CARO BOLLETTE E SEMPLIFICAZIONI
Il Governo si lamenta della burocrazia e vara una semplificazione dopo l’altra. Ma gli unici impianti che godono di una vera deregulation – anche in contrasto con la normativa europea – sono le pale eoliche e il fotovoltaico a terra che non servono ad attenuare la crisi energetica e che danneggiano il paesaggio in modo irreversibile.
Lo shock della guerra in Ucraina ha abbattuto molti tabù anche nel dibattito sull’energia e sulla transizione ecologica, nelle conseguenti politiche del governo italiano e in quelle della stessa Unione Europea.
Ad esempio, è diventato chiaro, anche a chi non si è mai soffermato sui numeri del bilancio energetico, che le nostre società non possono, nell’immediato e ancora a lungo, fare a meno dei combustibili fossili e che, se viene meno il gas russo, in Italia, nonostante gli ingenti investimenti fatti in questi anni sulle rinnovabili, bisogna tornare ad accendere addirittura le centrali carbone che stavamo per spegnere. Chi, per anni, ha preteso, persino in contrasto con gli esiti del referendum del 2016, la dismissione delle trivelle nei nostri mari, è stato smentito brutalmente.
In Germania, dove il ricorso al carbone non è mai venuto meno, si ipotizza addirittura di rimettere in funzione le centrali nucleari dismesse di recente, senza che ciò provochi obiezioni sostanziali da parte dei Verdi al governo.
Rinnovabili “ad ogni costo”, letteralmente.
Questo bagno nella realtà non impedisce, tuttavia, di continuare a recitare il ritornello delle rinnovabili ad ogni costo, anzi sempre di più, invocando in ogni occasione utile l’azzeramento di ogni residuo esame di compatibilità degli impianti eolici e fotovoltaici con i territori che dovrebbero ospitarli.
Al livello di governo italiano, da Draghi a Cingolani, non si perde un’instante a contestare le affermazioni fasulle dei lobbysti delle rinnovabili, secondo i quali con 60 GW di nuove FER la bolletta elettrica calerebbe del 40%. Un’affermazione priva di fondamento perché non tiene conto dei costi di sistema e dei vincoli economico-regolatori. Addirittura ridicola, se consideriamo il fatto che da dieci anni, in bolletta, stiamo pagando un investimento di oltre 220 miliardi per sovvenzionare le sole rinnovabili già installate fino al 2020, installazioni che si sono dimostrate perfettamente inutili per almeno attenuare la crisi dei prezzi del gas.
“Ho parlato del gas – dice invece Draghi - ma sappiamo che la risposta più valida nel lungo periodo sta nel procedere spediti, come stiamo facendo, nella direzione di un maggiore sviluppo delle fonti rinnovabili, soprattutto con una maggiore semplificazione delle procedure per l'installazione degli impianti. A questo proposito, vorrei notare che gli ostacoli a una maggiore speditezza su questo percorso non sono tecnici, non sono tecnologici, sono solo burocratici.”
Secondo noi, il Presidente del Consiglio è stato male informato. Ci sono – eccome- obiezioni di carattere tecnologico, economico, termodinamico, sociale, ambientale e culturale suscitate da una strategia fondata in modo prevalente sulle attuali rinnovabili. Ma, in questa sede, vogliamo soffermarci su questi supposti ostacoli burocratici che continuano a essere additati come il principale problema da affrontare, per il quale si invocano misure emergenziali.
Una semplificazione complicata
Dopo un anno di leggi e decreti sulle semplificazioni così tanto invocate da tutti, approvate senza alcuna opposizione in Parlamento e nel Paese, senza che le comunità impattate dalle installazioni siano mai state ascoltate, vediamo qual è esattamente la situazione, chiedendo scusa ai lettori se la descrizione delle norme di semplificazione può apparire … complicata.
Occorre fare una premessa: non un oscuro e arrogante burocrate italiano, ma l'art. 5 della Legge delega europea 53/2021 stabiliva che la definizione della disciplina (principi e criteri) per la individuazione delle superfici ed aree idonee e non idonee alla installazione di impianti FER andasse varata contestualmente al Decreto legislativo di recepimento della Direttiva 2018/2001/UE (RED II) sulla promozione delle rinnovabili.
Invece, l'art. 20 del Decreto legislativo 199/2021 con cui è stata recepita la Direttiva europea - entrato in vigore il 15 dicembre 2021 - ha rinviato l’emanazione della disciplina sulle aree idonee a uno o più decreti del Ministro della Transizione ecologica che dovranno uscire entro il 15 giugno 2022. Entro I successivi 6 mesi ciascuna Regione, applicando la predetta disciplina, dovrà individuare le aree idonee; dunque, entro il 15 dicembre 2022.
Prima gli impianti, poi le norme
Come mai, nonostante tutta questa fretta, si è deciso un rinvio di ben sei mesi – che, con il tempo concesso alle Regioni per l’attuazione, diventa di un anno - di un adempimento del Ministero di Cingolani? Sottolineiamo che le associazioni contro l’eolico industriale, riunite nella Coalizione articolo 9 in difesa del paesaggio, hanno chiesto a gran voce l’emanazione immediata dei criteri per la definizione delle aree ma sono state ignorate.
A chi si intende un po’ di burocrazia, la ragione del rinvio è evidente. Tutti i progetti già presentati ed in corso di istruttoria -statale o regionale - alla data del 15/12/2021 (data dell’entrata in vigore del decreto legislativo) sono soggetti alla normativa precedente, ossia gli impianti possono essere localizzati ovunque, al di fuori di ogni pianificazione del territorio e sulla sola base di valutazioni "caso per caso", escludendo ovviamente quelle zone che alcune – poche - Regioni avevano definito "non idonee" avvalendosi della facoltà prevista dalla normativa precedente (art. 12 del D. Lgs. 387/2003) ancora in vigore.
L’intento di garantire un anno di “deregulation” utile per sbloccare le autorizzazioni ai progetti già presentati, è confermato dallo stesso art. 20 del D. Lgs. 199 che vieta espressamente ogni moratoria/interruzione dei termini dei procedimenti autorizzatori in corso. In questo modo, i progetti da sbloccare sono aiutati dalle vecchie e nuove semplificazioni ma esentati dal rispondere ai nuovi criteri e principi di localizzazione.
Infatti, una gran numero di progetti presentati prima del 15 dicembre 2021 sono stati autorizzati da tre mesi a questa parte superando qualsiasi parere negativo delle autorità preposte alla tutela paesaggistica attraverso lo strumento della "rimessione" alla decisione del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministero della Transizione ecologica.
Precisiamo che i progetti presentati al 15 dicembre riguardano una potenza installata di quasi 170 GW, ben oltre il doppio del potenziale massimo finora richiesto all’Italia. Dice la Staffetta Quotidiana che monitora progetti, autorizzazioni e aste: “Sicuramente non si può dire che iter farraginosi o lenti stiano scoraggiando gli investitori. Gli uffici delle Regioni e del Mite sono invasi di fascicoli con progetti di impianti. Le richieste di connessione alla rete di Terna sono passate da una media di poche decine tra il 2014 e il 2017 a 362 nel 2018, 1.039 nel 2019, 1.257 nel 2020 e a oltre 1.400 nel 2021 (un migliaio per progetti fotovoltaici, circa 500 per progetti eolici). Per una potenza che già nel 2020 superava i 95 GW tra eolico e fotovoltaico e, nel 2021, è arrivata a circa 136 GW (di cui una trentina in Sicilia, il che crea qualche problema in termini di rete), senza contare i 32 GW di richieste di connessione per impianti eolici offshore (erano circa 5,3 GW a fine 2020) e una novantina tra accumuli, idroelettrico e termoelettrico.
E, per ciò che riguarda le autorizzazioni, nel registrare gli sblocchi recenti, la Staffetta osserva: “Se ci voltiamo indietro, tuttavia, possiamo verificare anche che negli ultimi due-tre anni la situazione non è stata così disastrosa come molti denunciano. Nei sette bandi svolti finora in attuazione del decreto Fer 1, entrato in vigore nel 2019, sono stati assegnati incentivi complessivamente a circa 2,2 GW di progetti eolici, di cui oltre 2 GW di grandi impianti e oltre 200 MW di “mini eolico”. In tutto si tratta di oltre 1.200 “pale”, dai trenta metri in su di altezza. Sulla carta, 2,2 GW in poco più di due anni (il primo bando del decreto Fer 1 risale a ottobre 2019) è un ritmo adeguato a raggiungere gli obiettivi al 2030 (per i quali serve circa un GW l'anno di nuova potenza installata).
A questo ritmo, ce n’è abbastanza per cambiare l’aspetto dei crinali appenninici e le pianure agricole di tutta Italia, prima che sia messa in atto qualsiasi pianificazione territoriale. Noi non siamo d’accordo, ovviamente. Ma speravamo che almeno gli appetiti di tutti i lobbysti rinnovabilisti fossero placati. Invece no.
L’appetito vien deregolando
Invece, per i progetti di impianti FER presentati successivamente al 15 dicembre, vale la norma transitoria del comma 8 dell'art. 20 del D.Lgs. 199/2021 secondo cui, nelle more della individuazione regionale delle aree idonee, si considerano idonei solo i siti ove sono già installati impianti della stessa fonte e su cui vengono realizzate modifiche "non sostanziali", i siti soggetti a bonifica e le cave e miniere in disuso.
Valeva. Abbiamo verificato che il MITE ha ammesso ad istruttoria della neocostituita Commissione tecnica VIA PNIEC-PNRR anche progetti di impianti eolici presentati in data successiva al 15 dicembre 2021 e da localizzare in siti diversi dalle tre tipologie di cui sopra, anziché dichiarare subito improcedibili tali richieste.
Come questo qui: https://va.minambiente.it/it-IT/Oggetti/Documentazione/8345/12311 “Progetto di impianto eolico composto da 10 aerogeneratori da 6 MW ciascuno, per un totale di 60 MW, con 30 MW di sistema di accumulo, da realizzarsi nei comuni di Mesagne (BR), Torre Santa Susanna (BR) e Latiano (BR)” dove le pale sono alte 220 metri”.
Deregulation anche per l’eolico offshore
Un fatto ancor più grave riguarda gli impianti eolici offshore. Non solo non sono stati ancora adottati i Piani di gestione prescritti dalla Direttiva 2014/89 sulla pianificazione dello spazio marittimo (termine ultimo stabilito dalla Direttiva: 31 marzo 2021) che sono l'unico e solo strumento di individuazione delle aree marine idonee alla localizzazione degli impianti offshore di rinnovabili.
In questo caso, con l'art. 13 del D.L. n. 17 del 1° marzo 2022, "Misure urgenti per il contenimento dei costi dell'energia elettrica..." il Governo ha di fatto consentito, con la ipocrita motivazione di voler ... garantire il rispetto delle aree sottoposte a vincoli ambientali nelle more dell'individuazione delle aree idonee... la possibilità di autorizzare impianti di rinnovabili in qualunque zona di mare, sia al di fuori delle zone marine ancora da individuare quali idonee con i Piani di gestione dello spazio marittimo che al di fuori dei siti in mare che lo stesso art. 23 del D. Lgs. 199/2021, al comma 3, lett. a) e b) considerava idonei nelle more dell'adozione dei Piani suddetti (2 miglia nell'intorno di piattaforme petrolifere in disuso e i porti).
L'unica condizione da rispettare imposta dal D.L., risibile nella sua inapplicabilità, è quella che le aree di localizzazione non siano sottoposte a vincoli incompatibili con l'insediamento di impianti offshore (sic!). Viene così esteso anche a tali aree il carattere obbligatorio ma non vincolante dei pareri espressi dall'autorità competente in materia paesaggistica e la riduzione di un terzo dei termini procedurali per il rilascio dell'autorizzazione.
Va ricordato in proposito che siamo già con circa 1 anno di ritardo rispetto all'adozione dei Piani prescritti dalla Direttiva spazio marittimo e che il governo - col pretesto del caro bollette - (che richiede provvedimenti immediati ora e subito e non semplificazioni per autorizzare impianti da fonti rinnovabili che saranno operativi tra qualche anno) anziché pianificare sul territorio ed in mare la localizzazione degli impianti FER, dà spazio all'anarchia più totale per disseminare ovunque tali impianti, addirittura consentendo alle aziende agricole che ricoprono con il fotovoltaico fino al 30% della loro superficie agraria di avere incentivi.