UN’ANALISI LCA DELL’OLIO DI PALMA
Quasi il 20% della produzione di olio di palma nel mondo ha ottenuto una certificazione volontaria di sostenibilità ambientale e, per il quarto anno consecutivo, la deforestazione diminuisce nei paesi produttori. Anche le emissioni di CO2 si riducono, sia rispetto alla produzione convenzionale, sia rispetto alle altre colture oleaginose. Un’esperienza da replicare a molte altre produzioni.
In copertina: Foto Widodo Margotomo. Foresta pluviale in Papua, Indonesia.
L’olio di palma, nonostante sia l’olio vegetale più usato e prodotto su scala mondiale (costituisce il 35% della produzione nel 2018), continua ad essere quello più al centro di critiche mediatiche e di campagne di boicottaggio, soprattutto in Europa, al terzo posto tra i consumatori di olio di palma nel mondo.
Oli vegetali prodotti nel mondo
Fonte FAOSTAT, 2021 (anno di riferimento 2018)
Le critiche mosse alla produzione di olio di palma che hanno avuto maggior impatto mediatico vanno dal “fa male alla salute”, al “è dannoso per l’ambiente e la biodiversità”.
Se le accuse riguardo agli impatti sulla salute sono state smentite (ne abbiamo parlato qui), invece non c’è dubbio che l’espansione della palma da olio sia stata responsabile nei decenni passati della riduzione di vaste aree di foresta tropicale e del drenaggio di alcune torbiere naturali con conseguenti perdite di significativi stock di carbonio forestali ed emissioni di gas serra, perdita di importanti habitat naturali e minacce per la biodiversità, famoso l’esempio dell’orango che è diventato il simbolo di numerose campagne di boicottaggio dell’olio di palma. In alcune regioni, come ad esempio il Borneo, è stato stimato che le piantagioni di palme da olio hanno contribuito negli anni passati (fino al 2015) al 50% circa della perdita di foreste tropicali.
Nell’ultimo decennio, la crescente attenzione e sensibilità verso queste tematiche hanno spinto produttori e utilizzatori a cercare di trasformare la produzione in modo da renderla meno impattante dal punto di vista ambientale, ma anche economico e sociale.
A tal fine sono stati quindi sviluppati una serie di schemi e protocolli di certificazione, che includono principi e criteri di natura ambientale e socio-economica per la produzione sostenibile dell’olio di palma. Uno dei più conosciuti è la Roundtable on Sustainable Palm Oil (RSPO, di cui si parla più approfonditamente qui e qui), che rappresenta il sistema volontario di certificazione più diffuso. Attualmente circa il 19% della produzione globale di olio di palma è certificato RSPO.
Tra gli impegni più importanti assunti dall'industria dell'olio di palma c’è l'impegno "No Deforestation, No Peat and No Exploitation", abbreviato in NDPE, ossia “No Deforestazione, No Torbiere, No Sfruttamento”. Questo impegno, per il quale la palma ha fatto da apripista per molte altre produzioni agricole, ha come obiettivi: impedire che qualsiasi nuova deforestazione venga effettuata per liberare spazio per la coltivazione, fermare lo sviluppo di nuove piantagioni sulle torbiere e proteggere le comunità indigene.
Gli sforzi della filiera si riscontrano nei più recenti dati sull’andamento della deforestazione in Indonesia e Malesia, dove si concentra l’85% della produzione di olio di palma, che hanno fatto registrare un calo per il quarto anno consecutivo.
Perdita di foresta primaria in Indonesia e Malesia (2002-2020)
Fonte: World Resources Institute
L’analisi LCA (Life-Cycle Assessment) condotta dalla Fondazione CMCC (Centro Euro-Mediterraneo per i cambiamenti climatici) sugli impatti ambientali della filiera dell’olio di palma, presentata lo scorso 30 settembre durante il webinar “Olio di palma sostenibile per il clima: obiettivo zero deforestazione e certificazione di filiera” organizzato dall’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile, considera tutti gli impatti all’interno della produzione agricola degli oli vegetali, utilizzando in particolare due indicatori: la “Carbon footprint” (emissioni di anidride carbonica) e l’“Ecological footprint” (consumo di terra e di risorse).
Per quanto riguarda l’“Ecological footprint”, è stata stimata la superficie necessaria per produrre 1 tonnellata di olio. I risultati mostrano che l’olio di palma risulta quello ad impatto minore, grazie soprattutto alla sua elevata resa, fino a 10 volte superiore rispetto ad altri oli vegetali. Infatti l’olio di palma, sebbene come abbiamo detto in precedenza costituisca il 35% della produzione mondiali di oli vegetali, occupa solamente il 10% della superficie globale dedicata a colture oleaginose.
Superficie (ha) necessaria per produrre 1 tonnellata di olio
Fonte: CMCC
Per il calcolo della “Carbon footprint” sono stati considerati, per ogni produzione in esame, i dati di produzione, di superficie coltivata e altri dati primari di coltivazione come, ad esempio, le operazioni colturali (aratura, trattamenti, raccolta), i fertilizzanti e i pesticidi usati. I dati preliminari dello studio mostrano che le emissioni generate per la produzione dell’olio di palma sono inferiori a quelle di altri oli vegetali, come soia, colza o girasole.
Emissioni di gas ad effetto serra per tonnellata di olio
Fonte: CMCC
L’analisi di CMCC ha anche calcolato le emissioni della produzione di olio di palma convenzionale stimando le emissioni dovute alle deforestazioni degli anni passati per fare spazio alle coltivazioni di palma da olio. Dal confronto con le emissioni della produzione di olio di palma senza deforestazioni, risulta evidente che la deforestazione evitata nelle produzioni certificate comporta un notevole vantaggio in termini di riduzione delle emissioni.
Emissioni di gas ad effetto serra per tonnellata di olio: effetto della certificazione
Fonte: CMCC
È importante inoltre ricordare che il fenomeno della deforestazione non è correlato solo all’olio di palma, ma a tutto il settore agricolo (quindi anche alle altre colture oleaginose) e che quindi la certificazione di sostenibilità dovrebbe interessare tutti gli oli. Anche per tale ragione spostare l’utilizzo dall’olio di palma verso altri oli (a maggiore impatto e minori rese) potrebbe semplicemente spostare il problema o addirittura amplificarlo (oli a minori rese richiederebbero maggiori superfici).