TECNOLOGIE PER LA DECARBONIZZAZIONE
Anche l’idrogeno, spesso presentato come la soluzione per scenari zero carbon, ha un impatto sulla chimica atmosferica e potrebbe contribuire al riscaldamento globale. Nel mondo si stanno investendo soldi ed energie nella ricerca di metodi di produzione e tecnologie per il suo utilizzo ma si parla poco dei potenziali effetti sul clima delle sue emissioni dirette che potrebbero inficiare gli sforzi di decarbonizzazione. L’autrice presenta il problema sulla base degli studi più recenti.
In Copertina: Immagine da Star Wars: Episodio III - La vendetta dei Sith, di George Lucas, 2005
Nelle politiche europee e mondiali di decarbonizzazione, l’idrogeno è emerso come un vettore energetico che potrebbe aiutare ad affrontare varie sfide energetiche, soprattutto nei settori "hard to abate" (industriale, aviazione e marittimo). La sua versatilità, la possibilità di produzione da fonti rinnovabili e la capacità di essere utilizzato in una vasta gamma di applicazioni (dal trasporto, all’industria, al sistema elettrico per integrare l’intermittenza delle energie rinnovabili, essendo una delle poche opzioni di immagazzinamento dell’energia) ne fanno un candidato attraente per ridurre le emissioni di gas serra.
Attualmente l’idrogeno viene utilizzato soprattutto nei settori della raffinazione e della chimica ed è prodotto principalmente utilizzando combustibili fossili. L’economia dell’idrogeno, però, è in rapida espansione e sono in pieno sviluppo nuove tecnologie a basso impatto per la produzione e per il suo utilizzo in altri settori.
Secondi i dati del “Global Hydrogen Review 2023” dell’International Energy Agency (IEA), nel 2022 la domanda di idrogeno ha raggiunto il massimo storico, pur rimanendo concentrata nelle applicazioni tradizionali (meno dello 0,1% nelle nuove applicazioni dell’industria pesante, nei trasporti o nella produzione di energia), e l'uso globale di idrogeno ha raggiunto 95 Mt (milioni di tonnellate), con una forte crescita in tutte le principali regioni consumatrici ad eccezione dell’Europa, dove negli ultimi anni è rallentata l’attività industriale.
Nonostante il potenziale di riduzione delle emissioni di gas serra che l’utilizzo di idrogeno potrebbe comportare in sostituzione dei combustibili fossili, occorre tener conto degli impatti derivanti dalle emissioni dirette di idrogeno nella sua filiera.
La molecola dell’idrogeno (H2) è molto piccola, ha un basso peso molecolare, un'elevata diffusività e una bassa viscosità, quindi è molto difficile da contenere. Le emissioni di idrogeno hanno ricevuto fino a tempi recenti relativamente poca attenzione, in quanto l’H2 non è un inquinante o un gas serra diretto. Tuttavia, l’aumento dell’idrogeno in atmosfera causa dei cambiamenti nella concentrazione di altri gas serra provocando quindi, seppur indirettamente, effetti di riscaldamento.
Le emissioni di idrogeno possono avvenire in ogni momento lungo la filiera, dalla produzione all’uso finale. Il modo in cui viene prodotto però, potrebbe incidere anche sull’emissione di gas serra quali anidride carbonica (CO2) e metano (CH4).
I colori dell’idrogeno
Per caratterizzare le diverse tipologie di idrogeno in base al processo di produzione e alle fonti energetiche utilizzate nei processi è spesso utilizzata una rappresentazione a colori.
Cheng W, Lee S. How Green Are the National Hydrogen Strategies?
Come già detto, ad oggi la gran parte dell’idrogeno è prodotto da combustibili fossili, attraverso i processi di steam reforming del metano (un processo che utilizza il vapore per separare le molecole di H2 dal gas naturale) o di gassificazione del carbone. Si parla in questi casi rispettivamente di idrogeno grigio e idrogeno marrone o nero. Questi processi sono i meno avanzati e generano emissioni di anidride carbonica, metano e monossido di carbonio, ma sono attualmente i più economici.
Quando ai processi di reforming o di gassificazione è associata la cattura e lo stoccaggio della CO2 (CCS) emessa in fase di produzione, si ottiene il cosiddetto idrogeno blu. Con il CCS si riducono le emissioni di CO2, ma possono comunque verificarsi fughe di metano durante la produzione e il trasporto.
Tramite elettrolisi dell’acqua (la scissione della molecola di acqua, H2O, in idrogeno e ossigeno gassosi) utilizzando energie rinnovabili si ottiene l’idrogeno verde. Se l’energia per l’elettrolisi deriva dalla rete, ossia da fonti miste, comprese le fossili, si parla in genere di idrogeno giallo, mentre se deriva da energia nucleare l’idrogeno prodotto è definito rosa o viola o rosso. L’energia necessaria per rompere i legami molecolari dell’acqua è molto elevata; quindi, questo processo risulta veramente “neutro” in termini di gas serra solo nel caso in cui si utilizzino fonti energetiche a basso impatto, in caso contrario potrebbe avere impatti anche maggiori di altri processi. Senza considerare le emissioni legate alla produzione di attrezzature per l’elettrolisi e dei materiali necessari. Il processo di elettrolisi è, ad oggi, più costoso dell’idrogeno grigio o blu.
L’idrogeno turchese è prodotto tramite pirolisi del metano, un processo che prevede di scindere termicamente i legami chimici del metano riscaldando il gas in assenza di ossigeno, ottenendo idrogeno e carbonio solido che potrebbe essere utilizzato come materia prima. Il processo non produce emissioni dirette di CO2, ma prevede comunque l’utilizzo di una materia prima fossile, per questo è considerato una via di mezzo tra l’idrogeno blu e l’idrogeno verde.
Le emissioni dirette di idrogeno nella filiera
Anche quando la produzione dell’idrogeno non comporta emissioni di CO2 e CH4, la molecola H2 è soggetta a perdite, lungo tutta la filiera, dalla produzione, al trasporto fino allo stoccaggio e agli utilizzi finali.
Le emissioni di idrogeno lungo la filiera possono essere suddivise in emissioni intenzionali e non intenzionali, oppure in emissioni operative e fuggitive. Le emissioni intenzionali comprendono il venting e il purging operativi, le emissioni involontarie fuggitive includono perdite dalle tubazioni, dalle apparecchiature e dallo stoccaggio. Le emissioni involontarie operative derivano invece da idrogeno residuo nei flussi di scarico e dalla naturale evaporazione dell'H2 liquefatto.
Esquivel-Elizondo, Sofia, et al. “Wide range in estimates of hydrogen emissions from infrastructure”.
Diversi studi negli ultimi due decenni hanno tentato di stimare i tassi di emissione di idrogeno per ogni passaggio della catena del valore. In mancanza di dati empirici, le stime dipendono fortemente da ipotesi spesso basate sui tassi di perdita del gas naturale, da calcoli tramite proxy, da esperimenti di laboratorio, da modelli o da simulazioni su base teorica.
Questi studi suggeriscono tassi di emissione potenziali con una forbice molto ampia, dallo 0,3% al 20%, per diversi componenti della catena del valore. Studi più recenti hanno ridotto il divario, ma rimane una forte incertezza sulla quantità di emissioni totali della filiera, anche perché in futuro dipenderà fortemente dalla dimensione che assumerà l’economia dell’idrogeno, dalla tecnologia utilizzata per produzione, trasporto, stoccaggio nonché dall’utilizzo finale.
Gli impatti delle emissioni dirette di idrogeno
Quando viene emesso nell'atmosfera, l'idrogeno ha due destini principali: circa il 70% - 80% viene “assorbito” dal suolo (tramite assorbimento batterico), mentre il restante 20% - 30% reagisce nell’atmosfera con il radicale ossidrile (OH), secondo la reazione che si vede in figura. Le perturbazioni causate dalle emissioni di idrogeno sulla chimica troposferica creano una complessa catena di eventi che altera la presenza di gas ad effetto serra, come metano, ozono e aerosol. L’idrogeno è quindi un gas serra indiretto, in quanto l’aumento della sua concentrazione nell’atmosfera porta a una riduzione dell'OH troposferico, l'ossidante più importante e potente nell'atmosfera, che a sua volta influenza la durata e l'abbondanza di altri gas che hanno un impatto sul clima.
I principali impatti climatici associati all'aumento dei livelli di idrogeno sono:
Ocko, Ilissa B., and Steven P. Hamburg. "Climate consequences of hydrogen emissions."
Nonostante gli effetti delle emissioni di idrogeno siano conosciuti, è ancora difficile stimare l’entità complessiva dei loro impatti sul riscaldamento globale e, quindi, valutare l’efficacia dell’idrogeno come strumento per la decarbonizzazione. Il primo problema che si pone è la quantificazione delle emissioni effettive che avverranno lungo la value chain dell’idrogeno. Un’altra importante questione, affrontata in numerosi articoli dedicati alle emissioni di idrogeno, è il modo in cui vengono calcolati e riportati i suoi impatti sul riscaldamento globale.
Solitamente, quando si parla di gas ad effetto serra, si utilizza il parametro del potenziale di riscaldamento globale (GWP) con orizzonti temporali di 20, di 100 anni e di 500 anni. Il GWP calcola l’effetto di riscaldamento relativo di un impulso di emissioni di un gas serra rispetto a un impulso uguale in massa di CO2 su un intervallo di tempo. L’utilizzo di questo parametro, sebbene sia ampliamente utilizzato e costituisca la metrica ufficiale delle emissioni per la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), è spesso ritenuto critico a causa del suo approccio ad impulsi (si considera un impulso emissivo una tantum e non tassi di emissione costanti che sono considerati una rappresentazione più realistica delle emissioni dirette di un’economia dell’idrogeno) e di orizzonti temporali di 100 anni, in quanto è complicato confrontare gli effetti climatici tra forzanti climatiche i cui impatti sono di breve durata (come l’idrogeno e il metano) e l’anidride carbonica i cui impatti sono di lunga durata.
Poiché l’idrogeno è un gas serra indiretto, per poter calcolare il suo GWP occorre tener conto di tutti i contributi provenienti dai cambiamenti nella concentrazione di metano, ozono troposferico e vapore acqueo stratosferico. Il GWP dell’idrogeno dipende dalla durata di vita dell'H2 nell'atmosfera, dalla durata di perturbazione dei gas serra (come CH4 e O3) e dai loro tassi di produzione effettivi per variazione unitaria di H2.
Il potenziale di riscaldamento dell’idrogeno dipende fortemente dall’orizzonte temporale e (similmente al metano) può essere almeno 3 volte più potente nel breve termine che nel lungo termine rispetto all’anidride carbonica. Secondo i calcoli degli studi più recenti gli effetti del riscaldamento dell’idrogeno si manifestano nell’arco di un paio di decenni (Warwick et al., 2023), raggiungendo il GWP massimo circa 7 anni dopo l’impulso iniziale delle emissioni (Ocko et al.,2022), poiché la vita atmosferica del metano impiega alcuni anni ad aumentare in risposta alla minore disponibilità di OH dalla reazione con l'idrogeno.
Per quanto riguarda il GWP a 100 anni dell’idrogeno, alcuni tra gli ultimi studi riportano un valore di circa 12 (12±6 per Warwick et al, 2023; 11,6±2,8 per Sand et al, 2023; 11±5 per Bertagni et al, 2022). Per avere un confronto, il GWP100 del metano più utilizzato nella rendicontazione statistica e nei documenti istituzionali internazionali è 28 (dal Quinto Rapporto di Valutazione dell'IPCC, 2014). Tutte le stime presentano comunque un elevato livello di incertezza correlata a diversi fattori.
La misurazione delle emissioni di idrogeno
Per poter valutare con un certo grado di precisione i tassi di emissione e gli impatti climatici del passaggio a un’economia dell’idrogeno, sono comunque necessari dati empirici sulle emissioni di H2 dalla produzione fino agli usi finali. Attualmente la quantificazione delle emissioni di idrogeno non è possibile se non tramite stime e modelli in mancanza di misurazioni dirette.
Le tecnologie di rilevamento disponibili, avendo solo lo scopo di identificare perdite che possano comportare problemi di sicurezza a causa del comportamento infiammabile ed esplosivo del gas, rilevano idrogeno solo a livello di parti per milione (ppm, tradizionalmente l'intervallo di misurazione va da 1.000 a 10.000 ppm). Per poter quantificare piccoli livelli di perdite lungo l’intera value chain sarebbero necessari sensori selettivi, con un’elevata sensibilità, in grado di rilevare perdite di idrogeno fino al livello di parti per miliardo (ppb, 1 ppb=0,001 ppm) e a risposta rapida, da uno a pochi secondi.
Recentemente, la Aerodyne Research, con il finanziamento del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, ha sviluppato un prototipo di analizzatore di idrogeno che ha raggiunto una grande precisione con un'elevata frequenza di misurazione, rilevando l'idrogeno con una sensibilità di 10 ppb in pochi secondi. Il prototipo è stato testato in collaborazione con i ricercatori dell'Environmental Defense Fund (EDF) e della Cornell University in una serie di esperimenti a rilascio controllato presso la Colorado State University. L’analizzatore ha rilevato con successo aumenti di parti per miliardo della concentrazione di idrogeno nell’aria causati da perdite graduali. Il prossimo passo sarà quello di installare l’analizzatore negli impianti di idrogeno esistenti come impianti di fertilizzanti, stazioni di rifornimento di idrogeno e altri siti industriali per misurarne le emissioni.
Conclusioni
Le emissioni di idrogeno derivanti dalla sua produzione, trasporto e utilizzo possono avere impatti significativi sulla chimica atmosferica e sul clima. In futuro, l'entità delle emissioni di H2 dipenderà dalla scala del settore che, visti gli investimenti in atto in tutto il mondo, potrebbe essere piuttosto importante. Le stime suggeriscono che la domanda di idrogeno potrebbe aumentare fino a dieci volte entro la metà del secolo.
L’idrogeno blu e l’idrogeno verde, se gestiti correttamente, potrebbero portare reali benefici alla decarbonizzazione, ma questi dipendono dai tassi di emissione della filiera. Mitigare le emissioni di H2 derivanti dalle procedure operative sarà essenziale per massimizzare i benefici climatici dei sistemi a idrogeno. A tal fine sarà necessario sviluppare metodi e tecnologie per il monitoraggio e la misurazione delle emissioni della value chain dell’idrogeno.
Misurare le emissioni dirette di idrogeno è fondamentale per permettere di migliorare i modelli chimico-climatici che aiutino a comprenderne gli effetti sull’atmosfera e sul riscaldamento climatico, per migliorare le valutazioni del ciclo di vita e permettere un miglior confronto tra i sistemi a idrogeno e altri combustibili e per identificare le principali fonti di emissione. Questo permetterà di implementare strategie di mitigazione e buone pratiche che riducano al minimo le perdite di idrogeno e i loro effetti.
Fonti
Global Hydrogen Review 2023, International Energy Agency (IEA)
Cheng W, Lee S. How Green Are the National Hydrogen Strategies? Sustainability. 2022; 14(3):1930. https://doi.org/10.3390/su14031930
Ocko, Ilissa B., and Steven P. Hamburg. "Climate consequences of hydrogen emissions." Atmospheric Chemistry and Physics 22.14 (2022): 9349-9368. https://doi.org/10.5194/acp-22-9349-2022
Arrigoni, A. and Bravo Diaz, L., “Hydrogen emissions from a hydrogen economy and their potential global warming impact”, EUR 31188 EN, Publications Office of the European Union, Luxembourg, 2022, ISBN 978-92-76-55848-4, JRC130362. https://doi.org/10.2760/065589
Bertagni, M.B., Pacala, S.W., Paulot, F. et al. “Risk of the hydrogen economy for atmospheric methane”. Nat Commun 13, 7706 (2022). https://doi.org/10.1038/s41467-022-35419-7
Sand, M., Skeie, R.B., Sandstad, M. et al. “A multi-model assessment of the Global Warming Potential of hydrogen”. Commun Earth Environ 4, 203 (2023). https://doi.org/10.1038/s43247-023-00857-8
Esquivel-Elizondo, Sofia, et al. “Wide range in estimates of hydrogen emissions from infrastructure”. Frontiers in Energy Research 11 (2023): 1207208. https://doi.org/10.3389/fenrg.2023.1207208
Warwick, N. J., Archibald, A. T., Griffiths, P. T., Keeble, J., O'Connor, F. M., Pyle, J. A., & Shine, K. P. (2023). Atmospheric composition and climate impacts of a future hydrogen economy. Atmospheric Chemistry and Physics Discussions, 23, 13451–13467. https://doi.org/10.5194/acp-23-13451-2023
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