LA STRETTA EUROPEA SUL CLIMA
Rilanciamo dal Sole 24 Ore del 12 febbraio scorso l’intervista a Chicco Testa perché espone una forte critica alla definizione dei nuovi obiettivi climatici europei al 2030 da un punto di vista industriale e anche ambientale.
L'Europa alza gli obiettivi ambientali e l'industria Italiana lancia l'allarme. Teme, ancora una volta, una doppia penalizzazione: per la competitività delle imprese e per l'intera economia. A soffrirne sarebbe l'Europa intera, visto che il mondo non è ancora disposto a garantire pari condizioni negli impegni e negli oneri. Ne soffrirebbe ancor più l'Italia, che rischia la replica di ciò che è accaduto nell'ultimo decennio, con una distribuzione degli oneri all'interno dell'Unione che ci ha ulteriormente penalizzato.
In tutto ciò il dramma delle nostre centrali elettriche tradizionali, strette tra la crisi globale e la corsia preferenziale riservata alle energie rinnovabili super-incentivate. L'industria Italiana chiede a Bruxelles equilibrio e ponderazione. Bruxelles conferma il gioco al rialzo degli obiettivi ambientali. Intanto il nostro termoelettrico vede sfumare anche il minimo vitale di redditività. Un bel pasticcio. Per tutti. E in particolare per chi, come Chicco Testa, ambientalista di vecchia memoria, poi presidente dell'Enel, ora a capo di Assoelettrica, l’associazione dei produttore elettrici, cammina sul filo di una crisi nella crisi.
Presidente Testa, come ne usciamo?
Cambiando completamente l'approccio, l'angolo di visuale. Non ne farei una questione di durezza o meno degli obiettivi ma semmai di utilità o meno delle misure che si intendono adottare. Bene, anzi male. Perché dal 1990 al 2012 le emissioni totali di CO2 del mondo sono passate da 22 a 33 miliardi di tonnellate, con un aumento del 50%. Nel frattempo l'Europa ha ridotto la Co2 per meno di 1 miliardo di tonnellate.
Intanto, si fa osservare, il Vecchio Continente si è allenato, raccogliendone i benefici, sulle soluzioni per l'efficienza e le energie verdi.
Si fa osservare male. Vorrei capire dove effettivamente si è conquistata una leadership tecnologica. Quali sono questi positivi riflessi sull'export. Tutti i settori industriali e merceologici hanno registrato una flessione ad eccezione di quello delle bibite che ha segnato un modestissimo incremento, che potremmo un po' sarcasticamente attribuire a riscaldamento globale. Ecco perché dico che il problema è semmai quello dell'efficacia di queste misure. E l'efficacia può essere garantita solo con veri accordi internazionali, globali, che vincolino tutti, soprattutto i paesi come la Cina e gli altri emergenti. Pena il più assoluto autolesionismo. Anche perché lo stesso Gunter Oettinger, il commissario Ue per l'energia, ci dice che nel 2030 Europa contribuirà ad appena il 4,5% alle emissioni totali di CO2 e anche se noi tagliamo del 20% il nostro contributo sarà appena dello 0,8%, a costi stratosferici, mentre il mondo sarà cresciuto di un altro 20 o 30%.
Qualcosa avremo comunque fatto.
Invece no. Perché così facendo tutta la produzione industriale che estromettiamo dall'Europa ci ritorna sotto forma di prodotti che vengono da paesi dove l'efficienza energetica è molto più bassa, dunque con un contenuto di CO2 ben maggiore. Con un saldo, anche ambientale, comunque negativo. Ecco perché senza un accordo serio dal punto di vista internazionale tutto ciò serve solo a penalizzare l'economia europea.
Di qui la proposta, che però trova evidenti ostacoli, di far incorporare a queste merci il loro contenuto di CO2 sotto forma di oneri compensativi.
La Carbon tax, appunto. Un'idea giusta e razionale. Potrebbe essere una soluzione. Ed è uno dei casi in cui il continente europeo o fa sentire con forza la sua voce o altrimenti dovremmo rassegnarci davvero alle conseguenze dell'autolesionismo.
In gioco c'è il sistema Ets, che si vuole comunque mantenere.
Bisogna rendersi conto che la soluzione non può essere quella di un sistema artificiale ed artefatto, dove si è continuamente costretti a intervenire per sostenere i prezzi dei certificati. Il sistema Ets è sostanzialmente fallito.
Mediazioni?
Che almeno si introduca un sistema flessibile a disposizione dei singoli Stati per raggiungere gli obiettivi prefissati. Evitando ulteriori storture, in particolare con nuovi vincoli sulle quote minime di energie rinnovabili. Ognuno deve poter mirare ai target utilizzando i migliori strumenti che ha a disposizione: le rinnovabili, nella consapevolezza che se è vero come si sostiene che molti casi abbiamo raggiunto la grid parity di non si vede perché occorrono nuovi onerosissime incentivi, ma anche l'efficienza energetica, le reti intelligenti, le regole e la sana concorrenza dei mercati. Nella logica di intervenire dove il rapporto tra costi e risultati e più favorevole.
A proposito, gli analisti decantano i livelli di efficienza raggiunti dal vettore elettrico anche in confronto all'uso finale del gas, perfino nelle case. Tutto vanificato, però, dalla progressività della tariffa a cui solo ora l'Authority dell'energia sta mettendo mano con una tariffa piatta ma solo sperimentale. Qualcuno dice che si sta procedendo ritardo, che bisogna intervenire con più decisione.
Proprio così. Oggi le pompe di calore elettriche, come ampiamente dimostrato, offrono concreti vantaggi nei prezzi e nella tutela ambientale anche nelle abitazioni, ma risultano penalizzate proprio dalla fortissima progressività tariffaria che riguarda in particolare le tariffe di maggior tutela eredità dei vecchi prezzi ministrati. È un esempio di come la regolazione deve procedere con ben altra lena. Quel che sta accadendo, quel che sta cambiando, ha bisogno di una rivoluzione, non di una politica a piccoli passi.
F. Rendina, “La stretta Ue sul clima? Chicco Testa: «Nemica dell'industria, ma anche dell'ambiente»”, Il Sole 24 Ore, 12 febbraio 2014.