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2024-03-29 05:42

La Conversione delle Bombe Atomiche

ENERGIA, PACE E SVILUPPO SOSTENIBILE

di: 
Francesco Lombardi, Massimo Sepielli, Giuseppe Rotunno*

Gli autori, esponenti del Comitato per una Civiltà dell’Amore, raccontano la storia, il contesto e le finalità dei programmi di conversione degli armamenti atomici in energia nucleare civile e il loro ruolo di concreto stimolo dei processi di pace e di sviluppo dei popoli.

Gli armamenti nucleari e le politiche di difesa

Per trasformare le testate accantonate negli arsenali delle potenze nucleari in strumenti con diversa finalità sono necessarie alcune scelte politiche forti ed epocali consistenti nella rinuncia almeno a parte delle armi nucleari che oggi rappresentano uno strumento rilevante nelle politiche strategiche e di difesa. Scelte come quelle auspicate, se poste in essere, sarebbero destinate a mutare profondamente gli scenari di politica internazionale e le condotte dei principali protagonisti. L’arma nucleare continua, infatti, ad essere, anche 30 anni dopo la fine del confronto bipolare, strumento su cui molti stati basano le proprie politiche di difesa.

Dopo le prime esplosioni sulle città giapponesi, durante la Seconda guerra mondiale, la proliferazione di armi nucleari si è sviluppata sostanzialmente su tre direttrici parallele:

- la crescita degli arsenali, che interessò inizialmente USA ed URSS, portando ad accumulare quasi 65mila testate nei momenti di maggior tensione;

- il costante miglioramento ed efficientamento della tecnologia nucleare;

- il perfezionamento dei sistemi di consegna, in particolare missilistici.

Le strategie sviluppate negli anni hanno sempre assegnato all’arma nucleare soprattutto un ruolo di “dissuasione”. Indurre, cioè, il potenziale avversario a desistere da ogni idea di azioni militari o di sviluppo di attività offensive. Peraltro, nel corso del confronto bipolare che ha caratterizzato la seconda parte del secolo scorso, ma il principio conserva piena validità anche ora, la dissuasione nucleare è da considerarsi stabile con la reale e credibile capacità di un secondo colpo (second strike), ovvero la capacità di infliggere danni inaccettabili all’avversario dopo aver subito un attacco di sorpresa (first strike). Per tale ragione, prima USA ed URSS e poi gli altri stati che sono entrati in possesso di armi nucleari, hanno anche cercato, accanto alla ridondanza delle testate disponibili, di diversificare i sistemi di lancio, onde rendersi meno vulnerabili ad un eventuale attacco. Ad oggi essi sono basati sostanzialmente sulla cd. “triade nucleare” costituita da tre componenti: terrestre, navale ed aerea. Cioè, missili terra-terra, bombe sganciate da aerei e missili lanciabili da sottomarini.

Fig.1 - Bomba Zar (la più grande bomba, sovietica, da 50 Megaton, fatta esplodere con finalità di test 

Dalla consapevolezza dell’impossibilità di ottenere un successo decisivo al primo colpo derivò la teoria della “mutua distruzione assicurata” (traduzione dall’inglese Mutual assured destruction o MAD). La tesi è che ogni utilizzo di simili ordigni da parte di uno schieramento finirebbe per determinare la distruzione sia dell’attaccante che dell’attaccato. Da cui una situazione di stallo in cui nessuno può permettersi di far scoppiare una guerra globale, poiché non ci sarebbero né vincitori né armistizi, ma solo l’inevitabile distruzione. La teoria, enucleatasi in epoche di Guerra fredda ma non per questo scaduta oggi di attualità, assume che ogni parte abbia sufficiente potenziale da distruggere l’altra e che ognuna delle parti, se attaccata, reagirebbe con forza pari o superiore o comunque paragonabile. Il risultato più attendibile è che la battaglia si intensificherebbe al punto che ognuna delle parti causerebbe all’altra una distruzione totale assicurata.

 

I Test e i primi Trattati

Negli anni, però, le testate costruite non sono rimaste sempre chiuse negli arsenali. Le potenze nucleari hanno sperimentato ordigni sempre più potenti, ciò sia per valutare tecnicamente la bontà dei prodotti realizzati, sia come monito alla controparte sulla propria capacità distruttiva. Il totale della potenza complessiva è valutato in 438 megatoni, l’equivalente in potenza dei megatoni totali impiegati nei test può essere stimato in circa 30.000 bombe di Hiroshima.

La più potente bomba H di matrice statunitense, denominata in codice “Bravo”, alle isole Marshall sprigionò 15 Megatoni; l’ordigno sviluppò una palla di fuoco di 6 km di diametro e l’onda d’urto fu avvertita fino a 160 km di distanza devastando l’ambiente naturale della zona.

La bomba sovietica (bomba H), denominata Bomba Zar, di 50 Megaton è stata l’arma nucleare più potente mai esplosa sul pianeta. Inizialmente, in realtà, si trattava di un modello di addirittura 100 Megaton, la cui potenza venne ridotta prima del test. Fu fatta detonare in un’isola a nord del Circolo Polare Artico. La distruzione fu totale in un raggio di 25 km e le costruzioni vennero gravemente danneggiate fino a 35 km dal punto zero; una bomba di queste dimensioni non ha praticamente nessun utilizzo militare in quanto troppo potente.

Questa prima fase di test atomici si chiuse con il PTBT (Partial Test Ban Treaty, Trattato sul Bando Parziale dei Test Nucleari), entrato in vigore il 10 ottobre 1963, che proibì agli Stati firmatari i test in atmosfera, terrestri e sottomarini lasciando la possibilità di effettuare ancora quelli sotterranei.

Successivamente, i test nucleari sono continuati nel sottosuolo, e con potenze minori a partire dalla firma tra USA e URSS del TTBT (Threshold Test Ban Treaty, Trattato sulla Soglia dei Test Nucleari), firmato il 3 luglio 1974, che limita le esplosioni sotterranee alla potenza di 150 chilotoni.

Il 24 settembre 1996 è stato proposto un nuovo trattato, il CTBT (Comprehensive Test Ban Treaty, Trattato Complessivo sulla messa al Bando dei Test Nucleari), ma non è ancora entrato in vigore.

Fig.2 - Primi test nucleari nel mondo 

L’arma nucleare è stata (per fortuna silente) protagonista del confronto bipolare ma con la scomparsa dell’impero sovietico non è cessata la corsa al nucleare, che ha assunto altre caratteristiche tecniche e strategiche. Al crollo dell’Unione Sovietica, nel 1991, i depositi di testate nucleari - allo stesso tempo un potere enorme e un pericolo tremendo - erano rimasti sul territorio di quattro stati divenuti indipendenti: Russia, Bielorussia, Kazakistan e Ucraina. Iniziò una partita strategica, diplomatica ed economica che portò al ritiro delle testate presenti fuori dalla Russia, che vide il Kazakistan cedere prontamente il proprio arsenale, anche perché viveva ed in parte vive tuttora forti problemi ambientali in quanto sede del più utilizzato poligono nucleare sovietico, la Bielorussia aderire pur con qualche ritrosia e l’iniziale intenzione dell’Ucraina di non cedere le testate presenti sul proprio territorio. L’intervento deciso degli Stati Uniti, in chiave diplomatica ed economica, e la pressione di gran parte della comunità internazionale indussero poi Kiev a cedere le armi nucleari a Mosca, anche nella considerazione degli alti costi di manutenzione necessari.

 

Megatons to Megawatts

In quegli anni però, presumibilmente sull’onda di un ottimismo sul futuro degli assetti internazionali che sarebbe però poi stato sconfessato, prese il via il programma Megatons to Megawatts, con un accordo firmato il 18 febbraio 1993 fra i presidenti americano e russo. L’accordo consisteva nell’acquisto da parte degli Stati Uniti d’America di uranio a basso arricchimento ottenuto dal ri-processamento dell’uranio altamente arricchito contenuto nelle testate nucleari della Federazione Russa. Il piano ha assicurato la riconversione di uranio proveniente da circa 20.000 bombe nucleari russe con la produzione di oltre 15.000 t di combustibile adatto per centrali elettronucleari. Un piano, dunque, con elementi vincenti da ambo le parti e che mirava a più obiettivi:

- eliminare definitivamente grandi quantità di uranio altamente arricchito, annullando così il rischio di un eventuale impiego per armi nucleari;

- realizzare la disattivazione delle testate sovietiche nel quadro degli accordi START sottoscritti, che poteva essere rallentata dai problemi economici che stava vivendo Mosca;

- sottrarre la disponibilità di materiale fissile a possibili usi criminali o terroristici, considerate anche le difficoltà russe a garantire sistemi di sicurezza e protezione adeguati;

- garantire a scienziati e tecnici russi, non più impiegabili nel sistema industriale militare, continuità di reddito, evitando che potessero cedere ai richiami da parte di nuovi stati interessati allo sviluppo di nucleare militare;

- fornire alla Russia delle risorse economiche nella difficile situazione in cui versava in quegli anni;

- ridurre la produzione americana di uranio a basso arricchimento;

- salvaguardare l’ambiente dal possibile inquinamento radioattivo a causa di dispersione di uranio altamente arricchito senza le necessarie cautele.

È stato calcolato che il 10% dell’energia elettrica made in USA è stato ottenuto, per venti anni, da tale scambio, conclusosi nel 2013.

Fin dall’alba dell’era nucleare vi sono stati tentativi di abolire tali armi dagli arsenali dei paesi possessori, di limitarne i quantitativi o di ridurre le potenze delle testate. Il 14 giugno 1946, meno di un anno dopo le due esplosioni che avevano colpito Hiroshima e Nagasaki, il rappresentante degli Stati Uniti alla “Commissione sull’Energia atomica delle neonate Nazioni Unite”, Bernard Baruch, presentò il cosiddetto Piano Baruch, in base al quale gli Stati Uniti (all’epoca l’unico stato in possesso di armi atomiche) avrebbero distrutto il loro arsenale atomico a condizione che l’ONU imponesse controlli sullo sviluppo atomico non soggetti al veto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Questi forti controlli, secondo il piano presentato, avrebbero consentito, a tutti, solo l’uso pacifico dell’energia atomica. “La ricerca della scienza per l’arma assoluta è arrivata a buon fine in questo paese. Ma Esso è pronto a proscrivere e distruggere questo strumento - per elevarne l’uso dalla morte alla vita - se il mondo si unirà in un patto a tal fine.” Un passaggio dell’accorato discorso di Bernard Baruch.

Nel dettaglio, il Piano prevedeva un accentramento delle Nazioni Unite, in cui evidentemente si poneva una fiducia superiore a quella in esse oggi riposta, del potere di gestione dell’energia nucleare; nello specifico:

- estendere a tutti i paesi le conoscenze scientifiche di base per un uso pacifico dell’energia nucleare;

- istituire il controllo del nucleare nella misura necessaria per garantire l’uso solo per scopi pacifici;

- eliminare dagli arsenali nazionali le armi nucleari e tutte le altre principali armi adattabili per la distruzione di massa;

- istituire garanzie efficaci mediante ispezione e altri mezzi per proteggere gli stati aderenti dai pericoli di violazioni.

Il Piano prevedeva forti sanzioni per i paesi inadempienti. Esso non fu approvato dall’Unione Sovietica (Stalin era a conoscenza dei progressi che il suo paese stava facendo nell’arrivare ad una propria bomba atomica anche grazie alle spie che aveva infiltrato nel Progetto Manhattan) che si astenne sulla proposta in Consiglio di Sicurezza, non ritenendo valide le garanzie dichiarate offerte dagli USA (mancò, in pratica, l’accordo su chi avrebbe dovuto fare il primo passo). Il dibattito sul piano comunque continuò ancora ma nella comune consapevolezza dell’inarrivabilità di un risultato.

I rapidi mutamenti negli scenari geopolitici e nelle tecnologie nucleari portarono ad altri tentativi di cancellare l’arma nucleare dall’orizzonte mondiale. Infatti, l’8 dicembre del 1953, l’allora presidente degli Stati Uniti, Eisenhower propose alle Nazioni Unite la creazione di un’organizzazione per promuovere l’uso pacifico dell’energia nucleare e di ricercare uno sforzo internazionale per far sì che non venisse più utilizzata per scopi militari. In quel periodo, il monopolio statunitense sullo sfruttamento della tecnologia civile e militare dell’energia nucleare si stava lentamente erodendo: da un lato per la concorrenza di Canada e Gran Bretagna, dall’altro per la rincorsa sovietica. Eisenhower promosse una Conferenza internazionale con lo slogan Atoms for peace, tenutasi poi a Ginevra qualche tempo più tardi, per discutere della creazione di un’agenzia internazionale di controllo sull’energia atomica. L’idea centrale di Eisenhower prevedeva un cambiamento netto di atteggiamento: togliere ogni velo di segreto sulle ricerche nucleari, ciò avrebbe portato ad un uso esclusivamente pacifico di tale nuova energia. La conferenza che fu tenuta a Ginevra gettò le basi per la nascita dell’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) che, comunque, non operò realmente per tutta la Guerra Fredda.

 

Dal TNP al TPNW

La diplomazia del nucleare, però, ha segnato anche alcuni successi. Oltre ai trattati citati in precedenza riguardanti le esplosioni sperimentali, la comunità internazionale ha, fino ad ora, sottoscritto taluni trattati universali, il più significativo dei quali è il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (Treaty on the Non-Proliferation of Nuclear Weapons - TNP o NPT), concluso nel 1968 ed entrato in vigore nel 1970. Tale trattato è effettivamente universale essendo stato ratificato da tutti i membri della comunità internazionale, tranne Corea del Nord, India, Israele, Pakistan e Sud Sudan. Per la precisione, la Corea del Nord era parte del TNP, ma nel 2003 ha esercitato la facoltà di recesso, stabilita dall’art. 10 del trattato stesso. Il trattato, composto di 11 articoli, proibisce agli stati firmatari “non-nucleari” di procurarsi tali armamenti e agli stati “nucleari” di trasferire a chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi. Agli stati che hanno condotto esperimenti nucleari prima del 1968, che per inciso sono anche i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza (Cina, Francia, Gran Bretagna, Russia e Stati Uniti), è consentita l’acquisizione e detenzione delle armi nucleari. Inoltre, il trasferimento di tecnologie nucleari per scopi pacifici (ad esempio per la produzione elettrica) deve avvenire sotto il controllo della AIEA. Da rimarcare che, in virtù dell’art. 6 del trattato, gli stati nucleari dovrebbero intraprendere in buona fede negoziati allo scopo di cessare la corsa agli armamenti nucleari e concludere ad una data ravvicinata un trattato generale e completo in materia di disarmo nucleare.

Fig.3 - Originale del Trattato di non Proliferazione Nucleare (TNP)

È quindi nel solco di tale articolo che va letto il recente Trattato per la Proibizione delle armi Nucleari (Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons, TPNW). Molte voci di ottimismo si sono levate alla fine dello scorso mese di gennaio quando, dopo la ratifica del 50mo stato, è entrato ufficialmente in vigore il TPNW. Il trattato (negoziato tra il 2016 e il 2017 nell’ambito dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e siglato da 122 paesi membri dell’Organizzazione) intende bloccare la proliferazione delle armi atomiche, proibendone anche lo sviluppo, i test, l’immagazzinamento ed il trasporto. E persino la minaccia del loro impiego. La sua universale approvazione, quindi, cancellerebbe in via definitiva la minaccia nucleare dal pianeta.

Va precisato che nessuno dei 9 stati possessori di armi nucleari nè taluno degli stati legati ai possessori di armi nucleari da trattati od accordi di sicurezza hanno sottoscritto il TPNW. Solo il Sudafrica, tra i membri del G20, ha ratificato l’accordo. Il TPNW, quindi, per il momento, non ha alcun effetto pratico (ma solo morale) sulle dimensioni e sulle caratteristiche degli arsenali disponibili.

È stato dichiarato che il recente TPNW rende illegale l’arma atomica; in realtà, le stringenti proibizioni in esso previste sono effettive solo per i firmatari del Trattato, tutti stati comunque non nucleari e già impossibilitati a possedere armi nucleari in quanto membri del precedente TNP. Ogni trattato internazionale pone obblighi o divieti solo per coloro che ne sono parte. Peraltro, tra le voci dissonanti rispetto all’ottimismo verso tale recente TPNW vi sono quelle di chi reputa che con tale nuovo accordo vengono bloccati i negoziati in corso tra tutte le potenze nucleari nel quadro dell’articolo 6 del TNP, citato in precedenza, con effetti deleteri su un pur labile tentativo di effettiva denuclearizzazione.

Ad oggi, secondo le stime dello Stockholm International Peace Research Institute, 9 stati: Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Israele e Repubblica popolare democratica della Corea possiedono circa 13.400 armi nucleari di cui 3.720 dispiegate e pronte all’uso. Di queste, circa 1.800 sono tenute in uno stato di massima allerta operativa. Molte meno del picco di 64.000 testate raggiunto fra 1986 e 1987. La riduzione registrata dalla fine della Guerra fredda ad oggi è dovuta sia alle scelte strategiche dei due principali competitor che erano in possesso di quasi il 99% del totale della disponibilità, sia per lo smantellamento di testate con dispositivi tecnologicamente sorpassati, sempre da parte degli Stati Uniti e della Russia. Ciò, mentre di recente, si registrano estesi e costosi programmi per sostituire e modernizzare le testate disponibili, nonché i vettori di lancio. Gli arsenali nucleari delle principali potenze sono più piccoli che in passato ma si stanno arricchendo di sistemi meno potenti e per questo maggiormente utilizzabili in quanto pongono meno remore al loro impiego. Questo intanto che altri paesi guardano all’arma atomica per implementare i loro sistemi di sicurezza o per acquisire maggiore rilevanza nel panorama internazionale; dall’Iran che continua ad arricchire uranio da utilizzare eventualmente per la costruzione di un proprio arsenale, al Giappone che, se dovesse perdere la sensazione di sicurezza garantita dall’ombrello di Washington, ritiene di essere legittimato a realizzare una propria arma atomica, al presidente turco che rivendica per la propria nazione la disponibilità di armi atomiche, alle fonti di intelligence che mettono in guardia verso un piano dell’Arabia Saudita di dotarsi di testate nucleari, al dibattito tra intellettuali tedeschi circa l’opportunità di trasformare la Germania in una potenza nucleare.

Fig.4 - Dimensione comparata e andamento temporale degli arsenali nucleari nel mondo

Il Comitato per una Civiltà dell’Amore e la “Conversione nucleare”

Il Comitato per una Civiltà dell’Amore è un’associazione di volontariato costituita nel 1999 sulla legge 261/91 ed è iscritta al Registro generale del volontariato presso la Regione Lazio.

La finalità che persegue consiste nella promozione della Pace sulla Terra e dello sviluppo nei Paesi poveri in particolare con la conversione delle armi nucleari in progetti nel Sud del mondo, come è dichiarato nell’art.2 dello Statuto dell’associazione, modificato con l’assemblea straordinaria nel 2003.

Presidente onoraria è la signora Maria Romana De Gasperi, presidente e rappresentante legale è l’ingegnere nucleare Giuseppe Rotunno. All’associazione hanno aderito e collaborato autorevoli personalità del mondo scientifico e culturale, nel corso degli anni.

Alla promozione dell’iniziativa fin dall’inizio nel 1989 avviata da l’ing. Rotunno con il prof. Edoardo Amaldi della Scuola Romana di Fisica e collaboratore di Enrico Fermi nel 1934, hanno subito aderito il Prof. Elio Sgreccia Presidente STES (Scienziati e Tecnologi per l’Etica dello Sviluppo), il Prof. Mario Silvestri del Politecnico di Milano e l’Ambasciatore Vincenzo Tornetta, il quale avviò gli indispensabili contatti diplomatici internazionali.

Con tali premesse fu presentato a Roma il 15-17 giugno 1992 il primo Studio di fattibilità tecnico-economica della conversione delle armi nucleari e del conseguente dividendo economico da poter destinare nei paesi poveri del mondo. Lo Studio e le analisi degli esperti italiani di ENEL, ENEA e ANSALDO, sono state successivamente avvalorate dagli accordi internazionali stipulati tra USA e Russia nel 1993 con il Piano ventennale “Megatons to Megawatts” che stabiliva la conversione delle prime 20.000 testate nucleari in energia di pace.

Dopo questo primo provvidenziale successo internazionale del Programma Italiano, il Comitato per una Civiltà dell’Amore ha lanciato da Assisi la nuova sfida impegnandosi affinché il dividendo della pace possa essere destinato allo sviluppo dei paesi poveri, in piena collaborazione con chi intende offrire il suo qualificato contributo alla causa della pace nucleare e dello sviluppo nel mondo.

Per chiarire il contributo verso i progetti di sviluppo nel Sud del mondo, il Programma è stato riproposto nel 1994 al convegno internazionale alla FAO, ripreso nel 1998 ad Assisi, infine ripresentato a Roma ai Premi Nobel per la Pace nel Giubileo del 2000. In seguito, con il sostegno del Santo Padre e il Patrocinio del Governo italiano, nell’ottobre 2002 nella Basilica di San Francesco ad Assisi, si è svolto il Summit per la Pace nel Mondo "Economia, Ecologia, Pace" da cui è emerso definitivamente il "Programma di conversione delle armi in progetti di sviluppo nel Sud del mondo – Megatons to Development".

Con il crescente coinvolgimento di importanti aziende energetiche, istituzioni e università italiane ed internazionali, il 22 Maggio 2008, presso l’Auditorium dell’Enel, con il Simposio internazionale “Conversione Nucleare: energia di pace e sviluppo sostenibile nel mondo”, viene presentato l’aggiornamento del Programma, presentato al Senato della Repubblica l’11 novembre 2008.

 

Il rilancio di Berlusconi al G8 de L’Aquila

A luglio 2009, in occasione del Summit G8 realizzato a L’Aquila, in un container con i frati francescani della città abruzzese da poco colpita dal forte sisma, si è svolto il nuovo convegno: “Pace nucleare e rinascita dello sviluppo”. La Presidenza italiana ha lanciato con successo ai rappresentanti delle più grandi potenze mondiali riuniti al Vertice un messaggio che ripropone 3 punti fondamentali del Programma:

a) un nuovo accordo di disarmo delle potenze nucleari nel rispetto del TNP;
b) un accordo internazionale per la destinazione di nuovi dividendi economici all’aiuto nei PVS contro la fame nel mondo;

c) l’impiego mondiale dell’energia nucleare per la pace e senza emissione di CO2.

In un clima di crescente interesse e attenzione del Governo italiano e delle istituzioni internazionali, il Comitato ha continuato a lavorare per la promozione del Programma “Megatons to Development” sia attraverso una diretta sensibilizzazione sociale e pubblica, sia con un continuo e costante dialogo con le istituzioni e con il mondo aziendale energetico italiano ed internazionale, in particolare in occasione della visita in Italia del Direttore generale IAEA, M. El Baradei a Perugia e Assisi.

Fig.5 – Il programma di conversione nucleare Megatons to Megawatts e i siti russi coinvolti

 

La tecnica della conversione

Tecnicamente la conversione consiste nel trasformare il combustibile costituente la testata nucleare del missile in combustibile da utilizzare negli impianti elettronucleari ad uso civile. La testata nucleare è normalmente costituita da uranio naturale arricchito nella sua componente fissile U235 in percentuali superiori al 90% (weapon grade), ovvero in plutonio fissile. Il combustibile negli impianti civili è invece arricchito in percentuali che vanno da 0 (reattori canadesi CANDU), a 4-5 % (reattori ad acqua bollente o in pressione), e fino al 20% (reattori a neutroni veloci e reattori di ricerca) che rappresenta il limite superiore per il Low Enriched Uranium. Il processo di conversione consiste nel diluire letteralmente il combustibile arricchito della testata dal 90% alle suddette percentuali per uso civile. Di fatto la diluizione è l’esatto opposto dell’arricchimento del combustibile, in quanto impoverisce del combustibile da alto arricchimento (HEU o Pu239) a basso arricchimento.

Gli impianti di conversione sono già presenti negli USA e in Russia, in quanto questa operazione è avvenuta in passato, e ha riguardato ben 20.000 testate atomiche russe e americane, che ha permesso di alimentare per diversi anni numerosi reattori nelle due nazioni (vedi Bibliografia). Altri impianti di conversione possono essere realizzati, in sostituzione di quelli di arricchimento del combustibile a fini militari. È opportuno che vengano coinvolti sia impianti con materiale fissile weapon-grade, cioè essenzialmente reattori di ricerca e sperimentazione, sia reattori per uso energetico, ovunque dislocati, tutti quelli che risulterà possibile inserire nel programma energetico. Entrambi, nuovi o già esistenti (per i quali non sono richiesti adeguamenti strutturali).   Per gli impianti già esistenti non sarebbe necessario aumento di potenza, aggiornamento tecnologico, ma solo una nuova pianificazione del management del combustibile nell’impianto interessato dal Programma.

Fig.6 - Inserimento del materiale fissile proveniente dalle testate atomiche nel ciclo del combustibile nucleare per uso civile

Il combustibile proverrebbe, come detto, dalle 13.400 testate nucleari ancora attive nel mondo e dagli arsenali di HEU equivalenti ad almeno 37.000 testate, attraverso un accordo che coinvolgerebbe NATO, Federazione Russa - ex Patto di Varsavia, Cina, Corea del Nord, India, Pakistan, Israele, Iran, ed altri Paesi nucleari.

Le attività da prevedere sul materiale fissile "weapon grade"  esistente (diluizione a "reactor grade", smaltimento, reprocessing) e sugli impianti nucleari esistenti, consistono nell’espatrio per la trasformazione in combustibile misto ad ossidi di uranio e plutonio (MOx),  smaltimento del plutonio weapon-grade  e diluizione fino al massimo arricchimento del 20% dell'uranio weapon-grade (HEU); smantellamento dei relativi impianti di arricchimento ed anche dei reattori a grafite plutoniferi, con la sostituzione dei reattori  a grafite con altri ad acqua leggera, non  idonei alla proliferazione. Questa attività di messa in sicurezza porterebbe in cambio misure di sviluppo molto convenienti per gli aderenti al Programma.

L’energia elettrica ottenibile dalla conversione dell’uranio weapon-grade è direttamente proporzionale al fissile nelle testate in disarmo e quindi al loro numero complessivo. L’elettricità si ottiene in base al combustibile che si utilizza. Gli impianti elettronucleari che si prevede di poter utilizzare sono in grado di smaltire fino a 100 testate nucleari per ciclo.  Il combustibile che proviene da una singola testata nucleare produrrebbe elettricità del valore di circa 0.225 TWh, cioè 225 milioni di kWh che al prezzo di circa 0,15 €/kWh che equivale a 33 milioni di euro per ogni testata convertita, messa a disposizione del Paese aderente al Programma.

Le misure necessarie ai programmi di arricchimento del materiale fissile comportano il rispetto del contesto del Trattato di Non Proliferazione (TNP) e il ripristino dei rapporti con l'AIEA a pieno titolo. Tutti i Paesi aderenti al Programma, ed in particolare la Corea del Nord e l’Iran, dovrebbero impegnarsi ad arrestare il programma militare nucleare e quello missilistico intercontinentale, aderire o rientrare nel TNP, permettere ad AIEA le attività di verifica indispensabili per l'attuazione del programma di riconversione dell’apparato nucleare.

 

Costi e benefici di un Programma di pace

Quanto al bilancio costi e benefici economici conseguibili, oltre a quelli ovvii di carattere politico- strategico in tema di stabilità e di rapporti tra i vari player, il Programma consentirebbe di realizzare uno sviluppo complessivo dei Paesi partecipanti (in particolare Nord Corea ed Iran) a seguito della maggiore disponibilità energetica e della possibilità di utilizzare nei Paesi aderenti le risorse impiegate nel programma nucleare militare in disarmo; bilancio economico positivo  dello specifico programma energetico.

I costi riguardano: smantellamento degli impianti militari nucleari, diluizione (costi molto ridotti) dell’uranio weapon-grade HEU fino al valore massimo del 5% di arricchimento e espatrio del Plutonio weapon-grade per la conversione in combustibile misto uranio e plutonio (MOX), management (molto ridotto) del nuovo combustibile nelle centrali esistenti impegnate nel Programma.

I benefici certi consisterebbero nella disponibilità di nuovo combustibile nucleare a costi solo politici, tenendo conto che nel Piano Usa-Russia “Megatons to Megawatts” è stato già inizialmente riconosciuto un valore di circa 1 milione di USD per testata convertita; la conseguente produzione elettronucleare di 0,225 TWh, con prezzo di vendita che verrà fissato per i destinatari, ma che indicativamente (0.15€/kWh) porta a circa 33 milioni di euro per testata convertita in elettricità.

Il Programma prevede la possibilità di reinvestimento in programmi di sviluppo anche non energetici. Il nuovo scenario che si produrrebbe permetterebbe inoltre di varare una serie di programmi di microimprese di sviluppo, soprattutto agricolo, con impianti elettrici a fonti non fossili e rinnovabili, a cominciare dalla popolazione più bisognosa di tutta la Terra. Premettendo che il costo del combustibile in una centrale nucleare è circa il 35% del costo totale di gestione dell’impianto, tenendo presente che il costo per la creazione di una impresa agricola autosostenentesi (dove lavorano almeno 10 capifamiglia) con fonti energetiche rinnovabili  può costare fino  a 100.000 €/cad: si ottiene cha dal beneficio economico di circa 33 milioni di euro/testata-convertita si possono realizzare fino a oltre 100 imprese agricole per ogni testata nucleare convertita.

Il Programma nel suo complesso si svolgerebbe secondo la modalità di disarmo contemporaneo, paritetico e controllato fra tutti gli attori e avrebbe una durata di circa 20 anni, estensibile. Organismi e Paesi da coinvolgere per una partecipazione diretta sono principalmente i Paesi NATO e i Paesi ex patto di Varsavia, le due Coree, la Cina, il Giappone, l’India, il Pakistan, Israele, l’IRAN, anche sotto il profilo economico/industriale. Inoltre, dovrebbe essere prevista la sospensione/cancellazione delle sanzioni economiche internazionali verso i Paesi nucleari partecipanti al Programma che le subiscono e la contestuale attivazione di programmi di sostegno economico. Le sanzioni in atto (pensiamo alla Corea del Nord o Iran) potrebbero essere progressivamente abolite in relazione ai risultati del piano di arresto e successivo abbandono del programma militare. Verrebbero altresì messe in atto misure di sostegno economico immediato, secondo le più urgenti esigenze delle popolazioni, ivi compreso il settore alimentare. Le contropartite da offrire, sotto il profilo della sicurezza generale, potrebbero essere l’accettazione dei regimi esistenti e la rinuncia allo schieramento di missili. In aggiunta ai trattati bilaterali già esistenti verrebbero concordate misure per la sicurezza generale delle aree con la ripresa dei negoziati per arrivare a trattati di pace.

Fig.7 - Programma di conversione nucleare e sostegno economico nell’Hot spot coreano

Il Programma potrebbe mutuare elementi da programmi analoghi. Dal Piano Usa-Russia di conversione di 20.000 testate nucleari “Megatons to Megawatts” concluso nel 2013 si erediterebbe il processo strategico-industriale della effettiva trasformazione dell’esplosivo in combustibile nucleare. Si potrebbe ad esempio riprendere la formula di sostituzione di impianti nucleari militari in impianti civili. Dal Piano d’accordo con IRAN si potrebbe riprendere la modalità di fornitura sotto egida IAEA del combustibile per le centrali nucleari civili, senza il bisogno del processo di arricchimento.

Il Programma potrebbe inoltre interfacciarsi con altri programmi internazionali in corso come IFNEC (International framework for nuclear Energy), CTBTO (Comprehensive Nuclear Ban Test Treaty), Reduced Enrichment for Research and Test Reactors (RERTR) Programme – gestito da US Department of Energy e supportato da IAEA – che ha lavorato per sviluppare la tecnologia necessaria per consentire la conversione delle installazioni civili che usano LEU in HEU, resistente alla proliferazione. Il Global Threat Reduction Initiative (GTRI) operante dal 2004 sotto l’egida di IAEA e US Secretary of Energy’s, che mira alla minimizzazione del materiale nucleare disponibile per la fabbricazione di armi atomiche.

Il Programma apre prospettive di partecipazione all'industria nazionale ed europea, eventualmente in consorzio con quella statunitense e/o degli altri Paesi del Programma, tenuto conto che l'impostazione a sviluppo progressivo consentirebbe una larga e articolata partecipazione. Imprese Enti e Istituti italiani potenzialmente interessati potrebbero essere SOGIN, ENEA, RSE, Ansaldo, ENEL, TERNA, ENI, SNAM, SAIPEM, Mangiarotti, di concerto con i Ministeri competenti MITE e MISE.

I costi generali calcolati della trasformazione in fuel del materiale weapon-grade, comprensivi di trasposto e stoccaggio del materiale fissile non immediatamente convertibile, costruzione di nuovi impianti e infrastrutture di rete, ammontano a circa 33 milioni di USD a testata. I ricavi generali (considerando la sola vendita di energia elettrica ottenuta dalla conversione): conversione di 50.000 testate un valore di oltre 800 MLD di USD.

Fig. 8 - Impianto di diluizione (downblending per la conversione dell’Uranio altamente arricchito per uso militare in Uranio a basso arricchimento per uso civile

Ipotizzando un combustibile UO2 arricchito al 4,4%, il miscelamento del fissile da disarmo con l’uranio naturale può produrre circa 31.000 ton di combustibile nucleare da impiegare nei reattori commerciali LWR; generare energia elettrica fino a 12.000 TWh (se il miscelamento avviene con U235 al 1.2% si possono ottenere più TWh,

Questi risultati sono condizionati dall’aver assunto come tasso di bruciamento un valore medio di circa 45 GWd/t (per fuel al 4,4%), quando con i nuovi reattori (es. AP1000), ottimizzando le caratteristiche del combustibile (impiego di veleni bruciabili, logica di refuelling, improvement nei materiali) si possono raggiungere tassi medi di bruciamento, allo scarico, più elevati e superiori ai 50 GWd/t. Con questa osservazione, i circa 12.000 TWh di energia elettrica possono ritenersi un target superabile.

 

Conversione ecologica integrale dallo smantellamento delle testate atomiche

I due temi cruciali della transizione ecologica integrale e della conversione delle testate atomiche in combustibile di pace possono essere legati insieme dal calcolo di quanto combustibile nucleare (carbon-free) al 3-4 % di U235 si fa con una testata atomica (plutonio e/o uranio al 95%) e quanta emissione di CO2 si evita generando energia elettrica (MWe) con questa quantità di combustibile. Alla fine del calcolo si otterrà una stima della quantità di CO2 (ton) / testata atomica smantellata.

Se consideriamo le 50.000 testate atomiche ancora presenti, il calcolo dalla produzione di 11,12 miliardi di MWhe definisce le tonnellate di CO2 totali evitate (500 kg di CO2 /MWhe) con la loro conversione, a circa 5,6 miliardi di tonnellate di CO2 risparmiate.

Inoltre, dal punto di vista ambientale, se valutiamo che la durata di una carica di combustibile nucleare (circa 100 tonnellate) può far funzionare il reattore per 4-5 anni (due-tre ricariche di combustibile), possiamo ottenere una emissione evitata complessiva di CO2 pari a 3 miliardi di tonnellate di CO2.

Possiamo concludere quindi, in via approssimata ma realistica, che convertire 50.000 testate atomiche, oltre ad eliminare il pericolo di una guerra atomica, permette di produrre 11/12 miliardi di MWhe di energia elettrica per usi civili e risparmiare 5,6 miliardi di tonnellate di CO2 in atmosfera, cioè 110.000 tonnellate a testata convertita. Oltre all’altissimo valore simbolico, perché abbiamo eliminato una minaccia di guerra nucleare, abbiamo prodotto energia elettrica di pace ad uso civile e abbiamo evitato l’emissione di CO2 in atmosfera.

 

* Francesco Lombardi generale di Divisione (aus)
* Massimo Sepielli, ingegnere, esperto nucleare
* Giuseppe Rotunno, ingegnere, presidente Comitato Civiltà dell’Amore.

Riferimenti:

[1] Civiltà dell’Amore (2017). Dati di Progetto Conversione Nucleare in Korea.

[2] TradeTech (2011). Uranium Primer-Russian Highly Enriched Uranium (HEU) Agreement. Denver Tech Center, Englewood, CO (USA). www.uranium.info

[3] Impact of High Burnup Uranium Oxide and Mixed Uranium-Plutonium Oxide Water Reactor Fuel on Spent Fuel Management. IAEA, Nuclear Energy Series, NF-T-3.8 (2