INQUINANTI ATMOSFERICI
Come ogni anno con l’arrivo dell’autunno ci ritroviamo a leggere della pessima qualità dell’aria che respiriamo in pianura padana. Ma quanto è davvero grave la situazione? Abbiamo fatto dei progressi o siamo sempre più in emergenza come ogni tanto leggiamo? E soprattutto, perché sempre in pianura padana e non altrove? Abbiamo chiesto all’autore, appassionato di meteorologia, di indagare fake e cause reali all’origine della definizione di “area più inquinata d’Europa”.
Foto di Copertina dal film Fantozzi, regia di Luciano Slace, 1975
Premessa: tra passato e futuro
La crescente consapevolezza ambientale unita ad un maggiore interesse per il benessere psico-fisico, ci porta oggi ad interessarci di aspetti della vita che fino a pochi decenni fa restavano in secondo piano. L’inquinamento dell’aria ne è un esempio perfetto, in particolare la sua componente antropica. L’espansione industriale nella seconda parte del secolo scorso oltre ad aver migliorato enormemente la qualità della vita e ad aver portato benessere generale fra la popolazione interessata, ha prodotto un forte aumento delle emissioni inquinanti con conseguenze evidenti in svariati ambiti.
Dalla consapevolezza che alcuni degli inquinanti emessi dalle nostre attività possono essere estremamente dannosi per l’uomo e per l’ambiente in generale, sono nati tra gli anni 70 e 80 i primi programmi per il monitoraggio, la riduzione e l’eliminazione di alcuni di essi. Il progresso tecnologico, spinto dalle normative statali, europee e in alcuni casi globali è stato fondamentale per la riduzione o l’eliminazione di diverse sostanze inquinanti. Il caso dei CFC (clorofluorocarburi) responsabili dell’assottigliamento dello strato di ozono è il più eclatante e importante di normativa ambientale ben riuscita a livello globale con il raggiungimento oggi della pressoché totale eliminazione di tali carburi.
Altro inquinante quasi completamente eliminato sul vecchio continente sono gli ossidi di zolfo. Questi ultimi furono responsabili in passato delle piogge acide e della conseguente acidificazione dei terreni, di gravi fastidi respiratori quando presenti già in modesta concentrazione e dell’aumento delle allergie. Oltre a questi, negli ultimi 30 anni abbiamo assistito alla drastica riduzione della maggior parte degli inquinanti derivanti dalla combustione nei motori delle automobili.
NetZero, attuale obiettivo europeo entro il 2050, possiamo dire essere un programma iniziato in parte inconsapevolmente decenni fa e l’attuale situazione continentale di calo delle emissioni sia di gas climalteranti sia delle emissioni inquinanti ne mostra i progressi.
Il caso padano
A livello nazionale italiano i miglioramenti sono in linea - se non anche superiori per alcuni inquinanti - con il resto dell’Europa occidentale. Ciò nonostante, ogni anno il nostro paese registra il triste primato di essere il più inquinato dei maggiori paesi europei, con valori del particolato mediamente superiori del circa 50% rispetto alla Germania. Perché questo costante primato se i miglioramenti italiani sono in linea con quelli del resto dell’Unione?
La prima motivazione è da ricercarsi nella morfologia della regione più densamente popolata e industrializzata del nostro paese, la pianura padana. Il bacino padano si trova incastonata fra le Alpi e l’Appennino settentrionale con l’unica apertura verso il calmo e poco ventoso Mare Adriatico. Questa particolare posizione rende l’area estremamente svantaggiata nel periodo invernale: in caso di alta pressione il rimescolamento dell’aria nei bassi strati presente nel periodo caldo dell’anno viene meno, favorendo così il ristagno e l’accumulo degli inquinanti. Questa situazione si mantiene nel tempo fino all’arrivo di una giornata di forte vento da nord o da ovest, o di perturbazione che con la sua pioggia o neve ripulisce l’aria. Questa condizione non può essere cambiata perciò a parità di mobilità, industrializzazione, agricoltura, allevamento ecc non avremo mai una qualità dell’aria uguale a quella che misuriamo in Germania piuttosto che in Danimarca o in Svezia.
Aria malsana o mala informazione?
Ma l’aria che respiriamo è davvero tossica come ogni tanto leggiamo?
Citando diversi studiosi della materia “non esiste una percentuale di inquinamento sicura per la salute e l’ambiente” perciò in qualche maniera questa affermazione può sempre essere corretta. Non è però né corretto nei confronti della popolazione non prendere in considerazione il punto di partenza e l’attuale situazione con gli sviluppi prossimi, né nei confronti della politica che da decenni si sta impegnando (con successo) a riguardo.
Dai rapporti ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale) vediamo come i principali inquinanti derivanti dalle attività umane abbiano subito nel nostro paese un calo drastico nell’ultimo trentennio. Rispetto al 1990, nel 2019 abbiamo registrato un calo del 70% degli ossidi di azoto, del 94% degli ossidi di zolfo, del 55% dei composti organici volatili non metanici, del 24% dell’ammoniaca e del circa 40% delle polveri sottili (PM 2.5 e PM 10). Ciò non significa che l’aria oggi è ad un livello ottimale non più migliorabile, ma non significa nemmeno che l’aria è oggi tossica o sempre più inquinata.
Nei fatti in pianura padana la quasi totalità delle persone non ha mai respirato un’aria migliore di quella odierna nell’arco della propria vita. I miglioramenti sono ancor più evidenti osservando i trend dei principali inquinanti nelle maggiori città del nord a partire dagli anni 70 con i valori che si registravano 4-5 decenni fa oggi inimmaginabili.
Appare quindi evidente che gli sforzi fatti siano stati molto importanti e di successo. Nonostante questo, però, spesso in inverno ci ritroviamo a sentire e leggere che i limiti di legge vengono puntualmente superati nelle nostre città.
I limiti vengono rivisti al ribasso insieme con il progresso tecnologico con l’obiettivo di ridurre al minimo i rischi legati all’inquinamento per la nostra salute. Esso rappresentava in passato per aree come la pianura padana il principale responsabile di alcune malattie nella popolazione.
Gli attuali livelli di inquinamento sono parte di alcuni problemi di salute ma non ne sono la causa principale. Fanno parte di un quadro generale che va a toccare pressoché ogni aspetto della nostra vita: accesso a cure ospedaliere rapide, cibo, movimento, lavoro. Dai rapporti EUROSTAT si evince come i tassi di mortalità standardizzati legati alle principali malattie derivanti dall’inquinamento atmosferico (tumore al polmone, malattie respiratorie in generale) sono nel nostro paese inferiori alla media UE-27, con primati negativi in nazioni dove la qualità dell’aria viene raramente menzionata quando si parla di salute poiché i limiti di legge fissati dall’OMS vengono superati di rado. Con questo non possiamo ritenere l’attuale tasso di inquinamento ottimo o ininfluente sulla salute umana e da non migliorare, bensì ci permette di sottolineare come non sia la principale causa ma una delle cause dei nostri possibili problemi di salute.
Il caso del lockdown 2020
Il periodo del primo lockdown (marzo-maggio 2020) dovuto all’epidemia di COVID-19 è stato un laboratorio a cielo aperto per lo studio del movimento e dell’espansione di determinati agenti inquinanti di origine antropica presenti in atmosfera. In Italia le varie Agenzie Regionali per la Prevenzione e Protezione Ambientale (ARPA) hanno potuto rilevare importanti dati a riguardo e stilare dei rapporti che sono stati raccolti dal Sistema Nazionale Protezione Ambiente (SNPA).
Da essi si ricava che il fermo dei veicoli a motore e della maggior parte delle attività produttive ha avuto un impatto notevole sulle emissioni di biossido di azoto con cali medi del 30% e in certi casi (es. provincia autonoma di Bolzano) i valori registrati sono stati i più bassi della serie storica. Discorso diverso per il particolato che non ha registrato variazioni di rilievo rispetto agli anni precedenti. Questo testimonia la complessità dei fenomeni legati alla formazione, all’accumulo e all’espansione delle polveri sottili.
Due episodi sono molto esemplificativi a riguardo. A Codogno a fine febbraio con il paese in piena zona rossa si registrò il picco regionale del particolato, testimonianza chiara del fatto che non è una semplice questione di emissioni di prossimità. Un altro esempio lo abbiamo avuto sull’intero bacino padano sul finire del mese di marzo quando i sensori hanno registrato un picco nei valori del PM10. Picco dovuto all’ intrusione sul nostro paese di polveri sottili in arrivo dalla zona del Mar Caspio.
I primi responsabili dei superamenti dei limiti di legge sono incontrastabili: variabilità meteorologica con la presenza più o meno massiva dell’alta pressione e la geografia fisica di una grossa porzione del nostro paese perfetta per il ristagno degli inquinanti.
Una parte del particolato evitato con la chiusura della maggior parte delle attività produttive e dello stop dei veicoli è stato compensato dall’aumento delle emissioni domestiche che in molte regioni rappresentano il settore più importante nel computo totale dell’inquinamento. Allo stesso tempo, l’assenza di un calo rilevante del particolato testimonia come il fenomeno sia ben più importante delle semplici emissioni di prossimità e al fine di vedere dei risultati estesi su scala continentale o emisferica, l’approccio dovrà necessariamente essere globale con misure stabili nel tempo su territori estesi.
L’impatto dell’inquinamento sul clima
Il miglioramento della qualità dell’aria degli ultimi anni nel bacino padano non ha avuto un impatto positivo solo sulla salute fisica, con la diminuzione delle malattie ad esso legate e dei decessi correlati, ma anche su quella psichica. Le grandi nebbie padane degli anni 70-80-90 sono oggi solo un ricordo, lasciando spazio a molte più giornate soleggiate con tutti i benefici che ne conseguono.
La nebbia in Valpadana registra una diminuzione del 50% rispetto ai decenni sopracitati. Il fattore determinante è stata la pressoché totale eliminazione dell’anidride solforosa che fungeva da principale nucleo di condensazione per la formazione delle nebbie. L’inquinamento atmosferico è un fenomeno multi disciplinare che riesce a coinvolgere buona parte della nostra vita. La sua riduzione risulta per questo motivo essenziale per il nostro benessere psico-fisico.
Un fenomeno spesso dimenticato: l’inquinamento indoor
Un ambito dell’inquinamento molto sottovalutato che andrebbe posto in maggiore risalto è quello relativo alla qualità dell’aria indoor. Trascorriamo la quasi totalità delle nostre giornate all’interno delle case, degli uffici o delle palestre trascurando in molti casi la qualità dell’aria che respiriamo. Dai dati ISPRA vediamo come la qualità dell’aria all’interno degli edifici è quasi sempre (in inverno in particolare) peggiore di quella esterna con i valori di alcuni inquinanti, tra i quali il benzene, mediamente superiore ai limiti di legge relativi all’aria esterna.
Per la nostra salute, una corretta cura e ventilazione dei locali appare quindi essenziale. I consigli di comportamento di molte applicazioni presenti sui nostri smartphone, che avvisano di eventuali rischi legati alla salute per la qualità dell’aria esterna, andrebbero per la maggior parte della popolazione completamente ignorati. Favoriscono infatti dei comportamenti errati come la mancanza di arieggiamento dei locali perché l’applicazione ci avvisa della possibile insalubrità dell’aria esterna. Per quanto possa essere inquinata, l’aria esterna sarà sempre migliore rispetto a quella di un locale non adeguatamente arieggiato. Oltre a questo, può portarci a non trascorrere del tempo all’aria aperta a godere del sole sempre per la paura di trovarci in un luogo inquinato e potenzialmente pericoloso.
Conclusioni
La consapevolezza di trovarsi in una posizione geografica svantaggiata deve farci concentrare sugli aspetti migliorabili nel breve/medio termine che hanno un impatto positivo evidente sulle nostre vite.
Sono auspicabili interventi come:
⁃ il miglioramento della gestione dello spandimento dei liquami zootecnici responsabili della quasi totalità delle emissioni di ammoniaca
⁃ il ricambio/aggiornamento dei sistemi di riscaldamento e raffreddamento dei locali con abbandono di quelli maggiormente impattanti
⁃ il rinnovamento del parco auto con veicoli ad emissioni sempre minori e promozione del trasporto pubblico ove possibile
⁃ il passaggio da fonti energetiche fossili a quelle a quelle low carbon (nucleare, fonti rinnovabili)
⁃ aumento degli spazi verdi nelle nostre città
Gli interventi devono comunque essere sempre figli di un’attenta analisi costi-benefici. La posizione di svantaggio ci pone sia nella condizione di dover agire in maniera chirurgica rispetto agli altri, sia di non dimenticare che il confronto con aree dalle caratteristiche geografiche e climatiche completamente diverse dalle nostre ha poco senso. Se anche eliminassimo le attività umane dal nostro territorio, in determinate circostanze, i limiti di legge degli inquinanti verrebbero comunque superati per motivi completamente naturali. Con il passare del tempo lo spazio di manovra si assottiglierà sempre più e scegliere le battaglie “giuste” diventerà fondamentale sia economicamente che ambientalmente.
È altresì auspicabile un maggiore interesse dell’opinione pubblica verso le buone abitudini da seguire nelle nostre case, nelle scuole, negli edifici pubblici al fine di adottare in maniera corretta ed efficace le pratiche migliori per mantenere un ambiente sano e ben vivibile.