C’era una volta il camping “Sette laghi”, in provincia di Varese, accogliente e curato, fornito di tutti i servizi, compresa la raccolta differenziata dei rifiuti. Nei suoi bungalow e roulotte ancora oggi abitano un centinaio di ospiti. Non sono in vacanza: ci abitano tutto l’anno. Sono cittadini aggrediti in vario modo dalla crisi economica, con bassissimi redditi e lavori precari, non più in grado di pagare un normale affitto. Ma non sono barboni, o almeno non ancora: hanno trovato una casa nelle strutture del camping. Per questo si possono chiamare ancora cittadini, e non sono condannati a finire la loro vita da derelitti per strada. Merito di questo campeggio e dei suoi affitti a buon mercato, 100-200 euro al mese.
Poteva durare? No che non poteva. Perché non è una favola ma la realtà, e non “vissero felici e contenti”, tutt’altro. Viene fatta una denuncia e, di fronte all’orrendo reato, il magistrato decide il sequestro del campo e incarica il sindaco di stabilire chi può restare e chi no (nel caso che un milionario si imboscasse nel camping …), il che equivale a una sentenza di salvezza o di condanna alla morte civile. Per dirla tutta, scommetto che, passato il natale, del campeggio dei “Sette laghi” non resterà neanche il ricordo.
Qualcuno mi accuserà di simpatizzare per l’illegalità, ma io faccio domande semplici semplici: che Stato è questo che incalza senza pietà i cittadini più deboli, fino a dargli la spinta finale che li trasforma in barboni? Davvero la pubblica amministrazione, centrale o periferica, non può evitare che si cancelli quest’ultimo rifugio? E quei magistrati non hanno cose più importanti da fare che colpire dei poveri diavoli? Vengono cacciati i reprobi, e tutto finisce lì? Ma quali valori vengono coltivati in questo cavolo di Stato?