INDIPENDENZA ENERGETICA
Dopo l’aggressione russa dell’Ucraina, le questioni dell’indipendenza energetica e della disponibilità di materie prime hanno acquisito una nuova centralità. D’ora in poi sarà difficile continuare a disinteressarsi dell’origine e delle filiere produttive dei componenti delle tecnologie che hanno un ruolo strategico nelle nostre economie. L’autore ricostruisce la storia quasi secolare di un deposito e il percorso - fra la Russia e la Cina - di 80.000 tonnellate di monazite, un materiale radioattivo che contiene anche le terre rare che serviranno a produrre i magneti permanenti delle auto elettriche e delle turbine eoliche.
In Copertina: Vista aerea del sito di Krasnoufimsk. Fonte Google Earth.
La narrativa green sulle auto elettriche più o meno recita così: “Le auto ecologiche non danneggiano l'ambiente che ci circonda perché non lo inquinano, non emettendo sostanze dannose ed a esso nocive. Decidere di acquistare un'auto ecologica significa fare una scelta ecosostenibile, grazie al minore impatto ambientale e alla minore produzione di anidride carbonica”. Anche quando ci si ricorda di avvertire che le minori emissioni inquinanti dipendono direttamente dalla fonte di energia elettrica con cui vengono caricate le batterie, difficilmente ci si sofferma sul ciclo di vita delle auto e sulle materie prime necessarie alla produzione dei loro componenti.
Eppure, come abbiamo spiegato più volte, alcune materie prime possono avere impatti devastanti sull'ambiente e sulle comunità coinvolte nelle attività estrattive. Qualche volta, la loro estrazione ha ragioni e radici lontane come nella storia che raccontiamo di seguito, che ci obbliga a fare un passo indietro perché inizia ai tempi della guerra fredda.
Siamo agli inizi degli anni ’60 e da oltre 20 anni molte potenze, tra cui l’URSS, hanno iniziato una febbrile ricerca di minerali di uranio e torio per rifornire i loro arsenali nucleari.
Il torio è un elemento naturale da cui è possibile ottenere l'isotopo 233 dell'uranio, adatto, anch’esso, alla costruzione di armi atomiche, ma dopo averne valutato l’utilizzo il capo del progetto atomico sovietico, Kurchatov, decide di puntare sul ciclo del combustibile uranio-plutonio ed il progetto viene accantonato. Ma se cestinare un progetto può essere semplice non lo è altrettanto liberarsi delle 80.000 tonnellate del minerale che contiene il torio: la monazite, che nel frattempo l’URSS si era premurata di stoccare.
L'estrazione del torio sotto forma di monazite veniva effettuata nell’Unione Sovietica dagli anni '30, prima dell'inizio del progetto atomico, nel quadro di un interesse generale per i materiali radioattivi. Le miniere si trovavano in Siberia ed anch’esse, negli anni seguenti, dettero i loro problemi perché le discariche dell’attività mineraria contenevano una sabbia fine che la popolazione locale usava come materiale da costruzione con il risultato che negli anni 90 tutti questi insediamenti dovettero essere bonificati dalla stessa azienda che qualche anno prima operava nell’area di Chernobyl.
Il deposito di Krasnoufimsk
La monazite è un materiale radioattivo presente in natura, ha un'elevata stabilità chimica, ed è praticamente insolubile in acqua. Il grado di radioattività è determinato dalla percentuale di radionuclidi di torio e uranio in essa contenuti. Ma la monazite non contiene solo torio, ma anche le terre rare anzi, la maggior parte delle risorse mondiali di terre rare si trovano in due minerali: monazite e bastnasite. Le autorità russe decisero di mettere il loro stock strategico in un luogo, vicino a Krasnoufimsk nella regione di Sverdlovsk, negli Urali. In un’area di circa20 ettari, all’interno di capannoni di legno, vennero stoccate circa 82.000 tonnellate di monazite in scatole di legno da 50 chilogrammi: questo deposito rende, ancora oggi, la Russia uno dei leader mondiali nelle riserve di torio.
L’interno dei magazzini di stoccaggio costruiti nei primi anni 60 in condizioni fatiscenti. Fonte: UralMonacyt.
Negli anni ‘90 i prezzi degli ossidi di terre rare cominciarono a salire ed iniziò a farsi strada l’idea di sfruttare commercialmente il deposito. Ma, anche solo per ottenere degli ossidi di terre rare, è necessario disporre di tecnologie per la loro elaborazione ed in quegli anni la Cina cominciava la sua ascesa che l’avrebbe portata nel giro di 20 anni a dominare il mercato globale delle terre rare ed il progetto naufragò. In quegli anni nelle popolazioni locali cominciò a manifestarsi concretamente il timore delle possibili radiazioni gamma, complice anche lo stato ormai fatiscente dei depositi.
Nel 2004 gli specialisti dell'Unione ecologica degli Urali conclusero che il deposito di monazite concentrata non soddisfaceva i requisiti di sicurezza dalle radiazioni, poiché riscontrarono che le statistiche mediche mostravano un tasso notevolmente elevato di cancro rispetto alle altre città della regione. Tuttavia la documentazione ufficiale dell'istituzione statale UralMonatsit diceva tutt’altro: ovvero che sì, in prossimità dei magazzini e soprattutto al loro interno le radiazioni erano decine e centinaia di volte superiori ai livelli normali, 90 μSv / h rispetto a 0.2 μSv / h, (il sievert è l'unità di misura che stima gli effetti del danno provocato dalla radiazione su un organismo) ma nelle aree circostanti, nell'acqua, nel suolo o in campioni di vegetazione non è stata trovata traccia né della monazite né del torio radioattivo in essa contenuto. Inoltre, tutti i test sanitari sui dipendenti della struttura non rivelarono mai alcuna anomalia di casi di cancro o di altre malattie.
Fase di costruzione delle strutture metalliche di contenimento, al loro interno è possibile vedere le vecchie strutture in legno. Fonte: UralMonacyt.
Venne comunque deciso di avviare un progetto che, nel 2008, portò alla costruzione di una serie di strutture in metallo per contenere i vecchi capannoni in legno. Va comunque rilevato, in merito allo stoccaggio della monazite, che essendo insolubile non tende a miscelarsi con l’acqua innescando il rischio di inquinamento delle risorse idriche ed anche il controllo delle polveri può essere effettuato con relativa semplicità. Di contro qualunque tecnologia venga utilizzata per produrre torio o elementi di terre rare, da questo minerale, comporta un processo che provoca la formazione di una grande quantità di scorie radioattive e questi rifiuti che sono in forma liquida e mobile possono contaminare l'acqua con i nuclidi radioattivi.
Nel 2013 il governo regionale decise di vendere all'asta lo stock di monazite per 50 milioni di rubli che fu acquistato dalla RedZem Technology LLC una controllata dell’ICT Group di proprietà del miliardario Alexander Nesis che oggi pare essere nella lista degli oligarchi russi nel mirino delle sanzioni internazionali.
I manipolatori adibiti alla movimentazione delle casse sono dotati di telecamere, gli operatori sono fuori dal magazzino durante il lavoro. Fonte: UralMonacyt.
L’accordo includeva che il territorio della base di stoccaggio venisse riabilitato con la rimozione e il trattamento di tutti i rifiuti radioattivi. La RedZem Technology LLC confermò che il minerale sarebbe stato esportato in Cina per estrarvi gli elementi delle terre rare viste le capacità tecnologiche del Dragone cinese nella gestione del ciclo produttivo delle terre rare. Nel 2018 venne incaricata la LLC PK SpetsAtomServis, specializzata nelle operazioni con sostanze radioattive su strutture a rischio radiazioni, di predisporre gli imballaggi di tipo IP-1 per il trasporto di materiale radioattivo di basso livello.
I contenitori in legno verranno ripuliti manualmente dai residui di monazite con aspiratori industriali e inviati ulteriormente al tritatutto, visibile a sinistra, a cui seguirà un eventuale controllo dosimetrico. Fonte: UralMonacyt.
Nel frattempo, venne annunciato il contratto a lungo termine tra il gruppo russo ICT e la cinese Yongzhou Lingling Yuanda New Materials Co., Ltd., per l’acquisto e l’importazione in Cina di circa 12.000 tonnellate di concentrato di monazite di Krasnoufimsk con l’obbiettivo di stabilire una relazione strutturata di cooperazione e di dare un contributo significativo allo sviluppo dell'industria delle terre rare nei due paesi. Le importazioni cinesi di materie prime di terre rare sono aumentate di un enorme 40% su base annua lo scorso anno, pari a 169.500 t e, in mezzo alle opache statistiche cinesi, si nota un lotto di 5,8 t di quella sembra essere un’ulteriore spedizione della monazite russa di Krasnoufimsk: molto probabilmente questa potrebbe essere stata un'altra spedizione di prova o l’inizio della prevista fornitura.
Il prezzo dell’indipendenza energetica
Questa storia consente molteplici riflessioni: innanzi tutto la capacità della Cina di costruire relazioni per approvvigionare la sua vorace fame di materie prime, un aspetto dove l’Europa e gli Stati Uniti sono in evidente ed affannoso ritardo. Ma soprattutto induce a riflettere su un tema che in questi giorni rimbalza con frequenza sui media: l’indipendenza energetica. La stessa Commissione UE aveva, oltre un anno fa, spiegato come “la dipendenza dai metalli per la transizione energetica potrebbe rivelarsi peggiore di quella dai combustibili fossili” senza però spiegarne le ragioni.
Per capirlo è necessario visitare Baotou, la più grande città industriale nella Mongolia Interna, uno dei maggiori fornitori di terre rare di tutto il mondo. Qui ha sede il Baotou Research Institute of Rare Earth, qui ci sono le tecnologie ed i siti dove avviene il processo di raffinazione della monazite che viene estratta nella miniera di Bayan Obo. Le strade sono invase da enormi camion che trasportano carbone, eruttano fumi di scarico rendendo l’aria irrespirabile e, durante le piogge, attraversano strade allagate dall’acqua divenuta nera per la polvere di carbone. L’aria è perennemente intrisa di un odore di zolfo che ricorda un paesaggio industriale che l’America e l’Europa hanno ampiamente dimenticato, quello che nel secolo scorso si apriva nei quartieri di Detroit o Sheffield, che dovevano avere un aspetto e un odore simili.
Perché, in realtà, all’origine del dominio cinese sul mercato delle terre rare non c’è una particolare ricchezza dei loro giacimenti, quanto il fatto che è sul territorio cinese che si svolgono i processi, estremamente tossici e pericolosi, necessari ad estrarre il prodotto dal minerale e raffinarlo in forma utilizzabile.
La produzione di terre rare idonee agli impieghi industriali, primi fra tutti quelli funzionali allo sviluppo della cosiddetta “green economy” è un’attività che genera una grande quantità di rifiuti e di inquinanti tossici, che per le aziende occidentali costituirebbero una zavorra di costi ambientali che le porterebbero fuori mercato, ammesso riuscissero ad ottenere l’accettazione sociale ad operare nei nostri territori. Pechino non ha avuto invece nessun timore o remora delle gravi conseguenze sanitarie ed ambientali della produzione di questi rifiuti e inquinanti: ha scientemente scelto la strada del dumping ambientale per acquisire il controllo di questi minerali e mettere fuori mercato il resto del mondo.
Oggi i magneti permanenti che muovono le ruote delle auto elettriche o le pale delle turbine eoliche vengono solo dall’Impero di Mezzo dove si apprestano a raffinare le 82.000 tonnellate di monazite russa per costruirne di nuovi. Oggi a non volere le miniere sui nostri territori sono proprio quelle associazioni ambientaliste che propugnano l’utilizzo delle auto ecologiche ansiose di liberarsi del nostro passato industriale, di oscurare nel dibattito pubblico le connessioni che legano tutti noi all’estrazione delle risorse dal sottosuolo, precludendo così risposte ben ponderate ed oneste a domande scomode che parlano di desiderio e complicità, di capitalismo e cultura moderna.
Il controllo dominante della Cina sui metalli e sulle tecnologie verdi è un potente strumento di negoziato nelle mani di Pechino, se la Cina tagliasse o limitasse severamente le esportazioni di metalli o di alcune componenti durante un conflitto, come hanno fatto con il Giappone nel 2010, la situazione non sarebbe molto difforme da quella odierna in un paese votato all’”energia verde”.
A renderci dipendenti dal Dragone Cinese sono state le nostre scelte ambientali: l’indipendenza energetica significa accettare che minerali e metalli sono gli elementi costitutivi di tutto, sono ciò che ha permesso all’Europa di diventare quello che è. Significa accettare gli enormi benefici ma anche l’enorme potenziale distruttivo dell’industria estrattiva, comprendere fino in fondo le implicazioni del nostro appetito per i metalli, oggi elementi fondanti di un nuovo paradigma energetico, un appetito che ci rende dipendenti da quei paesi dove abbiamo convenientemente spostato i costi ambientali e sociali: lontano dagli occhi e dalla coscienza.
Bisogna accettare che le nuove “miniere sostenibili” alla fine potrebbero non esserlo, che l'estrazione mineraria e la protezione dell'ambiente e delle bellezze paesaggistiche sono antitetici, che il cuore dell’estrazione mineraria può essere davvero nero ma che l’indipendenza energetica impone di “guardare il mostro negli occhi”.