DECRETO SPALMAINCENTIVI
Un primo passo, giusto, ma ancora insufficiente per correggere le speculazioni. Così nove associazioni ambientaliste, fra cui Amici della Terra e Italia Nostra, giudicano il decreto legge n. 91 del 24 giugno sulla competitività, il cosiddetto “spalma incentivi”.
Il decreto, che ha scatenato la reazione dei grandi produttori di fotovoltaico industriale, interviene per diminuire la spesa annua per gli incentivi a questi impianti, diluendola su un arco di tempo di 24 anni, anziché di 20. In alternativa, i gestori degli impianti possono scegliere di mantenere la scadenza originale, rinunciando annualmente all’otto per cento degli incentivi. L’obiettivo è quello di attenuare il costo della bolletta elettrica per le piccole e medie imprese.
Una “puntura di spillo per la grande speculazione”, secondo le nove associazioni ambientaliste, che per il momento riguarda solo il settore del fotovoltaico, che costa, da solo, 6,7 miliardi l’anno, scaricati sulle bollette degli italiani. Il decreto legge non riguarda i pannelli fotovoltaici sui tetti delle abitazioni o delle fabbriche, ma le distese di fotovoltaico industriale speculativo sui campi, di potenza superiore ai 200 kW, finalizzato solo ad accaparrarsi gli incentivi senza nemmeno produrre occupazione. Incentivi che, come ha chiarito il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, per il 60% sono concentrati nelle mani del 4% degli “investitori”.
Intervenendo a un’audizione sul decreto legge presso le Commissioni industria e ambiente del Senato, Rosa Filippini per gli Amici della Terra e Oreste Rutigliano per Italia Nostra, hanno presentato un documento congiunto, sottoscritto anche da Lipu, Mountain Wilderness Italia, Altura, Movimento Azzurro, Comitato per la Bellezza, Comitato Nazionale del Paesaggio e Associazione Italiana per la Wilderness. Il documento delle associazioni sottolinea la necessità intervenire, oltre che sul fotovoltaico, anche sulle rendite speculative assicurate all’eolico, “anch’esse spropositate, concentrate nelle mani di pochi beneficiari e, a seguire le cronache giudiziarie, monopolizzate dalla criminalità organizzata in molte aree del paese”. Le associazioni, inoltre, citano espressamente la recente relazione annuale dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas secondo cui la presenza di tanti impianti elettrici non programmabili, fotovoltaici ed eolici, oltre a stravolgere il mercato all’ingrosso dell’energia elettrica, provoca problemi di dispacciamento e di gestione delle reti, “a rischio di nuove inefficienze e di possibili criticità per la sicurezza del sistema”.
In conclusione, le associazioni chiedono al governo di essere coerente e quindi, da una parte, di non organizzare altre aste, distribuendo nuovi incentivi alle fonti rinnovabili elettriche intermittenti, dall’altra di non fissare volontariamente nuovi e sempre maggiori obiettivi vincolanti nel rapporto tra energia da fonti elettriche rinnovabili e consumi per il 2030, fornendo così la scusa alla grande speculazione nazionale e internazionale per pretendere ulteriori sussidi, “perché ce lo chiede l’Europa”.
Contro il decreto legge “spalma incentivi”, definito una “operazione di sabotaggio del settore”, si è schierata una composita lobby, guidata da assoRinnovabili, l’associazione dei produttori, che dopo aver chiesto invano al Presidente della Repubblica di non firmare il decreto, ritenuto incostituzionale perché retroattivo, ha avvertito che, in questo modo, le imprese fotovoltaiche saranno insolventi verso gli istituti finanziatori, i Comuni e gli enti locali, gli agricoltori, i proprietari dei terreni e i fornitori.
La richiesta delle associazioni ambientaliste di intervenire anche sulle rendite speculative assicurate all’eolico ha provocato la reazione dell’Anev (Associazione nazionale energia dal vento), che denuncia “gli attacchi al settore, sconcertanti nei modi e nei contenuti, di Italia Nostra e Amici della Terra, che hanno usato toni e argomenti tali da sollevare dubbi sul fatto che gli interessi che si propongono di rappresentare siano quelli dell’ambiente”.
Le associazioni ambientaliste, da parte loro, indicano nella tassazione alla fonte delle enormi rendite di questo settore lo strumento più efficace e più equo da adottare. Infatti, osserva la presidente degli Amici della Terra, Rosa Filippini, “solo per gli incentivi agli impianti di fonti rinnovabili elettriche, realizzati soprattutto negli ultimi 5-6 anni, sono stati impegnati quasi 230 miliardi, euro più euro meno, che già stiamo pagando e che dovrà pagare la prossima generazione: il 15% del PIL italiano corrente per produrre, forse, il 20% del fabbisogno elettrico nazionale. La tassazione alla fonte di queste rendite potrebbe essere utilizzata per promuovere l’efficienza energetica, rafforzando il meccanismo dei certificati bianchi per le imprese. Invece, il decreto attuale, così timido nel diluire le rendite del fotovoltaico, penalizza addirittura gli interventi di efficienza, come la cogenerazione ad alto rendimento, proprio nel settore industriale”.
La penalizzazione degli interventi di efficienza energetica è contenuta nell’art. 24 del decreto legge, che introduce il pagamento dei corrispettivi di trasporto, distribuzione e degli altri oneri sull’autoconsumo di energia elettrica in cogenerazione ad alto rendimento e basso impatto ambientale. In un proprio comunicato Assocarta afferma che, facendo pagare alcune voci anche a chi non si serve della rete elettrica, si penalizzano le imprese che hanno investito in efficienza energetica, compromettendo ogni ulteriore sviluppo di questi investimenti proprio nei settori più interessati, come quelli energivori.