionamento degli organi di scarico e di presa, nonché a definire i provvedimenti da porre in essere durante le suddette operazioni per la prevenzione e la tutela delle risorse idriche invasate e rilasciate a valle dello sbarramento, conformemente alle prescrizioni contenute nei piani di tutela delle acque e nel rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici interessati…”

Il PG deve stabilire modalità e tempi per il ripristino della capacità utile del serbatoio; tali attività devono comunque concludersi entro la scadenza della concessione. Il gestore ha l'obbligo di prevedere nel progetto di gestione, e di attuare, tutte le operazioni di sfangamento necessarie a garantire la sicurezza dello sbarramento ed il corretto uso del serbatoio in relazione alle finalità per le quali è stata concessa l'utilizzazione dell'acqua pubblica.

Il Progetto di Gestione deve contenere informazioni anche su:

- quantitativi dei sedimenti (volume di materiale solido sedimentato nel serbatoio e volumi medi di sedimentazione annuale)

- caratteristiche qualitative fisiche e chimiche dei sedimenti, anche in termini di contenuto in sostanze inquinanti

- caratteristiche qualitative della colonna d’acqua sovrastante i sedimenti

- qualità delle acque a valle dello scarico

Il Progetto di gestione dell’invaso generalmente NON deve essere sottoposto a V.I.A. non comprendendo la realizzazione di interventi ad essa soggetti in base alle norme statali o regionali (peraltro il procedimento di approvazione del P.G. è già di per sé finalizzato a verificare gli impatti sull’ambiente delle operazioni di sfangamento/sghiaiamento)

Può in taluni casi rendersi necessaria una Valutazione d’Incidenza ai sensi dell’art. 5 D.P.R. 357/97 (SIC – ZPS). L’obbligo ai gestori della realizzazione del Progetto di Gestione è stato confermato dall’art. 114 del D. Lgs 152/2006 che sostituisce l’Art. 40 del D. Lgs 152/99.

Il riparto delle competenze. Ai fini delle attribuzioni delle competenze sulla vigilanza e sicurezza, la legge 21 ottobre 1994, n. 584, introduce parametri relativi all’altezza e al volume invasato. Sulla base di tali parametri, come detto sopra, sono attribuite allo stato (Servizio Nazionale Dighe, attualmente Direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche del MIT) “le opere di sbarramento, dighe di ritenuta o traverse che superano 15 metri di altezza o che determinano un volume di invaso superiore a 1˙000˙000 di metri cubi” [c.d. “grandi dighe”]; rientrano invece nella competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano “gli sbarramenti che non superano i 15 metri di altezza e che determinano un invaso non superiore a 1˙000˙000 di metri cubi [c.d. “piccole dighe”].  Relativamente al Progetto di gestione dell’invaso, per il DM 30 giugno 2004 il PG è obbligatorio e va redatto con criteri individuati dallo Stato per le dighe con altezza pari o superiore a 10m e volume utile pari o superiore a 100.000m+. Per dighe di dimensioni inferiori la Regione/PA stabilisce l’assoggettabilità e le norme da applicare.

Il Decreto Salva Italia. Relativamente alle Grandi dighe, la normativa è stata aggiornata nel 2011 dalle disposizioni introdotte dal Decreto “Salva Italia” (D.L. n. 201/2011 convertito con L. 214/11) che con l’art. 43 stabilisce che il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, d’intesa con le regioni e le provincie autonome, individui:

- le dighe per le quali sia necessaria e urgente la progettazione e la realizzazione di interventi di adeguamento o miglioramento della sicurezza, a carico dei concessionari o richiedenti la concessione, fissandone i tempi di esecuzione.

- in ordine di priorità e sulla base anche dei progetti di gestione degli invasi ai sensi dell'articolo 114 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, le grandi dighe per le quali, accertato il concreto rischio di ostruzione degli organi di scarico, siano necessari e urgenti l'adozione di interventi nonché la rimozione dei sedimenti accumulatisi nei serbatoi.

Alle regioni/PA è fatto carico di individuare: “..idonei siti per lo stoccaggio definitivo di tutto il materiale e sedimenti asportati in attuazione dei suddetti interventi”. Con tale Legge veniva fissato il termine del 31/12/2012 per la presentazione dei PG e di due anni dall’approvazione dei PG per l’attuazione degli interventi di miglioramento o ripristino della sicurezza degli scarichi. E’, infine, in itinere un nuovo D.M. contenente le Linee Guida elaborate da ISPRA/ARPA relative ai nuovi criteri tecnici per la redazione del Progetto di Gestione degli invasi.

 

Conclusioni.

Come si è detto, l’interrimento degli invasi artificiali è una conseguenza dell’alterazione che uno sbarramento idraulico provoca sul profilo longitudinale del corso d’acqua. Esso si origina per deposizione dei sedimenti trasportati dai corsi d’acqua ed è pertanto inevitabile se non limitando gli apporti derivanti dall’erosione del suolo. L’interrimento è un fenomeno accompagnato da una serie di problematiche che impongono una sua mitigazione. In accordo con la legislazione attuale, le operazioni di svaso dei bacini artificiali sono necessarie e utili a ripristinare la capacità produttiva, ma è indispensabile che le attività siano svolte minimizzando l’impatto che possono avere sull’ambiente. E’ altrettanto prioritario che la normativa possa essere adattata alla peculiarità degli interventi.

Si è visto che una delle cause del problema e dei relativi costi economici ed ambientali è legata ad una applicazione restrittiva, e a tutti i bacini artificiali, di una legge nata con il necessario obiettivo di limitare l’incontrollato incremento dell’inquinamento delle acque. Ma anche la normativa in vigore presenta elementi di rigidità che mal si adattano ad una problematica complessa, dinamica e con una forte caratterizzazione locale come quella della gestione degli svasi. Esiste quindi il concreto rischio di ottenere, con una applicazione rigida, effetti opposti a quelli perseguiti. Non bisogna cioè dimenticare che si sta operando su sistemi naturali anche molto diversi tra loro. Il volume del trasporto solido naturale varia da corso a corso e varia, anche enormemente, nel corso della stagione, in particolare durante gli eventi di piena. Durante tali eventi possono essere mobilizzati enormi quantitativi di materiale, soprattutto se in concomitanza con l’innesco di frane, che in alcuni casi hanno determinato il riempimento pressoché istantaneo del serbatoio.

Per l’esecuzione delle operazioni di svaso, previste nel Progetto di Gestione, è quindi necessario che il nuovo DM in itinere sia caratterizzato da una sufficiente flessibilità. Che fornisca, cioè, degli elementi obbligatori relativi alla caratterizzazione dell’invaso ed al monitoraggio delle condizioni ambientali prima durante e dopo l’intervento, ma lasci discrezionalità nella redazione del piano operativo che deve essere adattabile alle singole realtà. Al tempo stesso si ritiene che dovrebbero essere incoraggiate pratiche gestionali a minor impatto e sicuramente funzionali a mitigare il problema quali gli svasi in coda di piena e che nel fissare limiti ed obiettivi di qualità non dovrebbero essere superate condizioni che la fauna ittica sperimenta naturalmente nelle condizioni di piena.

Un altro aspetto importante riguarda gli invasi in cui la capacità utile è ormai irrimediabilmente compromessa ed il cui svuotamento potrebbe far crescere problematiche ambientali ancora maggiori. La restituzione allo Stato, al temine della concessione (se mai ci sarà), dell’invaso utile privo di interrimento, come previsto nel D.M. 30/06/2004, sarebbe da valutare molto attentamente poiché potrebbe determinare impatti socio-economici-ambientali più gravosi dell’interrimento stesso (se questo non preclude la sicurezza). Ad esempio, in diversi serbatoi artificiali, ormai totalmente integrati nell’assetto del territorio, si sono sviluppati ecosistemi di grande importanza naturalistica e turistica che con l’azione di svuotamento andrebbero irrimediabilmente persi.

La manutenzione degli invasi ed il recupero della loro capacità utile sono operazioni sicuramente critiche, anche quando ben programmate, ma che possono comunque essere condotte nel rispetto delle condizioni ambientali, come dimostrano diverse operazioni condotte nell’arco alpino (vedi ad es. il Progetto ECOIDRO; http://www.ecoidro.net/). Una gestione ambientalmente sostenibile dei serbatoi deve necessariamente basarsi su di una visione olistica delle condizioni ambientali e sinergica tra i vari soggetti portatori d’interesse.

Alla luce di queste considerazioni, un recupero di produttività dei bacini idroelettrici è sicuramente perseguibile, ma necessita di una attenta analisi costo/beneficio che, oltre al costo della rimozione dei sedimenti ed al guadagno di energia, includa le condizioni ambientali al contorno, quantificando anche gli effetti indotti nell’intorno dello sbarramento e quelli indotti nell’intero bacino idrografico e comprendendo, se possibile, anche gli apporti sedimentari a mare utili alla limitazione dell’erosione costiera (fatto non di poco interesse socio-economico).

Per la forte variabilità delle condizioni al contorno (geologiche, meteoclimatiche, antropiche, economiche ecc.) le operazioni da condurre devono essere pertanto valutate caso per caso ed inserite nel Progetto di Gestione previsto dalla normativa vigente.

Si ritiene, infine, che in linea generale, sia necessario considerare con attenzione il problema della prevenzione dell’interrimento, tramite l’adozione di politiche agricole, forestali e di uso del territorio mirate alla conservazione del suolo ed alla mitigazione dei processi erosivi.

 

Bibliografia

ARPAT (2009) – Gli invasi artificiali. Elementi per una gestione sostenibile. http://www.arpat.toscana.it/documentazione/catalogo-pubblicazioni-arpat/gli-invasi-artificiali

Bazzoffi P. (2008) - Erosione del Suolo in relazione alla redazione dei Piani di Gestione degli Invasi. Il modello FLORENCE e l’Atlante Italiano della Produzione di Sedimenti dai bacini Idrografici. Atti convegno “Conservazione e fertilità del suolo, cambiamenti climatici e protezione del paesaggio”, CRA-DAF, 10 e 11 dicembre 2008, Roma.

Bazzoffi P., Vanino S. (2009) - L’interrimento degli invasi ad uso irriguo nelle regioni meridionali: rilievi diretti, metodologie e modellistica. Istituto Nazionale di Economia Agraria – Rapporto irrigazione.

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