RINNOVABILI: I RITARDI E LE INADEMPIENZE DI STATO E REGIONI
L’autore, fra i rappresentanti della #CoalizioneArticolo9 formata da 15 associazioni ambientaliste contrarie all’eolico e al fotovoltaico a terra, spiega perché, a ritardare l’impianto di nuove rinnovabili non siano i difensori del paesaggio e della biodiversità ma i ritardi e le inadempienze dello Stato e delle Regioni nella pianificazione territoriale. La Direttiva europea del 2018 e la legge delega di recepimento impongono una correzione di rotta, ma lo schema di Decreto legislativo del Governo (in esame alle Camere) rimanda e ritarda ancora, con l’obiettivo evidente di aggirare le norme di tutela.
Il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione fissati dall’Unione Europea (riduzione del 55% delle emissioni di CO2 al 2030 rispetto ai livelli del 1990 e raggiungimento della neutralità climatica al 2050) comporterà un enorme aumento del numero di impianti da fonti rinnovabili di energia, in particolare eolico e fotovoltaico, da realizzare entro il 2030. A quella data si prevede un incremento della capacità elettrica basata sulle rinnovabili pari a 65 - 70 Gw rispetto a quella attuale.
Il nodo fondamentale da sciogliere urgentemente per conseguire tale obiettivo è quello della localizzazione degli impianti, che si trascina irrisolto da quasi 20 anni, non essendo mai stato affrontato secondo l’unica ottica corretta ed efficace che è quella del suo inserimento nella pianificazione territoriale.
Le 15 Associazioni che hanno dato vita alla #CoalizioneArt.9, anche nel corso dell’Audizione del 21 settembre scorso presso le Commissioni riunite Ambiente ed Attività produttive della Camera, che hanno in corso l’esame dello Schema di Decreto legislativo di recepimento della Direttiva 2018/2001 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, hanno denunciato la cronica e deleteria situazione di assenza di programmazione nella localizzazione sul territorio degli impianti di rinnovabili, che affligge l’Italia sin dal 2003, anno di emanazione del Decreto legislativo 387/2003 di recepimento della Direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. L’art. 12 di tale Decreto legislativo ha disposto infatti che il rilascio dell’autorizzazione unica costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico in tal modo facendo sì che sino ad oggi ogni scelta di localizzazione di questi impianti sia stata dettata prevalentemente dalla convenienza economica degli operatori del settore.
Se è pur vero che il Legislatore nazionale nel lontano 2003 aveva attribuito alle Regioni la facoltà (ma non “l’obbligo”) di procedere alla indicazione di aree e siti non idonei all’installazione di specifiche tipologie di impianti, sulla base di linee guida nazionali emanate soltanto nel 2010 dal Ministero dello sviluppo economico a distanza di ben 7 anni dall’entrata in vigore del Decreto legislativo, il clamoroso ritardo nella individuazione delle aree non idonee da parte delle Regioni e il suo carattere estemporaneo anziché sistematico, in assenza di un approccio pianificatorio preventivo ed integrato, ha poi determinato una scarsa utilità di queste aree, in gran parte ugualmente compromesse dall’insediamento di impianti autorizzati prima della loro individuazione come ‘non idonee’, con la conseguenza di danneggiare in molti casi gli habitat naturali, la biodiversità ed i valori paesaggistici, compromettendo gravemente alcuni siti, soprattutto con l’istallazione di centrali eoliche.
Centinaia di tali impianti con migliaia di aerogeneratori hanno stravolto interi territori soprattutto al Sud e nelle Isole ove, grazie alle condizioni di ventosità, risulta oggi installata oltre il 90% della potenza eolica totale, quali la Daunia, l’Irpinia e buona parte della Basilicata, nonché vaste aree della Sicilia, della Sardegna e nel Beneventano, nel Crotonese in Calabria, in Abruzzo e in Molise, persino in stretta prossimità con i centri abitati. Lo stesso turismo, spesso importante risorsa economica di molte di queste aree, ne è risultato irreparabilmente danneggiato a seguito della compromissione dei valori paesaggistici, mentre la realizzazione non pianificata di torri eoliche sempre più imponenti e dunque con opere di fondazione sempre più massicce, innesca fenomeni di erosione e dissesto dei suoli e di alterazione della consistenza e del deflusso delle acque sotterranee.
A titolo di esempio la sola Daunia (Fg) è stata nell’ultimo periodo interessata da progetti di impianti fotovoltaici estesi su oltre 10.000 ettari e malgrado tutti gli impianti solari già realizzati o approvati, le oltre 1432 torri eoliche già realizzate e quelle ulteriori autorizzate, numerose sono le nuove istanze presentate per progetti di energia eolica, con torri anche da 260 metri di altezza a saturazione di ciò che rimane del territorio. In tali contesti territoriali le Autorità Ambientali locali molto spesso non sono in grado di svolgere valutazioni attendibili, mentre i procedimenti di competenza ministeriale vengono licenziati positivamente sulla base di istruttorie gravemente carenti prodotte dai proponenti e senza alcun raccordo con i procedimenti di competenza locale.
Alla deleteria assenza di una pianificazione integrata si può oggi porre rimedio, sia pur tardivamente, dando corretta attuazione all’art. 15.3 della Direttiva 2018/2001, che prescrive che le Autorità competenti degli Stati membri inseriscano disposizioni volte all’integrazione e alla diffusione delle energie rinnovabili… in sede di pianificazione, compresa la pianificazione precoce (leggasi preventiva N.d.R.) del territorio… ed inoltre, al successivo punto 7 del medesimo art. 15, che Gli Stati membri effettuano una valutazione del loro potenziale di energia da fonte rinnovabile…Tale valutazione include, se del caso, un’analisi spaziale delle aree idonee per un’utilizzazione a basso rischio ambientale.
Il Legislatore nazionale con l’art. 5 della Legge di delegazione europea 53/2021 approvata a conclusione di una intensa attività parlamentare, ha correttamente recepito tali disposizioni comunitarie, dettando al Governo una serie di principi e criteri direttivi specifici da osservare in sede di predisposizione del Decreto Legislativo di recepimento della Direttiva a cura del Ministro della transizione ecologica. Tra questi riveste una particolare importanza la previsione di una disciplina statale per l’individuazione sia delle aree non idonee che di quelle idonee alla realizzazione degli impianti ad energia rinnovabile, nel rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali ... Detta disciplina dovrà essere attuata dalle Regioni con propri atti programmatori che, nei sei mesi successivi, individueranno le aree idonee.
Si deve purtroppo constatare che lo Schema di D. Lgs. in questi giorni all’esame delle Commissioni parlamentari Ambiente ed Attività produttive di Camera e Senato disattende alcuni di questi principi e criteri direttivi poiché rimanda ulteriormente a successivi Decreti del Ministro della transizione ecologica l’emanazione della predetta disciplina statale di individuazione delle aree e si dimentica, in diversi articoli, di richiamare la necessità di tutelare adeguatamente i valori ambientali, paesaggistici e culturali.
Tale indebito rinvio, unito all’inopportuna previsione contenuta nello Schema di D. Lgs. di non consentire alcuna sospensione dei termini dei procedimenti di autorizzazione in attesa che le Regioni abbiano individuato le aree idonee, non fa altro che procrastinare di altri sei mesi la dannosa prassi di rilasciare le autorizzazioni alla realizzazione degli impianti in modo estemporaneo, al di fuori di ogni pianificazione urbanistica e territoriale e sulla base di valutazioni ambientali spesso corredate da basi conoscitive e progettuali del tutto carenti, consentendo in tal modo il massacro definitivo degli habitat naturali e del paesaggio, considerato l’enorme numero di richieste di autorizzazioni per la costruzione di impianti di rinnovabili pervenute in questi mesi sui tavoli delle Amministrazioni competenti in concomitanza con l’approvazione e l’avvio dell’attuazione del Recovery Plan europeo.
Altro effetto da non trascurare è l’indebito prolungarsi dello stato di inadempienza dell'Italia nei riguardi del recepimento completo della Direttiva 2018/2001, per il quale il nostro Paese ha già ricevuto il 26 luglio una lettera di messa in mora da parte della Commissione UE, con il concreto rischio di vedersi sospesa l’erogazione delle prossime tranches di finanziamenti europei del Recovery Plan – Transizione verde nel caso in cui non si dia tempestiva attuazione a tutte le sue disposizioni.
Per tali motivi #Coalizione Art.9 nel corso dell’Audizione del 21 settembre presso le Commissioni parlamentari della Camera, ha richiesto che una disciplina statale articolata ed univoca di individuazione delle aree venga definita senza ulteriore indugio ed in poche settimane dal MITE, che può avvalersi del supporto dell’ISPRA e dell’ENEA e che la stessa venga inserita come Allegato nel Decreto Legislativo stesso, evitando così il suo rinvio a successivi decreti. Ha evidenziato inoltre l’esigenza di prevedere una sospensione dei termini dei procedimenti autorizzatori nelle more della definizione regionale delle aree idonee.
#CoalizioneArt.9 non demorderà dall’esercitare la sua azione di persuasione nei riguardi delle Istituzioni, nella convinzione che ora o mai più occorre porre un freno al disordinato proliferare di impianti eolici e solari in spregio ai valori paesaggistici ed ambientali, riconducendo tale attività, pur necessaria, nell’alveo della corretta pianificazione del territorio.
*Franco Gigliani è consigliere nazionale ALTURA, Associazione per la tutela degli uccelli rapaci e dei loro ambienti